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Resistenza a pubblico ufficiale: pluralità di reati

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per resistenza a pubblico ufficiale. L’ordinanza conferma che opporsi a più agenti nello stesso contesto integra un concorso di reati, anche se l’imputato non conosce il numero esatto degli operanti. Viene inoltre validata l’applicazione dell’aggravante della recidiva, motivata dalla propensione dell’imputato a commettere delitti violenti e dalla sua storia criminale.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Quando un’Azione Integra Più Reati

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce importanti aspetti del reato di resistenza a pubblico ufficiale, in particolare quando la condotta è rivolta contro più agenti. La Suprema Corte ha stabilito che, in tali circostanze, si configura un concorso formale di reati, anche se l’autore del gesto non è pienamente consapevole del numero esatto di ufficiali coinvolti. Analizziamo questa decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.

I Fatti del Processo

Il caso esaminato trae origine dal ricorso presentato da un individuo condannato in Corte d’Appello per i reati di cui agli articoli 81 e 337 del codice penale. L’imputato era accusato di aver opposto resistenza a più agenti delle forze dell’ordine durante un controllo. Nel suo ricorso per cassazione, la difesa ha sollevato due questioni principali: in primo luogo, ha contestato la sussistenza di una pluralità di reati di resistenza, sostenendo che l’imputato non avesse avuto l’esatta contezza del numero di operanti presenti. In secondo luogo, ha criticato l’applicazione dell’aggravante della recidiva, ritenendola immotivata.

La Decisione della Corte sulla Resistenza a Pubblico Ufficiale

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le doglianze della difesa e confermando la solidità della sentenza impugnata. Vediamo nel dettaglio come i giudici hanno affrontato i due punti controversi.

La Pluralità di Persone Offese nel Reato di Resistenza

Sul primo punto, la Corte ha ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello fosse logica e completa. I giudici di merito avevano accertato che gli agenti si trovavano così vicini al veicolo dell’imputato da poter illuminare l’abitacolo con le loro torce. Questa circostanza, secondo la Corte, rendeva impossibile escludere che l’imputato, già conosciuto dagli agenti, fosse consapevole della presenza di più di un ufficiale.

Di conseguenza, la Cassazione ha ribadito un principio consolidato, citando anche una pronuncia delle Sezioni Unite: la condotta di chi, in un unico contesto, usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali, integra un concorso formale di reati. In altre parole, si commette un reato di resistenza per ogni pubblico ufficiale a cui ci si oppone.

La Valutazione dell’Aggravante della Recidiva

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo all’applicazione della recidiva, è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha osservato che la sentenza d’appello aveva correttamente motivato la sua decisione, evidenziando elementi concreti come:

* La distanza temporale non eccessiva tra i fatti in giudizio e le condanne precedenti (risalenti al 2014 e 2015).
* La propensione dell’imputato alla commissione di delitti caratterizzati da violenza, come la rapina.

Questi fattori, nel loro insieme, delineavano la condotta dell’imputato come una “manifestazione di maggior riprovevolezza” e la “prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato”.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della Corte si fonda sul rigetto delle argomentazioni del ricorrente, considerate mere “doglianze in punto di fatto”, non ammissibili in sede di legittimità. I giudici supremi non possono riesaminare i fatti del processo, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.

In questo caso, la Corte d’Appello aveva fornito una spiegazione coerente e non illogica sia per la configurazione del concorso di reati di resistenza a pubblico ufficiale, sia per la sussistenza della recidiva. La Cassazione ha ritenuto che la motivazione fosse adeguata, anche se succinta, poiché dava conto delle ragioni concrete che giustificavano le conclusioni raggiunte, in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce due principi fondamentali in materia penale. In primo luogo, il reato di resistenza a pubblico ufficiale si perfeziona nei confronti di ogni singolo agente che subisce la violenza o la minaccia, dando luogo a tanti reati quanti sono gli ufficiali offesi. La piena consapevolezza del numero esatto di agenti non è un requisito indispensabile quando le circostanze del fatto rendono evidente la loro pluralità. In secondo luogo, la motivazione sull’aggravante della recidiva è sufficiente quando il giudice analizza la storia criminale del reo e la natura dei reati commessi, evidenziando una persistente inclinazione a delinquere. La decisione, dichiarando inammissibile il ricorso, ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della cassa delle ammende.

Quando la resistenza contro più agenti costituisce più reati?
Secondo la Corte di Cassazione, la condotta di chi, nel medesimo contesto fattuale, usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali integra un concorso formale di reati. Ciò significa che si configura un reato distinto per ogni pubblico ufficiale coinvolto.

È necessario che chi commette il reato conosca il numero esatto degli agenti presenti?
No. La Corte ha chiarito che non è richiesta una “esatta contezza del limitato numero” di operanti. Se le circostanze del fatto, come la vicinanza degli agenti al veicolo, rendono palese la loro pluralità, è sufficiente per configurare il concorso di reati.

Come viene giustificata l’applicazione dell’aggravante della recidiva?
La Corte ha ritenuto sufficiente una motivazione, anche succinta, che dia conto del fatto che la nuova condotta criminale rappresenta una “significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato”. Elementi come la distanza temporale dai precedenti reati e la natura violenta degli stessi possono essere usati per dimostrare una “maggior riprovevolezza” della condotta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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