Resistenza a Pubblico Ufficiale: Non Basta la Minaccia, Serve l’Idoneità a Ostacolare
Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 18583/2024) offre un importante chiarimento sui confini del reato di resistenza a pubblico ufficiale. La Corte ha stabilito che non ogni atto di opposizione verbale o minaccioso integra automaticamente questo delitto. Affinché si configuri il reato, è necessario che la condotta sia concretamente idonea a ostacolare l’operato dell’agente e che sia sorretta da una precisa volontà di opporsi. Analizziamo insieme la decisione per comprendere meglio questi principi.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da una sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Campobasso nei confronti di una donna accusata del reato di cui all’art. 337 del codice penale. Il Tribunale aveva ritenuto che “il fatto non sussiste”, mandandola assolta.
Contro questa decisione, il Procuratore Generale presso la Corte di appello ha presentato ricorso per Cassazione, lamentando un’errata interpretazione della norma penale. Secondo il ricorrente, il Tribunale aveva sbagliato nel ritenere necessaria, ai fini del reato, una concreta ed efficace opposizione all’atto del pubblico ufficiale. Inoltre, il Procuratore sosteneva che la valutazione si fosse concentrata erroneamente sul rifiuto della donna di seguire gli agenti, mentre l’accusa riguardava le minacce da lei proferite, ritenendo irrilevante il suo stato di agitazione.
La Valutazione della Corte sulla Resistenza a Pubblico Ufficiale
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la correttezza della decisione del Tribunale. I giudici di legittimità hanno sottolineato che il ricorso era basato su una rilettura dei fatti e non presentava un confronto critico adeguato con la motivazione della sentenza impugnata, la quale era esente da vizi logici o giuridici.
Il Collegio ha ribadito un principio fondamentale in materia di resistenza a pubblico ufficiale: la condotta, per essere penalmente rilevante, deve essere interpretata alla luce del principio di offensività. Sebbene sia sufficiente l’uso di violenza o minaccia per opporsi (indipendentemente dal successo dell’azione), è indispensabile che tale violenza o minaccia sia reale e presenti una “effettività causale”.
In altre parole, la minaccia deve avere la concreta idoneità a coartare o a ostacolare l’azione del pubblico ufficiale.
L’Elemento Psicologico: Il Dolo Specifico
Un altro aspetto cruciale evidenziato dalla Corte riguarda l’elemento psicologico del reato. Per la resistenza a pubblico ufficiale non è sufficiente una volontà generica, ma è richiesto il dolo specifico. L’agente deve agire con il fine preciso di impedire il compimento dell’atto d’ufficio. Se la condotta, pur oppositiva, è mossa da una finalità diversa, come uno sfogo dettato da agitazione, viene a mancare l’elemento soggettivo necessario per la configurabilità del reato.
Le Motivazioni della Decisione
La Cassazione ha ritenuto corretta la valutazione del giudice di merito, che aveva assolto l’imputata reputando le sue espressioni verbali inidonee a impedire o ostacolare l’atto d’ufficio. Inoltre, il Tribunale aveva correttamente rilevato l’insussistenza dell’elemento psicologico.
La sentenza impugnata si è quindi basata su un’interpretazione della norma coerente con i principi cardine del diritto penale. La minaccia, per quanto biasimevole, non possedeva quella forza intimidatrice necessaria a paralizzare o a rendere più difficoltosa l’attività dei pubblici ufficiali. Allo stesso tempo, la condotta della donna non era animata dalla specifica intenzione di opporsi, ma era piuttosto l’espressione di uno stato emotivo alterato.
Conclusioni
La sentenza in commento consolida un orientamento giurisprudenziale garantista. Per integrare il delitto di resistenza a pubblico ufficiale non è sufficiente un mero atteggiamento ostile o minaccioso. La legge penale interviene solo quando la condotta assume una connotazione di reale pericolosità, manifestando la concreta capacità di intralciare la pubblica funzione e la specifica volontà di farlo. Questa pronuncia serve da monito a distinguere tra una reazione scomposta, seppur inappropriata, e una vera e propria azione criminale volta a impedire l’operato dello Stato.
