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Resistenza a pubblico ufficiale: offese non bastano

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per vari reati, tra cui resistenza a pubblico ufficiale. L’imputato sosteneva di aver solo proferito offese, ma la Corte ha confermato che la sua condotta è andata oltre il piano verbale, integrando un’effettiva opposizione all’azione della polizia giudiziaria. La decisione chiarisce che per il reato di resistenza a pubblico ufficiale non sono sufficienti le sole ingiurie, ma è necessaria un’azione concreta di contrasto.

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Pubblicato il 13 luglio 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a pubblico ufficiale: Quando le parole non bastano

Il confine tra una legittima protesta verbale e il reato di resistenza a pubblico ufficiale è spesso sottile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci aiuta a tracciare una linea chiara, stabilendo che le sole offese, per quanto gravi, non sono sufficienti a configurare questo delitto se non sono accompagnate da una condotta che si oppone attivamente all’operato delle forze dell’ordine. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I fatti di causa

Il caso trae origine da una condanna emessa dal GIP del Tribunale e successivamente confermata dalla Corte d’Appello di Torino. L’imputato era stato giudicato colpevole per i reati di rapina, oltraggio e, appunto, resistenza a pubblico ufficiale.

Sentendosi ingiustamente condannato per quest’ultima accusa, l’imputato ha presentato ricorso per cassazione. La sua difesa si è concentrata su un punto specifico: la presunta mancanza di prove riguardo a un’effettiva volontà di opporsi all’azione della Polizia Giudiziaria (PG).

Il motivo del ricorso: solo offese, non resistenza

Il ricorrente ha argomentato che la sua condotta si era limitata a proferire frasi offensive nei confronti degli agenti. Secondo la sua tesi, mancava l’elemento essenziale del reato di resistenza: un comportamento attivo, violento o minaccioso, finalizzato a impedire o ostacolare un atto d’ufficio.

In sostanza, la difesa mirava a derubricare la condotta da una resistenza fisica a un mero oltraggio, sostenendo che le parole, da sole, non potessero integrare il più grave reato di resistenza a pubblico ufficiale.

La decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno ritenuto che la Corte d’Appello avesse correttamente valutato i fatti, fornendo una motivazione adeguata e logica.

Le motivazioni

La motivazione della Suprema Corte è cruciale. I giudici hanno specificato che, secondo quanto emerso nel processo di merito, le condotte dell’imputato erano andate ben oltre il semplice piano verbale (trascendenti il piano verbale). Questo significa che l’imputato non si era limitato a insultare gli agenti, ma aveva posto in essere comportamenti che concretizzavano un’opposizione fisica al loro operato.

Pur non entrando nel dettaglio di tali condotte, la Corte ha validato la ricostruzione del giudice di secondo grado, il quale aveva evidentemente individuato azioni materiali di contrasto. Viene così ribadito un principio fondamentale: per la configurabilità del reato di resistenza a pubblico ufficiale è necessario un quid pluris rispetto alla mera offesa. Serve un’azione che, con violenza o minaccia, si opponga concretamente all’attività del pubblico ufficiale.

A seguito della dichiarazione di inammissibilità, e ravvisando una colpa nel proporre un ricorso palesemente infondato, la Corte ha condannato il ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro alla cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica. Chiunque si trovi in un’interazione con le forze dell’ordine deve essere consapevole che, sebbene le sole parole offensive possano integrare altri reati (come l’oltraggio), per essere accusati di resistenza a pubblico ufficiale è necessario compiere atti che si traducano in un’opposizione attiva. La decisione sottolinea come i giudici di merito debbano attentamente distinguere tra la sfera verbale e quella dell’azione fisica, basando la condanna su prove concrete di un comportamento oppositivo che vada al di là delle semplici invettive.

Le semplici offese verbali a un agente di polizia costituiscono il reato di resistenza a pubblico ufficiale?
No, secondo questa ordinanza, la condotta deve superare il piano verbale. Per configurare il reato di resistenza è necessaria un’azione che si opponga attivamente all’operato del pubblico ufficiale, non bastano le sole offese.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali. Inoltre, se il ricorso è ritenuto inammissibile per colpa del ricorrente (ad esempio, perché manifestamente infondato), può essere condannato a pagare una sanzione pecuniaria alla cassa delle ammende.

Su cosa si è basata la Corte di Cassazione per rigettare il ricorso?
La Corte si è basata sulla valutazione fatta dalla Corte d’Appello, ritenendola adeguata. Quest’ultima aveva evidenziato che l’imputato aveva posto in essere condotte che andavano oltre le semplici parole, concretizzando un’effettiva opposizione all’azione della polizia giudiziaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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