Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 9255 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 9255 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nata il 25/02/1966 a Messina avverso la sentenza del 25/09/2024 della Corte d’appello di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
In primo grado l’imputata era stata condannata per il reato di cui all’art. 651 cod. pen., perché non aveva fornito i documenti o comunque le proprie generalità agli agenti di polizia giudiziaria che, in divisa e a bordo dell’autovettura di servizio, dopo essersi qualificati, glieli avevano chiesti (capo a), nonché per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 cod. pen.) in
quanto, in occasione della commissione del reato di cui al capo a), usava violenza opponendosi a questi ultimi, che la stavano conducendo presso gli uffici della Stazione dei Carabinieri per identificarla, sferrando nei loro confronti calci e pugni (capo b).
Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Messina riformava la sentenza emessa in primo grado a carico dell’imputata per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 cod. pen.), rideterminando la pena in sei mesi e dieci giorni di reclusione.
Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso NOME COGNOME deducendo, per il tramite dell’Avvocato NOME COGNOME i seguenti due motivi.
3.1. Nullità della sentenza impugnata per omessa citazione dell’imputata.
Nell’atto d’appello era depositato mandato specifico ad impugnare con dichiarazione di elezione di domicilio da parte dell’imputata.
La notifica dell’udienza del 19 giugno 2024 veniva eseguita ai sensi dell’art. 157 cod. proc. pen.
In particolare, l’ufficiale giudiziario effettuava presso il suindicato domicilio due accessi e, non avendovi rinvenuto alcuno, procedeva (art. 157, comma 8, cod. proc. pen.) ad affiggere avviso di deposito dell’atto nella casa comunale, alla porta dell’abitazione dell’imputata, spedendo copia alla stessa, con raccomandata con avviso di ricevimento.
Dagli atti emerge che la raccomandata con la copia del decreto di citazione e l’avviso di ricevimento erano restituiti alla Corte d’appello di Messina il 14 maggio 2024, con l’attestazione dell’agente postale “destinatario sconosciuto” (apposta in data 13 maggio 2024).
All’udienza del 19 giugno 2024, la difesa eccepiva la nullità della notifica del decreto di citazione a giudizio.
In particolare, evidenziava l’incongruenza tra quanto attestato dall’agente postale e risultante nella relata di notifica dell’ufficiale giudiziario che aveva eseguito i due accessi presso il domicilio eletto dall’imputata (domicilio presso il quale, tra l’altro, la ricorrente aveva ricevuto altre notifiche) e l’avviso affiss alla porta dell’abitazione della stessa e a lei inviato in copia con raccomandata, e rilevava che, al momento della notifica ex art. 161, comma 4, cod. proc. pen., il 9 maggio 2024, data del secondo accesso da parte dell’ufficiale giudiziario e di espletamento delle formalità sopra indicate, mancavano i presupposti previsti dalla norma citata. E che tale notifica era quindi nulla.
La Corte di appello ha replicato ritenendo irrilevante la circostanza che il destinatario fosse stato indicato come “sconosciuto”, dal momento che – ha
affermato -, a prescindere dal fatto che si fosse trattato o meno di un errore, ciò che conta è che l’imputata era stata messa nelle condizioni di conoscere la fissazione dell’udienza mediante ben due accessi dell’ufficiale giudiziario e l’invio della raccomandata.
Ha poi aggiunto che era stato dato l’avviso di cui all’art. 161, comma 4, cod. proc. pen. e che non rileva il fatto che in tale data la raccomandata non fosse ancora giunta al domicilio eletto, trattandosi di formalità attuata ad ulteriore garanzia dell’imputata medesima.
Tuttavia, l’art. 157, comma 8, cod. proc. pen. dispone espressamente che gli effetti della notificazione decorrano dal “ricevimento” della raccomandata.
Di conseguenza, nel caso di specie, la notifica non può ritenersi perfezionata.
Né rileva che la Corte di appello, nell’affermare il contrario, ritenendo la notifica tardiva, abbia rinviato il processo all’udienza del 25 settembre 2024, disponendo la notifica del decreto di citazione e del verbale di udienza del 19 giugno 2024 al domicilio eletto.
Secondo quanto emerge dagli atti, il 2 luglio 2024, infatti, i Carabinieri notificavano all’imputata il decreto di citazione a giudizio per l’udienza trascorsa (19 giugno 2024) e non il relativo verbale, che attestava il rinvio.
3.2. Errata applicazione dell’art. 337 cod. peri., vizio di motivazione e travisamento della prova.
La Corte d’appello ha ignorato le deduzioni difensive e la documentazione prodotta in primo grado (fotografie raffiguranti il luogo in cui si sarebbe verificato il fatto; documentazione medica rilasciata dal Dipartimento di salute mentale di Messina; certificazione del Pronto soccorso del 3 ottobre 2015 da cui si desumeva a carico della stessa un episodio di «agitazione psicomotoria in paziente con storia di potus»), attestante come il comportamento dell’imputata fosse ascrivibile alle sue complessive condizioni personali, aggravate dal timore per la propria incolumità, considerato che poco prima stava per essere investita dall’autovettura dei Carabinieri, nonché l’errata valutazione della testimonianza del vicebrigadiere COGNOME.