Quando una minaccia integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Secondo la Corte, una minaccia integra il reato solo quando è reale e possiede una “effettività causale”, ovvero la concreta idoneità a coartare o ostacolare l’agire del pubblico ufficiale. Espressioni che non hanno questa capacità non sono sufficienti.
È sufficiente minacciare un pubblico ufficiale per essere condannati per resistenza?
No. Oltre all’idoneità della minaccia, la legge richiede il “dolo specifico”, cioè l’intenzione mirata a opporsi al compimento dell’atto d’ufficio. Se la condotta è dettata da altre finalità (come uno sfogo per agitazione), l’elemento psicologico del reato manca.
Qual è il ruolo del principio di offensività in questo reato?
Il principio di offensività impone che la condotta, per essere punibile, debba ledere o mettere in pericolo il bene giuridico tutelato, che in questo caso è il corretto svolgimento della pubblica funzione. Se la minaccia è inidonea a incidere su tale bene, il fatto non è penalmente rilevante.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 18583 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 18583 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: TRIPICCIONE DEBORA
Data Udienza: 07/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO presso la Corte di appello di Campobasso nel procedimento a carico di NOME COGNOME nata a Campobasso DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa il 15 novembre 2022 dal Tribunale di Campobasso visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorso; lette le richieste del difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto de ricorso
RITENUTO IN FATTO
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO presso la Corte di appello di Campobasso ricorre per Cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Campobasso che ha assolto NOME COGNOME dal reato di cui all’art. 337 cod. pen perché il fatto non sussiste.
Deduce l’erronea interpretazione della norma penale avendo il Tribunale ritenuto necessario, ai fini della configurabilità del reato, che la condotta penale produca come risultato quello di opporsi concretamente ed efficacemente all’atto che il pubblico ufficiale sta compiendo. Aggiunge, inoltre, che il Tribunale ha considerato la condotta della COGNOME con riferimento al rifiuto di seguire i pubblici ufficiali, mentre contestazione riguardava le minacce rivolte dalla donna agli operanti. Rileva, infine, l’irrilevanza dello stato di agitazione sulla imputabilità della donna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto deduce un motivo versato in fatto e privo di un confronto critico con la sentenza impugnata, che, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, ha assolto l’imputata, reputando l’inidoneità delle espressio pronunciate dall’imputata ad impedire o ostacolare il compimento dell’atto d’ufficio e l’insussistenza dell’elemento psicologico.
Ritiene il Collegio che tale conclusione si fonda su una interpretazione della norma incriminatrice coerente con il principio di offensività, dovendosi, al riguardo, ribadire che, ai fini della configurabilità del reato di resistenza a pubblico ufficia pur essendo sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto dell’ufficio o del servizio, indipendentemente dall’esito, positivo o negativo, di tale azione e dall’effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento degli atti indic (così, da ultimo, Sez. 6, n. 5459 del 08/01/2020, Rv. 278207), è, tuttavia, necessario che la violenza o la minaccia siano reali e connotino in termini di effettività causale la loro idoneità a coartare o ad ostacolare l’agire del pubblico ufficiale, in ragione de dolo specifico che deve sorreggere il comportamento del soggetto agente (Sez. 6, n. 45868 del 15/05/2012, Meligeni, Rv. 253983).
Va, inoltre, aggiunto che parimenti corretta è la valutazione relativa alla insussistenza dell’elemento psicologico del reato, in considerazione della diversa finalità sottesa alla condotta tenuta dell’imputato (cfr. Sez. 6, n. 36367 del 06/06/2013, COGNOME, Rv. 257100).
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Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso il 7 marzo 2024
P.Q.M.