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Resistenza a pubblico ufficiale: quando è reato?

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per resistenza a pubblico ufficiale e rifiuto di generalità a due persone fermate per un controllo durante l’emergenza Covid-19. I ricorsi sono stati dichiarati inammissibili perché le loro accuse di abusi da parte degli agenti sono state ritenute infondate e contraddette dalle prove, come le testimonianze e i referti medici. La Corte ha chiarito che la reazione violenta non è giustificata se l’operato delle forze dell’ordine è legittimo, come in questo caso di controllo per la salute pubblica.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Quando la Reazione del Cittadino Diventa Reato?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 9687/2024, offre un’importante occasione per approfondire il tema della resistenza a pubblico ufficiale. Il caso analizzato riguarda due cittadini condannati per essersi opposti con violenza a un controllo di polizia durante l’emergenza sanitaria da Covid-19. La decisione della Suprema Corte chiarisce i confini tra il legittimo esercizio dei doveri da parte delle forze dell’ordine e la reazione ingiustificata del privato, delineando quando quest’ultima integra un illecito penale.

I Fatti del Caso

I fatti risalgono al periodo delle restrizioni alla circolazione imposte per contrastare la pandemia. Due persone, fermate per un controllo su una via pubblica, si rifiutavano di fornire le proprie generalità e di giustificare la loro presenza fuori casa. La situazione degenerava rapidamente: i due iniziavano a minacciare gli agenti di ‘rovinarli’ filmandoli, per poi passare alle vie di fatto, aggredendoli con calci e pugni.

In seguito, gli imputati presentavano una versione dei fatti diametralmente opposta, sostenendo di essere stati vittime di un grave abuso di autorità, con presunti pestaggi e atti redatti falsamente. Questa narrazione, tuttavia, non ha trovato riscontro durante il processo.

L’Analisi della Corte sulla resistenza a pubblico ufficiale

La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi degli imputati inammissibili, confermando in toto la decisione della Corte di Appello. La Suprema Corte ha sottolineato come i ricorsi non presentassero nuovi argomenti, ma si limitassero a riproporre le stesse censure già respinte nei precedenti gradi di giudizio, tentando di ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità.

La decisione si fonda sulla coerenza e attendibilità delle testimonianze degli agenti operanti, riscontrate da elementi oggettivi. La Corte ha evidenziato come la ricostruzione difensiva fosse palesemente smentita dalle prove raccolte.

La Non Applicabilità della Reazione ad Atto Arbitrario

Uno dei punti centrali del ricorso riguardava l’applicazione della scriminante prevista dall’art. 393-bis del codice penale, che giustifica la reazione violenta del cittadino a un atto arbitrario del pubblico ufficiale. La Cassazione ha escluso categoricamente questa possibilità. Gli agenti stavano svolgendo legittimamente i loro compiti di controllo territoriale per la tutela della salute pubblica, in linea con le normative emergenziali. Non vi è stato alcun comportamento ‘disfunzionale’, ‘incivile’ o ‘scorretto’ da parte loro che potesse qualificare l’atto come arbitrario e, di conseguenza, giustificare la reazione violenta degli imputati.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte sono state chiare e dettagliate. In primo luogo, la versione degli imputati è stata giudicata documentalmente smentita. I referti medici presentati da uno degli imputati a seguito del presunto pestaggio in Questura riportavano una prognosi di ‘zero giorni’ e l’assenza di lesioni rilevabili. Al contrario, i referti degli agenti aggrediti erano compatibili con i fatti denunciati. In secondo luogo, le querele presentate dagli imputati contenevano versioni dei fatti diverse da quelle poi sostenute in dibattimento, minandone la credibilità. Infine, la gravità delle accuse mosse agli agenti, risultate infondate, ha portato il Tribunale a trasmettere gli atti alla Procura per valutare il reato di calunnia a carico degli stessi imputati. La Corte ha quindi ritenuto che la loro condotta non fosse un legittimo esercizio del diritto di difesa, ma un’aggressione ingiustificata e una successiva accusa falsa.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la resistenza a pubblico ufficiale si configura ogni volta che si usa violenza o minaccia per ostacolare l’attività di un ufficiale, a prescindere dall’esito. La reazione del privato è giustificata solo di fronte a un comportamento oggettivamente illegittimo e arbitrario dell’agente. Nel caso di specie, i controlli per il rispetto delle norme sanitarie erano un atto dovuto e legittimo. La decisione della Cassazione, dichiarando l’inammissibilità del ricorso, ha reso definitiva la condanna, aggiungendo il pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, a conferma della palese infondatezza delle loro doglianze.

Quando la reazione di un cittadino a un controllo di polizia è considerata legittima?
Secondo la sentenza, la reazione di un cittadino può essere considerata giustificata solo se si oppone a un comportamento del pubblico ufficiale oggettivamente illegittimo e disfunzionale rispetto ai fini istituzionali, ovvero un ‘atto arbitrario’. Un normale controllo per il rispetto delle leggi, come quello per le norme anti-Covid, non rientra in questa categoria.

Perché il ricorso degli imputati è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché reiterava le stesse argomentazioni già respinte nei gradi di giudizio precedenti e mirava a una nuova valutazione dei fatti, cosa non consentita in Corte di Cassazione. Inoltre, le loro argomentazioni erano state ritenute manifestamente infondate alla luce delle prove.

Quali prove hanno smentito la versione degli imputati che sostenevano di aver subito un abuso?
La loro versione è stata smentita da diversi elementi: a) le testimonianze coerenti degli agenti; b) i referti medici che non attestavano lesioni compatibili con i presunti pestaggi subiti, a differenza di quelli degli agenti; c) le incongruenze tra le querele presentate e quanto dichiarato in dibattimento; d) l’assenza di testimoni a loro favore nonostante i fatti si fossero svolti in pieno giorno su una via pubblica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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