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Resistenza a pubblico ufficiale: minaccia e autolesionismo

Un detenuto minacciava il personale di polizia penitenziaria con una lametta e con atti di autolesionismo per impedire loro di svolgere le proprie funzioni. La Corte di Cassazione ha confermato che tale condotta integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale, in quanto la minaccia, anche di autolesionismo, è idonea a ostacolare un atto d’ufficio, indipendentemente dai motivi personali del reo.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Quando la Minaccia di Autolesionismo Integra il Reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 44069/2024, offre un’importante chiarificazione sui confini del reato di resistenza a pubblico ufficiale, specialmente in contesti delicati come quello carcerario. La Corte ha stabilito che anche la minaccia di compiere atti di autolesionismo può configurare la violenza o minaccia richiesta dalla norma, quando finalizzata a impedire o ostacolare l’attività dei pubblici ufficiali. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione.

Il Caso: Minacce e Atti di Protesta in Carcere

I fatti al centro della vicenda riguardano un detenuto accusato di aver commesso, in due distinte occasioni, il reato di resistenza a pubblico ufficiale all’interno di un istituto penitenziario.

Nel primo episodio, l’uomo aveva minacciato con una lametta gli agenti di polizia penitenziaria, prospettando il compimento di atti autolesionistici per impedire loro di avvicinarsi alla cella e per costringerli ad accompagnarlo in infermeria.

Nel secondo episodio, il medesimo detenuto aveva minacciato di lanciare dei piatti contro il personale per opporsi al trasferimento di un altro recluso nella sua stessa cella.

In entrambi i gradi di giudizio, l’imputato era stato condannato. La difesa ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che le condotte non fossero finalizzate a contrastare l’operato degli agenti, ma rappresentassero una mera espressione di protesta e reazione emotiva alla condizione di detenzione, prive quindi del dolo specifico richiesto per il reato di resistenza a pubblico ufficiale.

L’analisi della Corte: la configurazione della resistenza a pubblico ufficiale

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la correttezza delle decisioni dei giudici di merito. Il ragionamento della Suprema Corte si fonda su principi di diritto ormai consolidati in materia.

La Violenza o Minaccia come Elemento Oggettivo

Per integrare il reato di cui all’art. 337 c.p., è sufficiente l’uso di violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto d’ufficio. La Corte ha ribadito che non è necessario che l’azione del pubblico ufficiale venga concretamente impedita o che si verifichi un ostacolo effettivo. È sufficiente che la condotta minacciosa o violenta sia idonea a ostacolare la funzione pubblica.

In questo contesto, la Corte ha specificato che anche la minaccia di autolesionismo rientra nel concetto di violenza o minaccia rilevante. Quando tale prospettazione è idonea a coartare la volontà dei pubblici ufficiali e a intralciare le loro funzioni, essa integra pienamente l’elemento oggettivo del reato. Il male prospettato (il danno a sé stessi) è considerato “ingiusto” ai fini della norma, in quanto utilizzato come strumento per opporsi illegittimamente a un atto dovuto dell’autorità.

L’Elemento Soggettivo: Il Dolo Specifico nella Resistenza a Pubblico Ufficiale

La difesa aveva tentato di far leva sull’assenza del dolo specifico, descrivendo le azioni come una reazione emotiva. Tuttavia, la Cassazione ha ricordato che il dolo specifico del reato di resistenza consiste nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccia al fine di opporsi a un pubblico ufficiale. Sono del tutto irrilevanti lo scopo mediato o i motivi personali che spingono l’agente a comportarsi in quel modo, come la protesta per le condizioni detentive o la frustrazione.

Nel caso di specie, le azioni del detenuto erano chiaramente finalizzate a impedire le attività di controllo, vigilanza e disciplina che il personale di polizia penitenziaria stava legittimamente svolgendo. Di conseguenza, il dolo specifico è stato ritenuto pienamente integrato.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando come entrambe le condotte poste in essere dal ricorrente fossero oggettivamente idonee a impedire il regolare svolgimento delle attività del personale penitenziario. Nel primo caso, si trattava di impedire l’accesso alla cella per i controlli di routine; nel secondo, di ostacolare la gestione degli spazi detentivi con l’ingresso di un altro detenuto. La minaccia di autolesionismo, così come quella di lanciare oggetti, non è stata interpretata come una semplice esternazione di disagio, ma come un’azione strumentale e finalizzata a contrastare un atto d’ufficio. La Corte ha rigettato la tesi difensiva definendola una “riduttiva lettura del compendio probatorio”, già adeguatamente confutata dalla Corte d’appello.

Le Conclusioni

Con la sentenza n. 44069/2024, la Cassazione conferma un orientamento rigoroso: qualsiasi forma di minaccia, inclusa quella rivolta contro sé stessi, che abbia lo scopo di opporsi a un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, integra il delitto di resistenza a pubblico ufficiale. Questa decisione sottolinea l’irrilevanza dei motivi sottostanti alla condotta, focalizzando l’attenzione sulla finalità oppositiva dell’azione. Si tratta di un principio fondamentale per tutelare il corretto e sereno svolgimento delle funzioni pubbliche, anche in contesti complessi e ad alta tensione come quello carcerario.

La minaccia di compiere atti di autolesionismo può costituire il reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la prospettazione di compiere atti di autolesionismo integra la violenza o minaccia richiesta dall’art. 337 c.p. quando è idonea a ostacolare la pubblica funzione, poiché anche il male prospettato contro sé stessi è considerato ingiusto in tale contesto.

Per configurare la resistenza a pubblico ufficiale è necessario che l’attività del pubblico ufficiale sia stata concretamente impedita?
No, non è necessario. Secondo la giurisprudenza consolidata, è sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto d’ufficio, indipendentemente dall’esito, positivo o negativo, di tale azione e dall’effettivo verificarsi di un ostacolo.

Una semplice protesta o reazione emotiva alle condizioni di detenzione può giustificare la minaccia verso un pubblico ufficiale?
No. La Corte ha chiarito che i motivi di fatto o lo scopo mediato che spingono una persona ad agire (come la protesta) sono irrilevanti ai fini della configurabilità del reato. Ciò che conta è il dolo specifico, cioè la coscienza e volontà di usare violenza o minaccia con il fine di opporsi all’atto del pubblico ufficiale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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