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Resistenza a pubblico ufficiale: quando è reato

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di due manifestanti condannati per resistenza a pubblico ufficiale. Tentare di sfondare un blocco di polizia durante una protesta non è legittima manifestazione del pensiero, ma un’azione collettiva che integra il reato previsto dall’art. 337 c.p., aggravato dal numero di partecipanti. La Corte ha stabilito che le censure basate su una diversa ricostruzione dei fatti non possono essere esaminate in sede di legittimità.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: la Cassazione traccia il confine con la protesta

Il diritto di manifestare il proprio dissenso è un pilastro della democrazia, ma dove finisce la protesta e inizia il reato? Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sulla resistenza a pubblico ufficiale, specificando quando un’azione collettiva durante una manifestazione cessa di essere una forma di protesta per diventare un’azione penalmente rilevante. Il caso analizzato riguarda il tentativo di sfondare un blocco delle forze dell’ordine, un’azione che la Corte ha qualificato come reato.

I Fatti del Caso: Protesta o Azione Collettiva Violenta?

La vicenda trae origine da una manifestazione durante la quale un gruppo di persone ha tentato di forzare un blocco istituito dalla Polizia. L’obiettivo delle forze dell’ordine era impedire ai manifestanti di raggiungere una struttura occupata abusivamente, oggetto di un intervento di sgombero forzato. Due dei partecipanti a questa azione sono stati condannati in primo grado e in appello per il reato di resistenza a pubblico ufficiale.

Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, confermata dalla visione di filmati e dalle dichiarazioni dei verbalizzanti, la condotta degli imputati non si è limitata a una mera manifestazione di protesta, ma si è concretizzata in un’azione di “carica” volta a superare con la forza lo sbarramento della Polizia.

Il Ricorso in Cassazione e la Resistenza a Pubblico Ufficiale

Gli imputati hanno presentato ricorso alla Corte di Cassazione, contestando la loro responsabilità e la configurabilità stessa del reato di resistenza a pubblico ufficiale. I loro motivi di ricorso, tuttavia, sono stati giudicati dalla Suprema Corte come “mere doglianze in punto di fatto”. In altre parole, i ricorrenti non hanno contestato la violazione di norme di legge, ma hanno tentato di offrire una diversa interpretazione dei fatti, un’operazione non consentita in sede di legittimità.

La Decisione della Corte: i motivi della condanna

La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, confermando di fatto la condanna. La decisione si fonda su principi giuridici chiari e consolidati.

L’Inammissibilità per Motivi di Fatto

Il compito della Cassazione non è quello di riesaminare i fatti come un terzo grado di giudizio, ma di assicurare la corretta applicazione della legge (ius in thesi). I ricorsi basati esclusivamente su una rilettura delle prove e sulla ricostruzione degli eventi, come nel caso di specie, esulano dalle competenze della Corte e vengono, pertanto, dichiarati inammissibili.

L’Esclusione della Causa di Giustificazione

I giudici hanno ritenuto correttamente valorizzato il contesto dell’azione. Il tentativo di sfondamento di un blocco di polizia non può essere giustificato come reazione a un atto arbitrario (art. 393-bis c.p.). L’azione delle forze dell’ordine era legittima e finalizzata a mantenere l’ordine pubblico, pertanto la reazione violenta dei manifestanti non poteva essere scriminata.

La Conferma dell’Aggravante

È stata inoltre confermata la sussistenza dell’aggravante del reato commesso da un alto numero di persone, desunto chiaramente dai filmati acquisiti agli atti. Questa circostanza ha contribuito a delineare la gravità del comportamento tenuto dai manifestanti.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si concentrano sulla distinzione tra l’esercizio del diritto di manifestazione e la commissione di atti di violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale mentre compie un atto del proprio ufficio. La condotta degli imputati, inserita in un’azione collettiva di “carica” contro il cordone di polizia, è stata inequivocabilmente interpretata come un tentativo di sfondamento forzato. Questo comportamento integra pienamente gli elementi del reato di resistenza a pubblico ufficiale, in quanto finalizzato a impedire alle forze dell’ordine di svolgere il proprio legittimo compito. La Cassazione ha ribadito che il giudizio di merito aveva correttamente valutato le prove, escludendo qualsiasi causa di giustificazione, anche solo putativa, e riconoscendo la gravità dei fatti anche in relazione all’elevato numero di partecipanti.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: il diritto di protesta non è illimitato e non può mai tradursi in atti di violenza o di sopraffazione fisica contro le forze dell’ordine. La decisione chiarisce che azioni come il tentativo di sfondare un blocco di polizia costituiscono una condotta penalmente rilevante, qualificabile come resistenza a pubblico ufficiale. Per i cittadini, ciò significa che la partecipazione a manifestazioni deve avvenire nel rispetto della legge, evitando comportamenti che possano essere interpretati come un’opposizione violenta all’operato delle autorità. Per gli operatori del diritto, la sentenza consolida l’orientamento secondo cui le contestazioni fattuali non possono trovare spazio nel giudizio di legittimità, che resta ancorato al controllo sulla corretta applicazione delle norme giuridiche.

Tentare di sfondare un blocco di polizia durante una manifestazione costituisce reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, un’azione collettiva consistente nel tentativo di sfondare un blocco creato dalla Polizia integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale previsto dall’art. 337 del codice penale.

Un’azione di “carica” contro le forze dell’ordine può essere considerata una semplice manifestazione di protesta?
No. La Corte ha chiarito che un’azione di “carica” non è una mera manifestazione di protesta, ma una condotta penalmente rilevante che si colloca al di fuori dell’esercizio legittimo del diritto di manifestare.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi proposti erano costituiti da “mere doglianze in punto di fatto”, ovvero contestazioni sulla ricostruzione degli eventi, che non sono consentite in sede di legittimità. La Corte di Cassazione valuta solo la corretta applicazione della legge, non il merito dei fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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