Resistenza a Pubblico Ufficiale: Spintonare un Agente non è “Resistenza Passiva”
La distinzione tra resistenza attiva e passiva è un punto cruciale nel diritto penale quando si valuta il reato di resistenza a pubblico ufficiale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 35957 del 2024, offre un chiaro esempio di come la giurisprudenza interpreti questa differenza, sottolineando che atti violenti, anche se finalizzati alla fuga, integrano pienamente il reato. Analizziamo insieme la decisione per comprendere meglio i confini di questa fattispecie.
Il Caso in Esame: Dalla Presunta Resistenza Passiva alla Fuga
Il caso ha origine dal ricorso presentato da un uomo condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello per il reato di resistenza a pubblico ufficiale. L’imputato sosteneva, nel suo unico motivo di ricorso, di essersi limitato a una mera “resistenza passiva”, contestando così la sussistenza stessa del reato. A suo dire, il suo comportamento non avrebbe integrato gli estremi della violenza o della minaccia richiesti dalla norma penale.
La Decisione della Corte d’Appello sul Reato di Resistenza
La Corte d’Appello aveva già respinto questa tesi, fornendo una ricostruzione dei fatti ben diversa. Secondo i giudici di merito, la condotta dell’imputato non era stata affatto passiva. Egli, infatti, aveva agito con violenza e minaccia, spintonando uno degli agenti operanti, causandogli lesioni personali, per poi darsi alla fuga. La Corte territoriale aveva sottolineato come queste azioni fossero una chiara dimostrazione di una “resistenza attiva”, finalizzata a opporsi all’atto d’ufficio.
La Valutazione della Cassazione sulla Resistenza a Pubblico Ufficiale
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione precedente. I giudici supremi hanno osservato che il motivo presentato dal ricorrente era generico e non si confrontava in modo specifico con la solida motivazione della Corte d’Appello. Quest’ultima aveva chiaramente spiegato perché la condotta dell’imputato non poteva essere qualificata come passiva, ma rientrava a pieno titolo nella fattispecie di resistenza a pubblico ufficiale.
Le Motivazioni
Il cuore della decisione risiede nella netta distinzione tra un comportamento di semplice non collaborazione e un’azione violenta volta a ostacolare l’operato delle forze dell’ordine. La norma incriminatrice punisce chiunque usi violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale. Nel caso di specie, l’azione di spintonare un agente, arrivando a provocargli lesioni, costituisce un’inequivocabile forma di violenza fisica. La successiva fuga non è un elemento neutro, ma rafforza l’intento dell’imputato di sottrarsi all’atto d’ufficio attraverso un comportamento attivo e oppositivo. La Corte ha quindi ritenuto che il ricorso non scalfisse la logica e coerente argomentazione dei giudici di merito, che avevano correttamente qualificato il fatto come resistenza attiva.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per configurare il reato di resistenza a pubblico ufficiale, è necessaria una condotta attiva che si manifesti tramite violenza o minaccia. La semplice “resistenza passiva”, come il rifiuto di muoversi o una leggera reazione per divincolarsi senza intenti violenti, potrebbe non essere sufficiente. Tuttavia, quando questa opposizione si traduce in un’azione fisica diretta contro l’agente, come una spinta, essa perde il carattere di passività e diventa penalmente rilevante. La decisione conferma che anche un’azione violenta finalizzata unicamente a garantirsi la fuga integra il reato, poiché impedisce o turba il compimento dell’atto d’ufficio. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Qual è la differenza tra resistenza attiva e resistenza passiva secondo questa ordinanza?
Secondo l’ordinanza, la resistenza attiva implica una condotta minacciosa e violenta, come spintonare e arrecare lesioni a un pubblico ufficiale. La resistenza passiva, invece, si limita a una non collaborazione senza violenza.
Spintonare un agente per poi fuggire costituisce reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Sì, la Corte ha stabilito che spintonare un agente, causargli lesioni e poi darsi alla fuga sono azioni che dimostrano una resistenza attiva e, pertanto, integrano pienamente il reato.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non contestava efficacemente le motivazioni della Corte d’Appello. I giudici di secondo grado avevano già spiegato in modo chiaro e logico perché la condotta dell’imputato fosse violenta e attiva, e non meramente passiva.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35957 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35957 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NOCERA INFERIORE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/01/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
letto il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME;
ritenuto che il ricorrente, con l’unico motivo proposto, contesta l’insussistenza del reato di resistenza a pubblico ufficiale, asserendo di essersi limitato a una resistenza passiva;
rilevato che il motivo non si confronta con la motivazione resa dalla Corte di appello che, affrontando la questione, ha dato della condotta minacciosa e violenta realizzata dall’imputato, consistita nello spintonare e arrecare lesioni personali a uno degli operanti, per poi darsi alla fuga, sottolineando come tali azioni siano dimostrative di una resistenza attiva;
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.