Resistenza a Pubblico Ufficiale: Anche Non Controllare il Cane è Reato
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha confermato un importante principio in materia di resistenza a pubblico ufficiale. La sentenza stabilisce che tale reato non si configura solo attraverso azioni violente o minacciose, ma può essere integrato anche da una condotta meramente omissiva. Il caso specifico riguardava un uomo la cui negligenza nel controllare il proprio cane ha di fatto impedito a degli agenti di compiere un atto del loro ufficio.
I Fatti del Caso: Un Cane Usato come Ostacolo
La vicenda giudiziaria trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di cui all’art. 337 del codice penale. L’imputato non aveva posto in essere un’aggressione diretta nei confronti degli agenti, ma si era limitato a non esercitare il dovuto controllo sul proprio cane. Questo comportamento, apparentemente passivo, ha creato una situazione di pericolo per gli operanti, ostacolandoli e impedendo loro di portare a termine il proprio compito.
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo due motivi principali: in primo luogo, che una semplice omissione non potesse costituire resistenza a pubblico ufficiale; in secondo luogo, che i giudici avrebbero dovuto riconoscere la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, data la natura dell’accaduto.
La Decisione sulla Resistenza a Pubblico Ufficiale Omissiva
La Suprema Corte ha rigettato il primo motivo di ricorso, ritenendo la decisione della Corte d’Appello immune da censure. I giudici hanno ribadito un principio consolidato in giurisprudenza: integra il delitto di resistenza a pubblico ufficiale qualsiasi condotta, sia essa attiva od omissiva, che si traduca in un atteggiamento, anche implicito, volto a impedire, intralciare o compromettere la regolarità del compimento di un atto d’ufficio.
La condotta dell’imputato, pur non essendo un’azione diretta, ha avuto come risultato la creazione di un ostacolo concreto all’attività dei pubblici ufficiali. Pertanto, la sua responsabilità penale è stata considerata pienamente provata sia in fatto che in diritto.
La Questione della Particolare Tenuità del Fatto
Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. L’imputato lamentava la mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p. sulla non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Cassazione, tuttavia, ha definito la questione irrilevante nel caso di specie.
La ragione è prettamente processuale: la Corte d’Appello aveva già effettuato una valutazione nel merito, escludendo l’applicabilità di tale beneficio sulla base della ‘complessiva gravità del fatto’. Di conseguenza, anche se in astratto il reato di resistenza potesse rientrare nell’ambito della norma, la valutazione concreta del giudice ne avrebbe comunque impedito l’applicazione. In altre parole, la gravità specifica della condotta era stata giudicata ostativa a prescindere da questioni di legittimità costituzionale sollevate dal ricorrente.
Le Motivazioni della Corte
Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri. Il primo è l’interpretazione estensiva della nozione di ‘resistenza’, che non si limita alla violenza fisica ma include ogni comportamento che produce l’effetto di ostacolare un pubblico ufficiale. Il mancato controllo di un animale che crea pericolo rientra pienamente in questa categoria. Il secondo pilastro è il principio di rilevanza processuale: una questione, anche di legittimità costituzionale, non viene esaminata se la sua risoluzione non è in grado di influenzare l’esito finale del giudizio. Poiché i giudici di merito avevano già escluso la tenuità del fatto per la sua gravità intrinseca, discutere della sua applicabilità astratta era diventato superfluo.
Conclusioni
L’ordinanza ribadisce che la resistenza a pubblico ufficiale è un reato a forma libera, il cui elemento chiave è l’opposizione all’atto d’ufficio, indipendentemente dalle modalità con cui essa si manifesta. I cittadini hanno il dovere di non frapporre ostacoli, neanche passivi, all’operato delle autorità. La decisione finale della Corte è stata quella di dichiarare il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Si può essere condannati per resistenza a pubblico ufficiale senza usare violenza diretta?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che qualsiasi condotta, anche omissiva come il non controllare il proprio cane, che abbia l’effetto di impedire o intralciare l’azione di un pubblico ufficiale, integra il reato di resistenza.
Il mancato controllo del proprio cane può costituire reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Sì. Nel caso esaminato, la condotta omissiva dell’imputato, consistita nel non aver controllato il proprio cane, è stata ritenuta idonea a creare un pericolo per gli agenti e a impedire il compimento di un atto d’ufficio, configurando così il reato.
Perché la Corte non ha concesso la non punibilità per particolare tenuità del fatto?
La Corte ha ritenuto irrilevante la questione perché i giudici di merito avevano già valutato la situazione concreta, concludendo che la ‘complessiva gravità del fatto’ era tale da escludere a priori l’applicazione di tale beneficio, rendendo inutile ogni ulteriore discussione sulla sua astratta applicabilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14271 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14271 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a COSENZA il 25/04/1985
avverso la sentenza del 25/06/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Visti gli atti e la sentenza impugnata, con cui è stata confermata la condanna del ricorrente per il reato di cui all’art. 337 cod. pen.);
esaminati i motivi di ricorso;
considerato che il primo motivo contesta l’affermazione della penale responsabilità del ricorrente, per essersi costui limitato a una condotta meramente omissiva, consistita nel non avere esercitato il dovuto controllo sul proprio cane; che sul punto la sentenza impugnata appare immune da censure, avendo correttamente ritenuto la condotta idonea non solo a creare un oggettivo pericolo per l’incolumità degli operanti, ma anche a impedire del tutto il compimento dell’atto d’ufficio (cfr. p. 2 della sentenza). Posto che, per giurisprudenza costante, «integra il delitto di resistenza a pubblico ufficiale qualsiasi condotta attiva o omissiva che si traduca in un atteggiamento anche implicito volto a impedire, intralciare o compromettere la regolarità del compimento dell’atto di ufficio » (ex multis: Sez. 6, n. 5147 del 16/01/2014, Rv. 258631 – 01), nel caso di specie la ritenuta responsabilità penale per il reato di resistenza a pubblico ufficiale risulta pienamente suffragata sia in fatto che in diritto;
ritenuto che il secondo motivo di ricorso contesta la mancata applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto eccependo il ricorrente l’incostituzionalità dell’art. 16, primo comma, lett. b) d.l. 53/2019, conv. in I. 77/2019 per avere escluso dall’ambito di applicazione della causa di non punibilità il reato di resistenza a pubblico ufficiale; sul punto occorre rilevare che, nel caso di specie, la questione di legittimità costituzionale appare irrilevante perché la sentenza di appello ha comunque effettuato una valutazione nel merito dell’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen., escludendola sulla base della complessiva gravità del fatto (cfr. p. 3 della sentenza impugnata). Ne consegue che, anche là dove la causa di non punibilità fosse astrattamente applicabile ai fatti di resistenza, essa non potrebbe comunque essere riconosciuta a fronte di una valutazione giudiziale in concreto ostativa;
ritenuto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 3/3/2025