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Resistenza a pubblico ufficiale: quando è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per resistenza a pubblico ufficiale. La Corte ha ritenuto infondati i motivi relativi alla presunta reazione ad un atto arbitrario e alla contestazione della recidiva, confermando che le minacce e la violenza usate per sottrarsi a un controllo di polizia integrano pienamente il reato.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: la Cassazione chiarisce i limiti della reazione

L’ordinanza in esame offre importanti spunti di riflessione sul delitto di resistenza a pubblico ufficiale, delineando con precisione i confini tra una reazione legittima e una condotta penalmente rilevante. La Suprema Corte, dichiarando inammissibile il ricorso, ha ribadito principi consolidati in materia di minaccia, violenza e cause di giustificazione, come la reazione ad un atto arbitrario. Analizziamo insieme la decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un controllo di polizia finalizzato al contrasto dello spaccio di sostanze stupefacenti. Durante l’operazione, un soggetto, per sottrarsi alla presa di uno degli agenti, si divincolava e proferiva frasi dal chiaro tenore minaccioso, quali: “levami le mani dal braccio, non ti permettere perché ora te la faccio vedere io; questa volta ti faccio piangere, vedrai”.

A seguito di questi eventi, l’uomo veniva condannato sia in primo grado che in appello per il reato di resistenza a pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 337 del codice penale. L’imputato decideva quindi di presentare ricorso per Cassazione, lamentando un’errata applicazione della legge e un vizio di motivazione da parte della Corte d’Appello.

I Motivi del Ricorso: tra Reazione Legittima e Recidiva

L’imputato basava il suo ricorso su tre argomenti principali:

1. Erronea valutazione della condotta: Sosteneva che le sue azioni e parole non integrassero gli estremi del reato contestato.
2. Applicabilità dell’esimente: Chiedeva il riconoscimento della causa di giustificazione prevista dall’art. 393 bis c.p., ovvero la reazione ad un atto arbitrario del pubblico ufficiale, sia in forma reale che putativa (cioè per un errore di percezione della realtà).
3. Mancata esclusione della recidiva: Contestava la conferma dell’aggravante della recidiva, ritenendo che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente motivato sul punto.

La Decisione della Cassazione: Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. La Suprema Corte ha ritenuto le doglianze manifestamente infondate, confermando la correttezza della decisione della Corte territoriale.

Le Motivazioni della Suprema Corte

L’ordinanza si sofferma su ciascuno dei motivi di ricorso, fornendo chiarimenti cruciali.

Sulla Configurazione della Resistenza a Pubblico Ufficiale

La Corte ha stabilito che la Corte d’Appello aveva correttamente qualificato la condotta dell’imputato come violenta e minacciosa. Le frasi pronunciate, unite al gesto di divincolarsi, sono state ritenute idonee a coartare la libertà di azione dell’agente, integrando così pienamente gli elementi del delitto di resistenza a pubblico ufficiale. La valutazione dei giudici di merito è stata considerata logica e adeguata.

Sull’Esclusione della Causa di Giustificazione

Un punto centrale della decisione riguarda il rigetto dell’esimente della reazione ad atto arbitrario (art. 393 bis c.p.). La Cassazione ha ricordato che, per essere applicabile, tale giustificazione richiede un comportamento del pubblico agente che sia oggettivamente illegittimo e disfunzionale, ad esempio per modalità scorrette, incivili o sconvenienti. Nel caso di specie, nessuna di queste condizioni era presente.
Inoltre, è stata esclusa anche l’ipotesi putativa, poiché l’errore sulla legittimità dell’atto deve basarsi su dati fattuali concreti e non su un mero convincimento soggettivo dell’imputato, il quale ha l’onere di fornire tali prove.

Sulla Conferma della Recidiva

Infine, la Corte ha affrontato la questione della recidiva. Sebbene la sentenza d’appello non si fosse espressamente pronunciata sul punto, la Cassazione ha applicato il principio secondo cui la motivazione può essere anche implicita. Il Tribunale aveva già evidenziato l’accentuata pericolosità sociale del soggetto, desunta anche dai precedenti specifici. La Corte d’Appello, nel confermare la pena e nel giudicare impossibile un’ulteriore riduzione, ha implicitamente rigettato la richiesta di esclusione della recidiva, ritenendola congrua alla luce della gravità dei fatti e della personalità dell’imputato.

Conclusioni

Questa ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la reazione a un controllo di polizia, anche se percepito come sgradito, deve rimanere entro i limiti della legalità. L’uso di frasi minacciose o di violenza fisica per opporsi all’operato delle forze dell’ordine configura il grave reato di resistenza a pubblico ufficiale. La possibilità di invocare una reazione a un atto arbitrario è strettamente circoscritta a casi di palese e oggettiva illegittimità dell’azione del pubblico ufficiale, un onere probatorio che ricade su chi la invoca. La decisione conferma, inoltre, come la valutazione sulla recidiva possa essere integrata implicitamente nella complessiva determinazione della congruità della pena.

Quando una reazione verbale durante un controllo di polizia diventa reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Secondo la Corte, una reazione verbale integra il reato quando le espressioni usate sono minacciose e aggressive, e risultano idonee a coartare la libertà di azione del pubblico ufficiale, come nel caso di frasi quali “questa volta ti faccio piangere, vedrai”.

È possibile giustificare la resistenza all’azione di un pubblico ufficiale sostenendo che il suo atto era illegittimo?
Sì, ma solo a condizioni molto rigorose. La causa di giustificazione della reazione ad un atto arbitrario (art. 393 bis c.p.) richiede che il comportamento del pubblico agente sia oggettivamente illegittimo e disfunzionale (scorretto, incivile, sconveniente). Un mero convincimento soggettivo dell’individuo non è sufficiente.

La Corte d’Appello deve sempre motivare esplicitamente il rigetto di un’istanza sull’esclusione della recidiva?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la motivazione può essere anche implicita. Se la Corte d’Appello conferma la pena ritenendola congrua e impossibile da ridurre ulteriormente, facendo riferimento alla recidiva e alla pericolosità del soggetto, sta implicitamente rigettando la richiesta di escluderla.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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