Resistenza a Pubblico Ufficiale: la Violenza Indiretta Basta per la Condanna
Il reato di resistenza a pubblico ufficiale è uno dei più comuni e, allo stesso tempo, uno dei più fraintesi. Molti credono che per essere condannati sia necessario un atto di violenza fisica diretta contro l’agente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce, ancora una volta, che non è così: anche una condotta violenta finalizzata semplicemente a impedire un atto d’ufficio è sufficiente per integrare il reato. Analizziamo insieme questo importante caso.
I Fatti di Causa
La vicenda trae origine da un controllo di polizia durante il quale le forze dell’ordine stavano procedendo al sequestro di un ciclomotore. Il proprietario del veicolo si opponeva strenuamente all’operazione, adottando una condotta talmente energica e violenta da rendere necessario l’intervento di ben cinque agenti per portare a termine l’atto d’ufficio. A seguito di questi eventi, l’uomo veniva condannato in primo grado e in appello per il reato di resistenza a pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 337 del codice penale.
Il Ricorso in Cassazione: una Diversa Lettura dei Fatti
L’imputato decideva di ricorrere alla Corte di Cassazione, basando la sua difesa su un unico motivo: l’assenza di una vera e propria violenza esercitata direttamente nei confronti dei pubblici ufficiali. Secondo la sua tesi, la sua condotta non era rivolta contro la persona degli agenti, ma era unicamente tesa a impedire la rimozione del ciclomotore. Il ricorso, inoltre, cercava di sollecitare una rilettura della testimonianza di uno dei Carabinieri intervenuti, ritenuta cruciale.
La Decisione della Corte sulla Resistenza a Pubblico Ufficiale
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. Gli Ermellini hanno chiarito due punti fondamentali che chiudono la porta alla difesa dell’imputato e forniscono importanti principi di diritto.
Le Motivazioni
In primo luogo, la Corte ha ribadito che il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. Il tentativo dell’imputato di ottenere una nuova valutazione della testimonianza è stato giudicato inammissibile, poiché tale compito spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado, i quali avevano già fornito una motivazione logica e puntuale per la condanna.
In secondo luogo, e questo è il cuore della decisione, i giudici hanno richiamato un principio consolidato in giurisprudenza: per integrare il reato di resistenza a pubblico ufficiale, non è necessaria una violenza rivolta direttamente contro la persona fisica dell’agente. È sufficiente che la condotta violenta sia, in concreto, idonea a impedire o anche solo a ostacolare il compimento di un atto d’ufficio. Nel caso specifico, la resistenza opposta al sequestro del ciclomotore, che ha richiesto l’intervento di cinque operatori, è stata considerata una manifestazione di violenza pienamente sufficiente a configurare il reato contestato.
Le Conclusioni
Questa ordinanza rafforza un’interpretazione rigorosa dell’articolo 337 del codice penale. Il messaggio è chiaro: qualsiasi azione violenta, anche se non si traduce in un’aggressione fisica diretta all’agente, ma che ha lo scopo e l’effetto di intralciare l’operato delle forze dell’ordine, costituisce reato. La decisione serve da monito, sottolineando che l’opposizione a un legittimo atto d’ufficio deve sempre avvenire nel rispetto della legge e senza l’uso di alcuna forma di violenza o minaccia, pena l’incorrere in gravi conseguenze penali.
Per configurare il reato di resistenza a pubblico ufficiale, la violenza deve essere diretta contro la persona dell’agente?
No, secondo la Corte di Cassazione, il reato si configura anche quando la condotta violenta non è rivolta direttamente contro il pubblico ufficiale, ma è comunque concretamente idonea a impedire o ostacolare il compimento di un atto d’ufficio.
In questo caso, quale è stata la condotta considerata violenta dall’imputato?
L’imputato ha adottato una condotta violenta nel tentativo di impedire l’esecuzione del sequestro di un ciclomotore, la cui intensità è stata tale da rendere necessario l’intervento di cinque agenti per completare l’operazione.
Perché il ricorso presentato alla Corte di Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché mirava a ottenere una nuova valutazione delle prove e dei fatti, come la testimonianza di un carabiniere, un compito che spetta ai giudici di merito (primo e secondo grado) e non alla Corte di Cassazione. Quest’ultima ha ritenuto che la decisione d’appello fosse già logica e adeguatamente motivata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 16254 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 16254 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a NOTO il 05/04/1975
avverso la sentenza del 28/05/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
n. 108/25 COGNOME
OSSERVA
Visti gli atti e la sentenza impugnata (condanna per il reato di cui all’ art. 337 cod. pen.);
Esaminati i motivi di ricorso, nonché la memoria in data 18 febbraio 2025;
Ritenuto che l’unico motivo di ricorso (ribadito con la citata memoria), con cui il ricorrente censura la configurabilità del reato contestato, sostenendo che non sia stata esercitata alcuna violenza nei confronti dei pubblici ufficiali intervenuti, è inammissibile perché teso a sollecitare una diversa lettura delle fonti di prova rispetto a quella operata dal giudice di merito, in particolare della testimonianza del Carabiniere COGNOME senza misurarsi con gli apprezzamenti di merito adeguatamente scrutinati dalla Corte d’appello con puntuale e logico apparato argomentativo.
Entrambi i giudici di merito, nel valutare gli elementi emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale, hanno ritenuto sussistenti i presupposti richiesti dalla norma incriminatrice ai fini della configurabilità del reato contestato, con riferimento, in particolare, all’esercizio di una condotta violenta che, anche se non rivolta direttamente nei confronti del pubblico ufficiale, sia in concreto idonea ad impedire o ad ostacolare il compimento di un atto di ufficio (Sez. 6, n. 6069 del 13/01/2015, Rv. 262342 – 01). Nel caso in esame, come emerso dalle dichiarazioni testimoniali vagliate dai giudici di merito, l’imputato ha adottato una condotta violenta nel tentativo di impedire l’esecuzione del sequestro di un ciclomotore da parte dei militari intervenuti, tale da rendere necessario l’intervento di ben cinque operanti (v. pag. 4 sentenza di primo grado);
Rilevato, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 04/04/2025