La Corte ha motivato il suo convincimento sulla sola base delle dichiarazioni di questi, sminuendo la circostanza che l’imputata stava per essere investita e fornendo una ricostruzione del fatto in contrasto con il capo a) dell’imputazione (art 651 cod. pen.), che non contiene alcun riferimento ad una precedente condotta di rilevanza penale suscettibile di indurre i Carabinieri a identificare l’imputata, parlando, al contrario, di un rifiuto nel corso di un generico controllo da parte dei pubblici ufficiali.
Inoltre, come dedotto in appello, il vicebrigadiere COGNOME non aveva minimamente accennato alle misure di contenimento della pandemia e agli accorgimenti a tutela della salute che dovevano conseguire allo sputo sul viso, sicché la motivazione è meramente congetturale là dove assume come fatto di comune esperienza che la normativa non fosse rispettata.
Ancora, la Corte, così come il Giudice di primo grado, ha valutato erroneamente la testimonianza del vicebrigadiere COGNOME, sebbene dal suo esame fosse emerso che l’imputata si era buttata a terra e dimenata, senza però colpire alcuno, sicché la condotta della ricorrente avrebbe dovuto, al limite, essere qualificata come resistenza passiva, penalmente irrilevante.
Da ultimo, ai fini dell’elemento soggettivo, non si è tenuto conto della documentazione medica prodotta e dei dati probatori (testimonianza del vicebrigadiere COGNOME) dai quali era emerso che l’imputata in caserma si fece identificare in maniera spontanea, condotta inconciliabile con la volontà di usare violenza per opporsi al compimento di un atto dell’ufficio del pubblico ufficiale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Il primo motivo è infondato.
Anche a ritenere sussistenti i vizi denunciati nella notifica nel decreto di citazione a giudizio mediante lettera raccomandata, lo stesso ricorrente riferisce che la Corte di appello ha comunque disposto il rinvio dell’udienza per consentire una nuova notifica del decreto di citazione, oltre che del verbale di udienza.
Sicché, quand’anche sia stato recapitato all’imputata un verbale diverso da quello da cui si evinceva la data dell’udienza successiva, il vizio non concernerebbe il difetto di citazione dell’imputata ed integrerebbe, al più, una nullità generale a regime intermedio relativa all’intervento dell’imputato, che avrebbe dovuto essere rilevata o eccepita entro i termini previsti dall’art. 180 cod. proc. pen. e, quindi, con memoria da depositarsi prima della deliberazione della sentenza di secondo grado (Sez. U. n. 42125 del 27/06/2024, COGNOME, Rv. 287096). Con la conseguenza che la nullità risulterebbe sanata.
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto sollecita una rivalutazione del fatto – perfettamente sussumibile nella fattispecie contestata GLYPH non consentita in sede di legittimità.
3.1. Condiviso, infatti, il giudizio espresso nella sentenza di primo grado sull’attendibilità del teste vicebrigadiere COGNOME la pronuncia impugnata
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ricostruisce sulla base della sua testimonianza la vicenda fattuale, ed afferma che i militari, giunti all’altezza di un incrocio, notarono una donna che sembrava volesse attraversare la strada, sicché arrestavano la marcia per consentirle di procedere.
Poiché, tuttavia, la ricorrente non avanzava, i Carabinieri proseguivano la marcia e, soltanto a quel punto, la donna iniziava ad attraversare la strada, esponendosi al rischio di essere investita, sicché, avuto a portata il finestrino lato sinistro del conducente, sputava all’indirizzo del carabiniere COGNOME, colpendolo in faccia.
La sentenza precisa che i militari, fermatisi poco più avanti, scendevano dall’auto increduli e chiedevano spiegazioni all’imputata, che però rifiutava di fornire le sue generalità (capo a). Di conseguenza, gli operanti, dopo varie insistenze, la convincevano a seguirli in caserma per l’identificazione.
A questo punto si configura la resistenza attiva dell’imputata (capo b) la quale, salita a bordo dell’autovettura, cercava di dare spaliate ai Carabinieri e, aperta la portiera, si gettava a terra; si rifiutava di entrare negli uffic dimenandosi e dando calci, per poi, dopo essere stata convinta ad entrare nella Stazione, colpire uno dei due agenti (il COGNOME).
3.2. Quanto al preteso vizio di motivazione, a fronte della ricostruzione operata dai Giudici di merito, le deduzioni difensive sulla mancata risposta ai rilievi sulle condizioni di salute e sul dolo dell’imputata, nonché sulla natura congetturale dell’affermazione relativa al mancato uso dei dispositivi di protezione, appaiono manifestamente infondate. Ne discende che la mancata risposta ad esse non vizia la motivazione (ex multis, Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, COGNOME, Rv. 277281).
Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ex art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12/02/2025