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Resistenza a pubblico ufficiale: omessa custodia del cane

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, confermando la sua condanna per resistenza a pubblico ufficiale. La Corte ha stabilito che anche una condotta puramente omissiva, come il non aver esercitato il dovuto controllo sul proprio cane, integra il reato se impedisce o intralcia l’operato delle forze dell’ordine. È stata inoltre respinta la richiesta di applicare la non punibilità per particolare tenuità del fatto, poiché la gravità complessiva della situazione era già stata valutata come ostativa dai giudici di merito.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Anche Non Controllare il Cane è Reato

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha confermato un importante principio in materia di resistenza a pubblico ufficiale. La sentenza stabilisce che tale reato non si configura solo attraverso azioni violente o minacciose, ma può essere integrato anche da una condotta meramente omissiva. Il caso specifico riguardava un uomo la cui negligenza nel controllare il proprio cane ha di fatto impedito a degli agenti di compiere un atto del loro ufficio.

I Fatti del Caso: Un Cane Usato come Ostacolo

La vicenda giudiziaria trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di cui all’art. 337 del codice penale. L’imputato non aveva posto in essere un’aggressione diretta nei confronti degli agenti, ma si era limitato a non esercitare il dovuto controllo sul proprio cane. Questo comportamento, apparentemente passivo, ha creato una situazione di pericolo per gli operanti, ostacolandoli e impedendo loro di portare a termine il proprio compito.

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo due motivi principali: in primo luogo, che una semplice omissione non potesse costituire resistenza a pubblico ufficiale; in secondo luogo, che i giudici avrebbero dovuto riconoscere la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, data la natura dell’accaduto.

La Decisione sulla Resistenza a Pubblico Ufficiale Omissiva

La Suprema Corte ha rigettato il primo motivo di ricorso, ritenendo la decisione della Corte d’Appello immune da censure. I giudici hanno ribadito un principio consolidato in giurisprudenza: integra il delitto di resistenza a pubblico ufficiale qualsiasi condotta, sia essa attiva od omissiva, che si traduca in un atteggiamento, anche implicito, volto a impedire, intralciare o compromettere la regolarità del compimento di un atto d’ufficio.

La condotta dell’imputato, pur non essendo un’azione diretta, ha avuto come risultato la creazione di un ostacolo concreto all’attività dei pubblici ufficiali. Pertanto, la sua responsabilità penale è stata considerata pienamente provata sia in fatto che in diritto.

La Questione della Particolare Tenuità del Fatto

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. L’imputato lamentava la mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p. sulla non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Cassazione, tuttavia, ha definito la questione irrilevante nel caso di specie.

La ragione è prettamente processuale: la Corte d’Appello aveva già effettuato una valutazione nel merito, escludendo l’applicabilità di tale beneficio sulla base della ‘complessiva gravità del fatto’. Di conseguenza, anche se in astratto il reato di resistenza potesse rientrare nell’ambito della norma, la valutazione concreta del giudice ne avrebbe comunque impedito l’applicazione. In altre parole, la gravità specifica della condotta era stata giudicata ostativa a prescindere da questioni di legittimità costituzionale sollevate dal ricorrente.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri. Il primo è l’interpretazione estensiva della nozione di ‘resistenza’, che non si limita alla violenza fisica ma include ogni comportamento che produce l’effetto di ostacolare un pubblico ufficiale. Il mancato controllo di un animale che crea pericolo rientra pienamente in questa categoria. Il secondo pilastro è il principio di rilevanza processuale: una questione, anche di legittimità costituzionale, non viene esaminata se la sua risoluzione non è in grado di influenzare l’esito finale del giudizio. Poiché i giudici di merito avevano già escluso la tenuità del fatto per la sua gravità intrinseca, discutere della sua applicabilità astratta era diventato superfluo.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce che la resistenza a pubblico ufficiale è un reato a forma libera, il cui elemento chiave è l’opposizione all’atto d’ufficio, indipendentemente dalle modalità con cui essa si manifesta. I cittadini hanno il dovere di non frapporre ostacoli, neanche passivi, all’operato delle autorità. La decisione finale della Corte è stata quella di dichiarare il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Si può essere condannati per resistenza a pubblico ufficiale senza usare violenza diretta?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che qualsiasi condotta, anche omissiva come il non controllare il proprio cane, che abbia l’effetto di impedire o intralciare l’azione di un pubblico ufficiale, integra il reato di resistenza.

Il mancato controllo del proprio cane può costituire reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Sì. Nel caso esaminato, la condotta omissiva dell’imputato, consistita nel non aver controllato il proprio cane, è stata ritenuta idonea a creare un pericolo per gli agenti e a impedire il compimento di un atto d’ufficio, configurando così il reato.

Perché la Corte non ha concesso la non punibilità per particolare tenuità del fatto?
La Corte ha ritenuto irrilevante la questione perché i giudici di merito avevano già valutato la situazione concreta, concludendo che la ‘complessiva gravità del fatto’ era tale da escludere a priori l’applicazione di tale beneficio, rendendo inutile ogni ulteriore discussione sulla sua astratta applicabilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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