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Resistenza a pubblico ufficiale: quando è legittima?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di alcuni imputati condannati per resistenza a pubblico ufficiale. La Corte ha stabilito che la mancata esibizione dell’ordinanza di arresto non giustifica una reazione violenta se l’atto del pubblico ufficiale non è oggettivamente illegittimo e disfunzionale. Inoltre, ha negato la continuazione tra reati a causa dell’ampio lasso temporale e delle diverse modalità di esecuzione.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Quando la Reazione è Giustificata?

La resistenza a pubblico ufficiale è un reato che tutela il corretto funzionamento della Pubblica Amministrazione, ma cosa accade quando il cittadino percepisce l’atto dell’autorità come ingiusto o illegittimo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui confini tra una reazione punibile e una condotta giustificata, offrendo importanti chiarimenti sull’applicazione dell’esimente della reazione ad atti arbitrari.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un gruppo di persone condannate in appello per il reato di resistenza a pubblico ufficiale. Gli imputati si erano opposti con violenza e minacce all’arresto di un loro congiunto, che doveva essere eseguito in forza di un’ordinanza di custodia cautelare. Ritenendo ingiusta la condanna, gli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali: la presunta legittimità della loro reazione e la richiesta di applicare l’istituto della continuazione con altri reati precedentemente giudicati.

I Motivi del Ricorso: tra Reazione Legittima e Continuazione

I ricorrenti sostenevano che la loro reazione fosse giustificata ai sensi dell’art. 393 bis del codice penale. Questa norma prevede una causa di non punibilità per chi commette violenza o minaccia contro un pubblico ufficiale per reagire a un suo atto arbitrario. Secondo la difesa, l’arbitrarietà consisteva nel fatto che gli agenti non avevano esibito l’ordinanza di custodia cautelare completa delle informazioni previste dalla legge.

Inoltre, tre degli imputati chiedevano che il reato di resistenza venisse considerato in “continuazione” con altri delitti per i quali avevano già riportato sentenze definitive. L’obiettivo era ottenere un trattamento sanzionatorio più favorevole, unificando le pene sotto il vincolo di un unico disegno criminoso.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sulla Resistenza a Pubblico Ufficiale

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i motivi di ricorso inammissibili, ritenendoli manifestamente infondati.

Per quanto riguarda la resistenza a pubblico ufficiale, i giudici hanno chiarito che per invocare l’esimente della reazione ad un atto arbitrario non è sufficiente una mera irregolarità formale. È necessario, invece, che il comportamento del pubblico agente sia oggettivamente illegittimo e disfunzionale, ovvero caratterizzato da modalità “scorrette, incivili e sconvenienti” rispetto allo scopo per cui gli è stato conferito il potere. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che l’operato degli agenti, finalizzato a eseguire un legittimo provvedimento di arresto, non presentasse tali caratteristiche. La reazione violenta e minacciosa degli imputati è stata quindi considerata del tutto sproporzionata e ingiustificata.

Anche il secondo motivo, relativo alla continuazione, è stato respinto. La Corte ha osservato che l’ampio lasso di tempo trascorso tra i reati in questione (commessi nel 2012, 2016, 2018 e 2021) e le diverse modalità con cui erano stati commessi, rendevano illogico ipotizzare un unico disegno criminoso. Questi elementi, uniti alla mancata produzione in giudizio delle sentenze irrevocabili, escludevano la possibilità di applicare l’istituto della continuazione.

Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: la reazione del privato contro un atto della pubblica autorità è scusabile solo in presenza di un’effettiva e palese arbitrarietà da parte del pubblico ufficiale. Semplici vizi procedurali o omissioni non sono sufficienti a legittimare condotte violente o minacciose. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso, volto a proteggere l’ordine pubblico e il regolare svolgimento delle funzioni istituzionali, ricordando al contempo che i criteri per riconoscere la continuazione tra reati sono stringenti e richiedono una prova concreta dell’unicità del disegno criminoso.

Quando è giustificata la reazione violenta contro un pubblico ufficiale?
La reazione è giustificata solo quando il comportamento del pubblico ufficiale è oggettivamente illegittimo e disfunzionale, attuato con modalità scorrette, incivili e sconvenienti. Una semplice irregolarità formale, come la mancata esibizione immediata di un’ordinanza, non è sufficiente.

La mancata esibizione del provvedimento di arresto rende l’atto arbitrario?
No, secondo la Corte, la sola mancata esibizione dell’ordinanza custodiale non rende l’atto arbitrario al punto da giustificare una reazione violenta, specialmente se l’arresto è legittimo e gli agenti stanno eseguendo un ordine dell’autorità giudiziaria.

Quali elementi escludono la possibilità di riconoscere la continuazione tra reati?
Un ampio lasso temporale tra la commissione dei diversi reati e le differenti modalità di esecuzione dei fatti illeciti sono elementi che, secondo la Corte, rendono illogico ipotizzare l’esistenza di un unico disegno criminoso e, di conseguenza, escludono l’applicazione della continuazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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