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Resistenza a pubblico ufficiale: motivazione apparente

Un uomo condannato per resistenza a pubblico ufficiale ottiene l’annullamento della sentenza. La Cassazione ha ritenuto la motivazione della Corte d’Appello ‘apparente’ e illogica, in quanto non ha adeguatamente risposto ai motivi di ricorso sulla collocazione temporale dei fatti e sul dolo specifico, elementi essenziali per configurare il reato.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Quando la Motivazione è Apparente?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22370/2025, offre un importante chiarimento sui requisiti necessari per una valida motivazione in un processo penale, in particolare per il reato di resistenza a pubblico ufficiale. Questa pronuncia sottolinea come una motivazione ‘apparente’, ovvero superficiale e non rispondente alle specifiche doglianze della difesa, equivalga a una sua totale assenza, portando all’annullamento della condanna. Analizziamo insieme i dettagli di questo interessante caso.

I Fatti del Processo

Un imputato veniva condannato in primo grado e successivamente in appello per una serie di reati, tra cui quello di resistenza a pubblico ufficiale. La condanna si basava su episodi di condotta minatoria tenuta nei confronti di agenti durante l’espletamento delle loro funzioni.

La difesa dell’imputato, tuttavia, decideva di ricorrere in Cassazione, sollevando due questioni cruciali che mettevano in discussione la logicità e la completezza della sentenza d’appello.

I Motivi del Ricorso: Tempistica e Dolo Specifico

Il ricorso si fondava su due pilastri argomentativi:

1. Manifesta illogicità della motivazione: La difesa sosteneva che le condotte minatorie non erano avvenute durante la compilazione degli atti da parte degli agenti, come affermato dalla Corte d’Appello, bensì successivamente. Questa differenza temporale è fondamentale: per configurare la resistenza a pubblico ufficiale, l’azione oppositiva deve essere finalizzata a impedire o contrastare un atto d’ufficio in corso di svolgimento.

2. Mancanza di motivazione sul dolo specifico: Il secondo motivo lamentava l’assenza di una spiegazione adeguata sull’elemento soggettivo del reato. La Corte d’Appello non avrebbe dimostrato la volontà specifica dell’imputato di opporsi al compimento dell’atto d’ufficio attraverso le sue minacce.

Entrambi i punti, se accolti, sarebbero stati ‘decisivi’, cioè in grado di far cadere l’accusa di resistenza.

La Decisione della Cassazione sul Vizio di Motivazione

La Suprema Corte ha ritenuto fondati entrambi i motivi di ricorso. I giudici di legittimità hanno severamente criticato la Corte d’Appello, definendo la sua motivazione ‘puramente apparente’.

I giudici di secondo grado si erano limitati ad affermare, in modo apodittico, che dall’analisi degli atti processuali risultava ‘evidente’ come le condotte dell’imputato fossero intervenute ‘nel bel mezzo della compilazione degli atti di rito’. Tuttavia, non avevano spiegato in che modo le testimonianze e le trascrizioni supportassero tale conclusione, ignorando di fatto le specifiche obiezioni sollevate dalla difesa sulla collocazione temporale dei fatti.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del diritto processuale penale: sussiste il vizio di mancanza di motivazione quando le argomentazioni del giudice sono prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate con l’atto di appello, specialmente se dotate del requisito della decisività. Affermare che una circostanza è ‘autoevidente’ o fare un generico richiamo a documenti processuali, senza esplicitare il percorso logico-giuridico che ha portato a una certa conclusione, non costituisce una motivazione valida.

In sostanza, il giudice d’appello ha l’obbligo di confrontarsi con le argomentazioni difensive e di fornire risposte puntuali. In caso contrario, la motivazione diventa un mero guscio vuoto, incapace di assolvere alla sua funzione di garanzia e di consentire un controllo sulla logicità della decisione. La stessa carenza è stata riscontrata riguardo al dolo specifico, elemento essenziale del reato di resistenza a pubblico ufficiale, sul quale la Corte d’Appello non ha fornito alcuna spiegazione.

Le Conclusioni

La sentenza in commento rappresenta un monito importante per i giudici di merito. Una condanna non può reggersi su affermazioni generiche o su una presunta ‘evidenza’ dei fatti. Ogni punto sollevato dalla difesa, se rilevante e potenzialmente decisivo, merita una risposta completa e logicamente coerente. In assenza di tale rigoroso percorso argomentativo, la sentenza è viziata e deve essere annullata. Questo caso conferma che il diritto a una motivazione effettiva e non solo formale è un pilastro irrinunciabile del giusto processo, garantendo che nessuna condanna possa essere pronunciata senza un’adeguata e trasparente giustificazione.

Quando si configura il reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Il reato si configura quando un soggetto usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale mentre sta compiendo un atto del proprio ufficio. Come precisato dalla Cassazione in questo caso, è fondamentale che la condotta oppositiva avvenga contestualmente all’atto d’ufficio e sia animata dal dolo specifico di contrastarlo.

Cosa si intende per ‘motivazione apparente’ in una sentenza?
Una motivazione è ‘apparente’ quando, pur essendo formalmente presente nel testo della sentenza, è talmente generica, contraddittoria, illogica o superficiale da non spiegare realmente le ragioni della decisione. Equivale, di fatto, a un’assenza di motivazione e costituisce un vizio che può portare all’annullamento della sentenza.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna in questo caso?
La Cassazione ha annullato la condanna perché la Corte d’Appello non ha fornito una risposta adeguata e logica ai specifici motivi di ricorso presentati dalla difesa. In particolare, non ha spiegato perché ritenesse che le minacce fossero avvenute durante l’atto d’ufficio (e non dopo) e non ha motivato sulla sussistenza del dolo specifico, rendendo la sua motivazione puramente apparente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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