Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 44080 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 44080 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME nata in Romania il 24/10/1986
avverso la sentenza del 07/05/2024 della Corte di appello di Ancona;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Ancona riformava parzialmente la pronuncia di primo grado, rideterminando la pena inflitta, e confermava nel resto la medesima pronuncia del 7 novembre 2022 con la quale il Tribunale di Ancona aveva condannato NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 337 e 651 cod. pen., commessi il 13 ottobre 2018.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputata, con atto sottoscritto dal suo difensore, la quale, con due distinti motivi ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al reato contestato di resistenza a pubblico ufficiale e in relazione al reato contravvenzionale di rifiuto di indicazion sulla propria identità personale, sostenendo che gli elementi di prova in atti avevano escluso la ricorrenza degli elementi costitutivi dei due illeciti.
Il procedimento è stato trattato nell’odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità dì cui all’art. 23, commi 8 e 9, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati da successive disposizioni di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene il Collegio che il ricorso non superi il vaglio preliminare d ammissibilità perché entrambi i motivi dedotti sono manifestamente infondati ovvero sono stati presentati per proporre ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
La ricorrente solo formalmente ha indicato, come motivi della sua impugnazione, violazioni di legge, in realtà prospettando in maniera indeterminata vizi della motivazione, senza però riferire alcuna reale contraddizione GLYPH logica, GLYPH intesa GLYPH come GLYPH implausibilità GLYPH delle GLYPH premesse dell’argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni; né essendo stata lamentata, come pure sarebbe stato astrattamente possibile, una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte del procedimento.
La ricorrente, invero, si è limitato a criticare il significato che la Cort appello di Ancona aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante l’istruttoria dibattimentale di primo grado. E tuttavia, bisogna rilevare come il ricorso, lungi dal proporre un ‘travisamento delle prove’, vale a dire una incompatibilità tra l’apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione, è stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di ‘travisamento dei fatti’ oggetto di analisi, sollecitando un’inammissibil rivalutazione dell’intero materiale d’indagine, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte
territoriale nell’ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.
La motivazione contenuta nella sentenza impugnata (integrabile anche con la motivazione della conforme sentenza di primo grado) possiede una stringente e completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta illogicità, né alcuna delle prospettate violazioni di legge.
In particolare, dalla lettura della sentenza di primo grado si evince la seguente sequenza temporale dei fatti:
il 13 ottobre 2018 i carabinieri si recavano presso il bar City di Falconara Marittima su richiesta del titolare che lamentava la presenza di una persona molesta;
giunti sul posto, gli operanti notavano l’imputata dietro il bancone in evidente stato di ubriachezza;
il titolare del locare riferiva che la donna, in seguito al rifiuto di versarl bere, aveva gettato a terra una zuccheriera e si era poi portata dietro al bancone rovesciando alcune bottiglie;
gli intervenuti chiedevano alla donna di esibire documenti e dichiarare le generalità, ma la predetta reagiva gridando «avete rotto i coglioni, sempre le stesse cose», dopodiché usciva dal locale e iniziava a denudarsi mostrando il seno;
nel tentativo di riportarla alla calma veniva afferrata per un braccio; a quel punto l’imputata si dimenava cercando di svincolarsi e di darsi alla fuga, tant’è che veniva, infine, ammanettata e condotta in caserma.
Corretta è la motivazione fornita dalla sentenza impugnata che sottolinea che ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 337 cod. pen., l’ divincolarsi posto in essere da un soggetto fermato dalla polizia giudiziaria integra il requisito della violenza e non una condotta di mera resistenza passiva, quando costituisce non una reazione spontanea ed istintiva al compimento dell’atto del pubblico ufficiale, ma un vero e proprio impiego di forza diretto a neutralizzarne l’azione ed a sottrarsi alla presa, guadagnando la fuga (Sez. 6, n. 8997 del 11/02/2010, COGNOME, Rv. 246412). Nel caso in esame, legittimamente la Corte d’appello ha ritenuto integrati i presupposti della fattispecie di reat contestata in considerazione della condotta dell’imputata, che non può essere ridotta al novero degli atti di semplice resistenza passiva, perché il tentativo di sottrazione all’identificazione da parte dei carabinieri ha comportato l’esercizio di una forza volta a sottrarsi alle richieste degli stessi: l’imputata, infatti, c riferito dalle deposizioni testimoniali, si era sottratta alla richiesta di forni
proprie generalità prima dimenandosi e denudandosi, e poi divincolandosi e spintonando, nel tentativo di darsi alla fuga, gli operanti intervenuti.
Anche il secondo motivo è inammissibile, perché meramente reiterativo di doglianze su cui la Corte di appello si è pronunciata con motivazione logica e non contraddittoria, ritenendo integrata la contravvenzione di cui al capo di imputazione perché l’imputata, pur se già conosciuta alle forze dell’ordine, andava correttamente identificata fin dal suo accesso presso l’esercizio pubblico, attività che gli operanti non riuscivano a svolgere a causa della sua resistenza.
Decisione in linea con il pacifico indirizzo giurisprudenziale secondo il quale il reato di cui all’art. 651 cod. pen. si perfeziona con il semplice rifiuto di fornire al pubblico ufficiale indicazioni circa la propria identità personale, per cui irrilevante, ai fini dell’integrazione dell’illecito, che tali indicazioni vengano fo successivamente o che l’identità del soggetto fosse agevolmente accertabile per la conoscenza personale da parte del pubblico ufficiale o per altra ragione (così, tra le altre, Sez. 6, n. 598 del 10/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285884-01).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento in favore dell’erario delle spese del presente procedimento ed al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma, che si stima equo fissare nell’importo indicato nel dispositivo che segue.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19/11/2024