Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 14840 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 14840 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 31/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME nato a Roma il 26/01/1977
COGNOME NOMECOGNOME nato a Roma il 22/05/1979
avverso la sentenza del 06/03/2024 della Corte di Appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’Avv. NOME COGNOME, difensore di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento dei motivi.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe indicato, la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza emessa all’esito di giudizio ordinario il 12 giugno 2019 dal Tribunale della stessa città, con la quale i due ricorrenti sono stati condannati per il reato di resistenza a pubblico ufficiale e sono stati assolti dal reato di lesio
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personali aggravate dal fine di commettere il reato di resistenza, ingaggiando colluttazioni e scontri con le forze dell’ordine (in Roma, il 21 febbraio 2017).
Tramite i propri rispettivi difensori di fiducia, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto separati ricorsi, articolando i motivi di seguito indicati, che possono essere esposti congiuntamente essendo essenzialmente coincidenti.
2.1. Con il primo motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla configurabilità del concorso di persone, in assenza di riferimenti individualizzati alle condotte tenute dai ricorrenti, anche solo sotto il profilo del con senso manifestato – e quindi del dolo – quale forma di rafforzamento del proposito criminoso con riferimento al reato di resistenza.
Dalle testimonianze assunte e dalle fotografie agli atti è emerso che COGNOME e COGNOME hanno preso parte ad una manifestazione autorizzata cui hanno partecipato oltre duecento persone e che, sebbene fossero stati individuati tra i manifestanti che si trovavano in prima fila, non risulta provato che gli stessi abbiano posto in essere alcun atto di violenza, essendo rimasti estranei ai lanci di oggetti posti in essere da altri soggetti, come peraltro riconosciuto dal Tribunale che li ha assolti dal reato di lesioni personali in danno di alcuni degli agenti rimasti feriti.
2.2. Con il secondo motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., sebbene all’epoca del commesso reato tale normativa era applicabile anche al reato di resistenza, non potendosi applicare retroattivamente la modifica più sfavorevole introdotta successivamente ai fatti che ha incluso il reato di resistenza a pubblico ufficiale tra quelli per i quali detta causa non punibilità non può più trovare applicazione.
Si deve dare atto che il difensore di COGNOME ha depositato motivi nuovi, deducendo la illogicità della motivazione della sentenza impugnata per l’indeterminatezza della specifica condotta ritenuta attribuibile al ricorrente, essendosi fatto dapprima riferimento al lancio di oggetti e poi alla spinta contro il vicequestore COGNOME che ha dichiarato di essere semplicemente caduto a terra per il contatto fisico con il COGNOME, e poi in modo contraddittorio, all’incoraggiamento morale alle condotte oppositive altrui.
Sotto altro profilo si rappresenta che la carica di alleggerimento posta in essere dagli agenti costituisce il presupposto della reazione dei manifestanti, e richiede l’accertamento della sua legittimità, secondo i criteri della proporzionalità
alla situazione di pericolosità in rapporto ad una manifestazione autorizzata e prevalentemente statica che dimostra al contrario l’arbitrarietà dell’azione delle forze di polizia.
Infine, si rimarca l’assenza di prova del dolo specifico e si ribadiscono le ragioni a fondamento della invocata applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi di ricorso sono inammissibili perché manifestamente infondati tperchè afferenti questioni in fatto.
I fatti sono stati ricostruiti dalle due sentenze di merito con valutazione conforme delle medesime emergenze processuali rispetto alle azioni poste in essere dai due ricorrenti contro le Forze di Polizia intervenute per disperdere il gruppo di manifestanti che si è reso protagonista delle condotte violente descritte nell’imputazione.
Le censure articolate nel primo motivo comune ai due ricorsi riproducono e reiterano gli stessi argomenti già prospettati nell’atto di appello, ai quali la Corte territoriale ha dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che i ricorrenti tuttavia non hanno in alcun modo considerato e di cui non hanno in sostanza tenuto conto al fine di confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta ma inesistente carenza o illogicità della motivazione.
Correttamente ai fini della valutazione del concorso nel reato è stato valorizzato il dato della compattezza del gruppo, rimasto unito per opporsi alle forze dell’ordine, costrette ad intervenire per disperdere i manifestanti, tra cui gli odierni ricorrenti che si erano portati in un’area diversa da quella in cui la manifestazione era stata autorizzata, avendo iniziato a prendere di mira con il lancio di oggetti la sede del Partito Democratico.
Inoltre, nella sentenza di appello sono state coerentemente valorizzate con riferimento ai ricorrenti le deposizioni dei testi escussi che li hanno riconosciuti tr i soggetti che hanno preso parte attiva ai comportamenti violenti, oltre ad avere rafforzato ed incitato gli altri al lancio degli oggetti ed avere spinto gli agenti polizia.
Sulla base delle risultanze istruttorie, che sono state correttamente valorizzate e riportate nelle sentenze di merito, senza alcun documentato travisamento,
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le critiche rivolte alla coerenza logica di tutte le considerazioni sviluppate in merito alla loro estraneità ai fatti non possono che ritenersi manifestamente infondate.
Manifestamente infondata è poi la dedotta contraddittorietà della valutazione delle medesime prove da parte della Corte di appello rispetto a quella del giudice di primo grado che ha assolto i due ricorrenti dal concorso nelle lesioni.
Al riguardo è sufficiente osservare che la coerenza logica della sentenza di appello non può essere inficiata da una valutazione del compendio probatorio riferito al diverso capo di imputazione che non è stato oggetto di impugnazione e che è, pertanto, rimasto fuori dal perimetro di cognizione del giudice dell’appello, in osservanza del principio devolutivo dell’impugnazione.
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo dedotto con riferimento alla questione della mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen.
Contrariamente a quanto dedotto dai ricorrente le ragioni per le quali è stata esclusa la possibilità di applicare la detta causa di non punibilità prescindono del tutto dalla modifica normativa introdotta con la legge 8 agosto 2019 n. 77 che ha escluso la possibilità in astratto di ritenere tenue l’offesa quando si procede per il delitto previsto dall’art. 337 cod. pen.
La Corte di appello ha motivato l’esclusione della tenuità del fatto dando conto di aver considerato il fatto di non particolare tenuità secondo i parametri previsti dall’art. 133, comma 1, cod. pen. per le modalità in cui si sono estrinsecate le condotte violente in concorso con altre numerose persone, in ragione anche del notevole impegno di uomini e risorse richiesto alle forze dell’ordine per sedare i disordini.
Attesa l’inammissibilità del ricorso, anche i motivi aggiunti, peraltro reiterativi e ugualmente generici, sono travolti dall’originaria inammissibilità del ricorso (Sez. 5, n. 8439 del 24/01/2020, L., Rv. 278387).
Dalla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare ciascuno una somma, che si ritiene congruo determinare in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle am-
mende.
Così deciso in Roma il giorno 31 gennaio 2025
Il consI.e stensore
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