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Resistenza a pubblico ufficiale: più agenti, più reati

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per resistenza a più pubblici ufficiali. La Corte ribadisce che opporsi a più agenti, anche in un unico contesto, costituisce un concorso formale di reati e non un’unica violazione, confermando la decisione dei giudici di merito sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Un’Azione, Più Reati se gli Agenti sono Molteplici

L’ordinanza in esame affronta un caso di resistenza a pubblico ufficiale, fornendo chiarimenti cruciali sulla configurazione del reato quando l’azione è diretta contro più agenti contemporaneamente. La Corte di Cassazione, con una decisione netta, ha stabilito che in tali circostanze non si configura un reato unico, bensì un concorso formale di reati, con importanti conseguenze sul calcolo della pena. Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale del diritto penale, offrendo spunti di riflessione sulla natura e sulla pluralità dell’offesa.

I Fatti del Caso

Il ricorrente si era opposto a una sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali. Uno dei motivi del ricorso verteva sulla presunta errata applicazione della disciplina della continuazione tra i diversi episodi di resistenza. In sostanza, la difesa sosteneva che l’opposizione a più agenti nello stesso contesto dovesse essere considerata un unico reato continuato, e non reati distinti.

La Questione della Resistenza a Pubblico Ufficiale Plurima

Il punto centrale della questione giuridica è se la violenza o la minaccia usata per opporsi all’azione di più pubblici ufficiali, nel medesimo contesto di tempo e luogo, integri un singolo reato di resistenza (ex art. 337 c.p.) o tanti reati quanti sono i pubblici ufficiali coinvolti. La difesa del ricorrente propendeva per la prima ipotesi, cercando di ottenere un trattamento sanzionatorio più mite attraverso l’istituto della continuazione.

La Corte, tuttavia, ha seguito un orientamento consolidato, richiamando una pronuncia delle Sezioni Unite, che rappresenta il più alto livello di interpretazione della giurisprudenza di legittimità. Secondo tale orientamento, l’interesse protetto dalla norma sulla resistenza a pubblico ufficiale è il corretto funzionamento della Pubblica Amministrazione, che si realizza attraverso l’attività dei singoli funzionari. Di conseguenza, ogni singolo pubblico ufficiale ostacolato nel compimento del proprio dovere rappresenta la vittima di un’autonoma offesa.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ordini di ragioni.

In primo luogo, un motivo di natura procedurale: la doglianza relativa all’applicazione della continuazione non era stata sollevata nel precedente grado di giudizio (l’appello). In base al principio devolutivo, non è possibile presentare per la prima volta in Cassazione motivi che non siano stati sottoposti all’esame della Corte d’Appello. Questo vizio, da solo, era sufficiente a rendere il ricorso inammissibile su quel punto.

In secondo luogo, e nel merito, la Corte ha definito il motivo comunque “manifestamente infondato”. Ha infatti ribadito che, secondo la giurisprudenza costante e autorevole delle Sezioni Unite (sent. n. 40981/2018), la violenza o la minaccia rivolta a più pubblici ufficiali nello stesso contesto spazio-temporale integra un concorso formale di reati. Con una sola azione si ledono gli interessi di più soggetti pubblici, dando così vita a una pluralità di reati.

Infine, la Corte ha giudicato immune da vizi la motivazione della sentenza d’appello anche per quanto riguarda la determinazione della pena. I giudici di merito avevano correttamente valutato la gravità dei fatti e le condizioni di vita del ricorrente nel confermare gli aumenti di pena per i reati satellite (un ulteriore episodio di resistenza e le lesioni), ritenendoli congrui.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione conferma un principio di diritto di grande importanza pratica. Chi si oppone con violenza o minaccia a una pattuglia di agenti non commette un solo reato, ma tanti reati quanti sono gli agenti presenti. Questo comporta l’applicazione del concorso formale di reati, che prevede l’applicazione della pena per il reato più grave, aumentata fino al triplo. La sentenza sottolinea inoltre il rigore procedurale: i motivi di ricorso devono essere presentati in modo tempestivo nei gradi di merito, pena l’inammissibilità in sede di legittimità. Per l’imputato, la conseguenza è stata la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, a fronte di un ricorso privo di fondamento giuridico.

Cosa succede se ci si oppone a più pubblici ufficiali contemporaneamente?
Secondo la Corte di Cassazione, chiunque utilizzi violenza o minaccia contro più pubblici ufficiali nello stesso contesto commette più reati, uno per ogni ufficiale a cui si è opposto. Si applica la disciplina del concorso formale di reati.

È possibile sollevare una nuova questione legale per la prima volta in Cassazione?
No, la Corte ha chiarito che una doglianza (motivo di ricorso) non sollevata nel giudizio di appello non può essere presentata per la prima volta in Cassazione. Questo rende il motivo inammissibile.

Cosa significa concorso formale di reati in questo contesto?
Significa che con una sola azione (ad esempio, opporsi a una pattuglia) si violano più volte la stessa norma penale (l’art. 337 c.p., uno per ogni agente). La pena sarà quella prevista per il reato più grave, ma aumentata, riflettendo la maggiore gravità del fatto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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