Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 18589 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 18589 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato a Sassari il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nata in Brasile il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/5/2023 emessa dalla Corte di appello di Sassari visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni formulate dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto di dichiarare inammissibili
i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello confermava la condanna degli imputati per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali aggravate, commesse ai danni degli agenti di polizia intervenuti presso la loro abitazione, a
seguito della segnalazione di una lite in famiglia.
Avverso tale sentenza, i ricorrenti hanno formulato tre motivi di impugnazione che possono essere congiuntamente esaminati.
In particolare, si assume che l’imputato COGNOME non avrebbe aggredito gli agenti, bensì sarebbe stato da questi colpito e costretto a terra, nel tentativo vano di ammanettarlo. A seguito di tale condotta violenta e delle grida di dolore conseguenti, sarebbero intervenuti a difesa di COGNOME la moglie COGNOME e la madre COGNOME, le quali avrebbero tentato di difendere il figlio dall’aggressione in corso.
Si assume che la ricostruzione dei fatti, essenzialmente compiuta sulla base delle dichiarazioni degli agenti, non sarebbe attendibile, sussistendo circostanziati dubbi in ordine al fatto che i predetti sarebbero stati aggrediti.
In ogni caso, non sarebbe configurabile il reato di resistenza a pubblico ufficiale, posto che non è specificato quale atto d’ufficio sarebbe stato impedito dalla condotta di COGNOME, il quale si era limitato a reagire verbalmente ad un atto indebito, posto che gli agenti lo avevano costretto a rimanere nella propria camera da letto, senza alcuna apparente ragione.
Parimenti insussistente sarebbero i reati contestati alla COGNOME, la quale non solo non aveva colpito alcuno degli agenti intervenuti, ma, nel momento in cui era scesa in strada per rassicurare gli operanti in ordine al fatto che il marito si era calmato, veniva costretta a salire sull’autovettura di servizio, in difetto d qualsivoglia elemento che ne consentisse l’arresto.
3. Il ricorso è stato trattato con rito cartolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono manifestamente infondati.
I motivi di ricorso sono formulati in modo da non consentire l’esatta individuazione di un vizio della motivazione insito nella sentenza impugnata, risolvendosi nella contrapposizione della ricostruzione del fatto sostenuta dalla difesa rispetto a quella recepita nelle conformi sentenze di merito.
I giudici di merito hanno chiarito che l’intervento presso l’abitazione degli imputati era conseguito ad una richiesta formulata dalla COGNOME, madre di COGNOME. Giunti in loco, gli agenti provvedevano a collocare COGNOME nella propria stanza, al fine di separarlo dalla madre ed evitare possibili aggressioni, nel mentre
tentavano di ricostruire la problematica per la quale era stato chiesto il loro intervento.
In tale frangente, COGNOME assumeva la condotta violenta descritta in motivazione, cui conseguiva il necessario tentativo degli agenti di bloccarlo, a fronte di ciò, interveniva in ausilio del marito la COGNOME e, successivamente, anche la COGNOME.
Dopo aver sedato temporaneamente gli aggressori ed avendo richiesto rinforzi, oltre che l’intervento di un’ambulanza, gli agenti si recavano in strada ad attendere i colleghi.
Ciononostante, l’aggressione proseguiva in modo verbale da parte di COGNOME, il quale minacciava ripetutamente gli operanti. Nel contempo, la COGNOME era scesa per strada ed aveva opposto resistenza al tentativo degli agenti di farla salire nell’autovettura di servizio. La COGNOME, una volta collocata nell’autovettura, sferrava pugni e calci, cagionando il danneggiamento della stessa. Subito dopo veniva bloccato anche COGNOME, il quale aveva nuovamente tentato di aggredire gli agenti intervenuti.
Orbene, rispetto alla ricostruzione operata dai giudici di merito, i ricorrenti propongono una rilettura del materiale probatorio, palesando ricostruzioni alternative che, per consolidata giurisprudenza, si traducono nella proposizione di doglianze inammissibili in sede di legittimità.
2.1. Le uniche doglianze astrattamente suscettibili di valutazione in sede di legittimità attengono alla ritenuta insussistenza di un “atto d’ufficio” il c compimento sarebbe stato impedito, nonché nella verifica dell’arbitrarietà della condotta dei pubblici agenti.
Entrambe le questioni sono manifestamente infondate.
Per quanto attiene al primo aspetto, è sufficiente sottolineare come gli agenti si siano recati presso l’abitazione di COGNOME su richiesta della madre, intimorita dallo stato di agitazione del figlio, presumibilmente indotto dall’abuso di alcol. In tale contesto, l’operato degli agenti era chiaramente volto a tutelare l’incolumità fisica del soggetto che aveva richiesto il loro intervento, ragion per cui del tutto legittimamente avevano provveduto a collocare COGNOME nella sua camera da letto, al fine di impedire il contatto con la madre e compiere quegli inevitabili accertamenti preliminari alla verifica di quanto accaduto e della necessità di adottare ulteriori provvedimenti.
In buona sostanza, gli operanti si trovavano nel pieno e legittimo esercizio della loro funzione che è stata violentemente ostacolata dagli imputati.
Le ragioni sopra richiamate consentono anche di escludere la sussistenza della scriminante della reazione agli atti arbitrari del pubblico ufficiale, posto che alcuna
illegittimità è ravvisabile nella condotta tenuta dagli agenti, sia nella fase precedente l’aggressione all’interno dell’abitazione, sia in quella successiva svoltasi per strada.
In entrambi i casi, infatti, gli agenti si sono limitati a tentare di impedire compimento di atti di violenza, peraltro subendo a loro volta una violenta aggressione che ha comportato lesioni documentalmente accertate.
Alla luce di tali considerazioni, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26 marzo 2024
Il Consigliere estensore
La Presidente