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Resistenza a pubblico ufficiale: quando è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un individuo condannato per resistenza a pubblico ufficiale. L’imputato aveva minacciato degli agenti con una lametta per non essere ricondotto in cella. La Corte ha ritenuto le doglianze una mera rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità, confermando la condanna.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: la Cassazione Conferma la Condanna

Il reato di resistenza a pubblico ufficiale è una fattispecie che tutela il corretto funzionamento della Pubblica Amministrazione, sanzionando chi si oppone con violenza o minaccia all’operato dei suoi funzionari. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per analizzare i confini di questo delitto e i limiti del ricorso in sede di legittimità. Il caso riguarda un individuo che ha minacciato degli agenti con una lametta per evitare di essere riportato nella sua cella.

I Fatti del Caso: Minaccia con una Lametta in Cella

La vicenda processuale ha origine da un episodio avvenuto in un istituto di pena. Un detenuto, per opporsi agli agenti che stavano per ricondurlo nella propria cella, li ha minacciati di aggredirli brandendo una lametta. La sua condotta, dal chiaro tenore intimidatorio, ha integrato secondo i giudici di merito il delitto di resistenza a pubblico ufficiale. La Corte d’Appello di Cagliari, con sentenza del 7 marzo 2023, aveva confermato la sua colpevolezza, ritenendo la motivazione solida e immune da vizi. Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione.

L’Analisi della Corte di Cassazione sulla resistenza a pubblico ufficiale

La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 10817 del 2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno basato la loro decisione su due pilastri argomentativi principali: l’inammissibilità delle censure volte a una nuova valutazione dei fatti e la manifesta infondatezza delle stesse nel merito.

La Rivalutazione dei Fatti non è Ammessa in Cassazione

Il ricorrente, secondo la Corte, non ha sollevato questioni relative a errori di diritto o a vizi logici della motivazione. Al contrario, le sue doglianze erano dirette a replicare profili di censura già esaminati e respinti dalla Corte d’Appello. In sostanza, si chiedeva alla Cassazione di effettuare una nuova e diversa valutazione delle prove, come la testimonianza dell’agente, attività che è preclusa nel giudizio di legittimità. La Corte Suprema non è un terzo grado di giudizio dove si riesamina il fatto, ma un organo che verifica la corretta applicazione della legge.

La Condotta Intimidatoria come Elemento del Reato

Anche entrando nel merito, la Corte ha definito le censure manifestamente infondate. La Corte d’Appello aveva fornito una motivazione adeguata ed esaustiva, spiegando perché la condotta dell’imputato integrasse pienamente il delitto di resistenza a pubblico ufficiale. La minaccia di aggredire gli agenti con una lametta è stata considerata una condotta dal chiaro tenore intimidatorio, idonea a ostacolare il compimento di un atto d’ufficio. Questa circostanza, confermata da un testimone, era sufficiente per configurare il reato, rendendo irrilevanti le argomentazioni difensive che tentavano di sminuirne la portata.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso in sede di legittimità non può trasformarsi in un appello mascherato. Le doglianze proposte erano inammissibili perché miravano a una rivalutazione delle risultanze probatorie, non consentita senza l’individuazione di specifici travisamenti, cioè di palesi errori nella lettura di un atto processuale. La motivazione della Corte d’Appello è stata giudicata corretta, logica e completa, avendo adeguatamente vagliato e disatteso le argomentazioni difensive. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza conferma che per contestare una condanna in Cassazione non è sufficiente essere in disaccordo con la valutazione delle prove fatta dai giudici di merito. È necessario, invece, individuare specifici vizi di legittimità, come l’errata applicazione di una norma di legge o una motivazione manifestamente illogica o contraddittoria. Per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, viene inoltre ribadito che la minaccia, anche senza contatto fisico, è di per sé sufficiente a integrare la condotta criminosa, purché sia idonea a intimidire il pubblico ufficiale e a ostacolarne l’attività.

Una minaccia verbale o gestuale è sufficiente per configurare il reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Sì, secondo la decisione in esame, una condotta dal chiaro tenore intimidatorio, come minacciare di aggredire degli agenti con una lametta, è sufficiente per integrare pienamente il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, anche in assenza di violenza fisica.

Per quale motivo un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso è dichiarato inammissibile quando le doglianze non riguardano vizi di legittimità (come l’errata applicazione della legge o la motivazione illogica), ma si limitano a proporre una diversa valutazione delle prove e dei fatti già esaminati dal giudice di merito, attività non consentita in sede di legittimità.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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