Resistenza a pubblico ufficiale: basta una spinta per la condanna?
Il reato di resistenza a pubblico ufficiale è uno dei più comuni nel contesto dei controlli di polizia e delle interazioni tra cittadini e forze dell’ordine. Ma quali sono i confini di questa fattispecie? È necessaria una violenza che provochi lesioni o è sufficiente un atto di opposizione fisica, come uno spintone? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto, confermando un principio fondamentale: la violenza che integra la resistenza è autonoma rispetto a quella che causa lesioni.
I fatti del caso
Un uomo veniva condannato sia in primo grado che in appello per il reato di resistenza a pubblico ufficiale. L’episodio scatenante era avvenuto durante un controllo, quando l’imputato aveva spintonato alcuni agenti con l’intento di impedir loro di condurlo in caserma. È interessante notare che, nello stesso procedimento, l’uomo era stato assolto dall’accusa di lesioni personali (capo b), in quanto la condotta violenta che aveva causato le lesioni agli agenti non era la stessa dello spintone contestato per la resistenza. Insoddisfatto della decisione della Corte d’Appello, l’imputato presentava ricorso in Cassazione, sostenendo l’insussistenza del reato.
L’analisi della Corte sulla resistenza a pubblico ufficiale
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo una semplice riproposizione di argomenti già esaminati e correttamente respinti dai giudici di merito. Gli Ermellini hanno confermato la validità del ragionamento seguito sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello. Il punto centrale della decisione è la netta distinzione tra la condotta violenta necessaria per integrare il reato di resistenza e quella che può eventualmente portare a lesioni personali.
Le motivazioni della decisione
La motivazione della Corte si fonda su un principio consolidato. Per commettere il reato di cui all’art. 337 del codice penale, è sufficiente porre in essere una condotta violenta o minacciosa finalizzata a opporsi a un atto legittimo del pubblico ufficiale. Nel caso di specie, è stato accertato che l’imputato ha spintonato gli agenti. Questo gesto, anche se non ha causato le lesioni per le quali è stato assolto, costituiva di per sé una forma di violenza fisica diretta a un fine preciso: impedire agli ufficiali di compiere il loro dovere, ovvero accompagnarlo in caserma. La violenza della ‘resistenza’ e la violenza delle ‘lesioni’ sono due concetti giuridicamente distinti e possono derivare da azioni diverse, anche se contestuali. Pertanto, l’assoluzione per il reato di lesioni non esclude automaticamente la colpevolezza per la resistenza.
Conclusioni e implicazioni pratiche
Questa pronuncia ribadisce un’importante lezione pratica: qualsiasi forma di violenza fisica, anche se di lieve entità come uno spintone, se utilizzata per ostacolare l’operato delle forze dell’ordine, è sufficiente a configurare il grave reato di resistenza a pubblico ufficiale. Non è necessario che l’agente riporti ferite o contusioni. Ciò che conta per la legge è l’intenzione di opporsi e l’uso della forza, per quanto minima, come strumento per raggiungere tale scopo. La decisione sottolinea quindi la necessità di mantenere sempre un comportamento collaborativo durante i controlli, poiché una reazione fisica può avere serie conseguenze penali, indipendentemente dal suo esito lesivo.
Per configurare il reato di resistenza a pubblico ufficiale è necessario che l’agente subisca delle lesioni?
No, la sentenza chiarisce che la condotta violenta che integra la resistenza è autonoma e distinta da quella che provoca lesioni. È sufficiente la violenza finalizzata a opporsi all’atto d’ufficio.
Spingere un pubblico ufficiale è sufficiente per essere condannati per resistenza?
Sì, secondo la Corte, spintonare i pubblici ufficiali al fine di impedire loro di compiere un atto del loro ufficio (come condurre una persona in caserma) integra pienamente il delitto di resistenza.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso con una sanzione di tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27919 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27919 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 14/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GRUMO APPULA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/05/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
N. NUMERO_DOCUMENTO COGNOME
OSSERVA
Ritenuto che il motivo dedotto con il ricorso, afferente alla condanna del ricorrente per il reato di cui all’art. 337 cod. pen., è inammissibile in quanto riproduttivo di profilo di censura già adeguatamente vagliato e disatteso con corretti argomenti giuridici dai giudici di merito;
Considerato, invero, che, tanto il giudice di primo grado quanto la Corte d’appello hanno correttamente ritenuto integrato il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, essendo stato accertato come il ricorrente avesse spintonato i pubblici ufficiali al fine di impedire loro di condurlo in caserma, ponendo dunque in essere una condotta violenta diversa da quella dalla quale erano derivate le lesioni dei pubblici ufficiali contestate al capo b) e per il quale il ricorrente è stato assolto (cfr. sentenza di primo grado, pag. 3 e sentenza d’appello pagg. 3 e 4);
Ritenuto che il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14/06/2024