Resistenza a Pubblico Ufficiale: la Cassazione fa chiarezza sui limiti del reato
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito i confini del delitto di resistenza a pubblico ufficiale, chiarendo quando una condotta aggressiva e minacciosa integra pienamente questo reato, distinguendola da illeciti minori. Il caso analizzato offre spunti fondamentali per comprendere la valutazione dei giudici di fronte a ricorsi basati su motivi ritenuti manifestamente infondati.
I Fatti del Caso
La vicenda trae origine da un episodio avvenuto in un contesto penitenziario. Un soggetto, per opporsi all’attività di alcuni agenti di polizia, non si è limitato a semplici proteste. Dopo aver rivolto minacce verbali, ha estratto dai pantaloni una lametta di 4 centimetri, brandendola verso gli operatori. Successivamente, per evitare di essere perquisito, ha spintonato gli agenti, facendone cadere uno a terra. Per questi fatti, veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di resistenza a pubblico ufficiale.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
L’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, articolando la sua difesa su tre punti principali:
1. Errata applicazione della legge: Sosteneva che la sua condotta non integrasse il reato di resistenza, ma al più quelli minori di ingiuria e minaccia.
2. Mancata applicazione di una causa di non punibilità: Invocava, in termini generici, l’applicazione dell’art. 393 bis del codice penale, che esclude la punibilità per chi reagisce a un atto arbitrario del pubblico ufficiale.
3. Censura sulla pena: Contestava sia il riconoscimento della recidiva sia l’entità della pena, ritenuta eccessiva.
Analisi della Cassazione sulla Resistenza a Pubblico Ufficiale
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicando tutti i motivi proposti come manifestamente infondati. I giudici hanno sottolineato che la Corte d’Appello aveva correttamente qualificato i fatti. La condotta dell’imputato non era una semplice espressione di volgarità o una minaccia generica; al contrario, era un comportamento aggressivo e minaccioso finalizzato a uno scopo preciso: costringere gli agenti a omettere un atto del loro ufficio, ovvero la perquisizione.
La Differenza tra Minaccia e Resistenza
Il punto centrale della decisione è la distinzione tra una minaccia fine a se stessa e una minaccia che diventa strumento per opporsi a un atto pubblico. La Cassazione ha ribadito il principio secondo cui si configura il delitto di resistenza a pubblico ufficiale quando il comportamento aggressivo è diretto a incidere sull’attività dell’ufficio o del servizio, trascendendo la mera offesa personale. L’uso della lametta e la successiva azione fisica (lo spintone) sono stati considerati elementi idonei a coartare la volontà degli agenti, realizzando pienamente la fattispecie prevista dall’art. 337 c.p.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha smontato punto per punto le doglianze del ricorrente. Il primo motivo è stato respinto perché la valutazione della Corte d’Appello era logica e adeguata nel descrivere la condotta come violenta e finalizzata a opporsi agli agenti.
Anche il secondo motivo, relativo alla reazione ad un atto arbitrario, è stato giudicato inammissibile perché sollevato in modo generico, senza un reale confronto con le argomentazioni della sentenza impugnata. Infine, la Corte ha confermato la correttezza della motivazione sulla pena. La recidiva è stata giustificata sulla base dei numerosi precedenti penali dell’imputato, anche per reati violenti come rapina e lesioni, che dimostravano una sua accresciuta pericolosità sociale. Lo scostamento della pena dal minimo edittale è stato ritenuto adeguato in considerazione della gravità del fatto, in particolare l’uso di una lametta e il concreto rischio per l’incolumità degli agenti.
Le Conclusioni
Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: per integrare il reato di resistenza a pubblico ufficiale, non è necessaria una violenza estrema, ma è sufficiente una condotta minacciosa o violenta che sia oggettivamente idonea a ostacolare l’azione del pubblico ufficiale. La decisione serve anche da monito sull’importanza di formulare ricorsi specifici e ben argomentati; le censure generiche e non supportate da un confronto critico con la sentenza precedente sono destinate a essere dichiarate inammissibili, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Quando una minaccia a un pubblico ufficiale diventa reato di resistenza?
Quando il comportamento minaccioso e aggressivo non è fine a se stesso, ma è specificamente diretto a costringere l’ufficiale a compiere o a omettere un atto contrario ai propri doveri, incidendo così sull’attività del pubblico servizio.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati sono stati giudicati ‘manifestamente infondati’, ovvero palesemente privi di fondamento giuridico e fattuale. Inoltre, le contestazioni erano generiche e non si confrontavano adeguatamente con le motivazioni della sentenza di appello.
Come si giustifica un aumento della pena oltre il minimo per la resistenza a pubblico ufficiale?
Nel caso specifico, l’aumento della pena è stato giustificato dalle concrete circostanze del fatto, come l’utilizzo di una lametta per minacciare gli agenti, che ha comportato un effettivo rischio per la loro incolumità personale. Anche la recidiva, basata su precedenti penali violenti, ha contribuito alla determinazione di una pena più severa.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7550 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7550 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 11/11/1985
avverso la sentenza del 09/05/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; dato avviso alle parti; esaminati i motivi del ricorso di NOMECOGNOME
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che il ricorso – con il quale si eccepisce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla conferma in appello della condanna dell’imputato per il reato di cui all’art. 337 cod. pen. – deve essere dichiarato inammissibile in quanto i motivi dedotti sono manifestamente infondati. Invero, la Corte di appello ha ritenuto la responsabilità dell’imputato in ordine al reato contestato evidenziando in modo adeguato le condotte violente e minacciose poste in essere dal predetto per opporsi agli operanti (in particolare, dopo averli minacciati verbalmente estraeva dai pantaloni una lametta della lunghezza di 4 cm circa brandendola verso gli agenti di Polizia penitenziaria; successivamente spintonava gli operanti, trascinandone al suolo uno, al fine di evitare di essere perquisito); condotta che, in modo non illogico, la sentenza impugnata ha ritenuto minacciosa e aggressiva e idonea a coartare la volontà degli operanti. In tal modo, la sentenza impugnata ha fatto buon governo del principio secondo cui sussiste il delitto di cui all’art. 337 cod. pen., e non quelli di ingiuria e di minaccia, quando i comportamento aggressivo nei confronti del pubblico ufficiale è – come nel caso di specie – diretto a costringere il soggetto a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell’ufficio, trascendendo la mera espressione di volgarità ingiuriosa e di atteggiamento genericamente minaccioso, essendo invece finalizzato ad incidere sull’attività dell’ufficio o del servizio (Sez. 6, n. 23684 d 14/05/2015, COGNOME, Rv. 263813 – 01);
Rilevato che inammissibile risulta anche il motivo con il quale si invoca, in termini generici e senza confrontarsi con la adeguata argomentazione negativa sul punto adottata dalla sentenza impugnata (pag. 6), l’applicazione dell’art. 393 bis cod. pen.;
Rilevato, infine, che immune da censure risulta anche l’ultimo motivo del ricorso; la conferma della ritenuta recidiva è stata motivata in modo congruo – e dunque insindacabile in questa sede – con riferimento ai numerosi precedenti penali, anche a base violenta (per rapina e lesioni personali) dimostrativi dell’accresciuta pericolosità sociale dell’imputato, mentre il – modesto scostamento rispetto al minimo edittale per il reato di resistenza è adeguatamente giustificato alla luce delle circostanze del fatto (utilizzo di lametta per minacciare gli agenti, con conseguente rischio per la loro incolumità personale);
Ritenuto dunque che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma giudicata congrua – di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso il 20/01/2025