Resistenza a pubblico ufficiale: quando l’ubriachezza non è una scusante
Il reato di resistenza a pubblico ufficiale, previsto dall’articolo 337 del codice penale, è uno dei delitti contro la Pubblica Amministrazione più comuni. Ma cosa succede se chi commette il reato è in stato di ubriachezza? Può l’alterazione dovuta all’alcol essere considerata una valida scusante per escludere la punibilità? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 29902/2024) offre un chiarimento fondamentale su questo punto, stabilendo che la semplice ubriachezza non basta a far venir meno il dolo.
I fatti di causa
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un uomo condannato sia in primo grado che in appello per il reato di resistenza a pubblico ufficiale. L’imputato aveva tenuto una condotta violenta e oppositiva nei confronti degli agenti intervenuti, e tale comportamento si era protratto per tutto il tempo necessario al suo accompagnamento presso gli uffici di polizia.
Contro la sentenza della Corte d’Appello, l’uomo proponeva ricorso per Cassazione, basando la sua difesa su un unico motivo: la motivazione della sentenza impugnata sarebbe stata carente nel non considerare adeguatamente il suo stato di ubriachezza. A suo dire, tale condizione avrebbe dovuto far venir meno l’elemento psicologico del reato, ovvero il dolo, cioè la coscienza e volontà di opporsi ai pubblici ufficiali.
La decisione della Corte di Cassazione e il concetto di resistenza a pubblico ufficiale
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la condanna. La decisione si fonda su una valutazione netta sia del profilo processuale che di quello sostanziale della questione.
Dal punto di vista processuale, i giudici hanno ritenuto il motivo di ricorso del tutto generico e riproduttivo di una censura già ampiamente e correttamente esaminata e respinta dalla Corte d’Appello. In altre parole, l’imputato non ha sollevato nuove e pertinenti questioni di diritto, ma si è limitato a ripetere argomenti già giudicati infondati.
Le motivazioni
Nel merito, la Corte ha implicitamente ribadito un principio consolidato in giurisprudenza. La Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato come lo stato di ubriachezza dell’imputato non fosse di gravità tale da escludere completamente la sua capacità di intendere e di volere. La prova di ciò, secondo i giudici, risiedeva proprio nella condotta dell’uomo: la violenza non era stata un singolo gesto estemporaneo, ma un comportamento reiterato per tutto il tragitto verso la stazione di polizia.
Questa persistenza nell’azione oppositiva è stata interpretata come un chiaro indice della volontà di resistere agli agenti, dimostrando che, nonostante l’alcol, l’imputato era consapevole del significato delle sue azioni. Il dolo del reato di resistenza a pubblico ufficiale è stato quindi considerato pienamente sussistente.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame rafforza un importante principio: lo stato di ubriachezza volontaria non costituisce, di regola, una causa di esclusione della colpevolezza. Affinché l’alterazione psicofisica possa incidere sulla punibilità, essa deve raggiungere un livello tale da annullare completamente la coscienza e la volontà del soggetto, una circostanza che deve essere rigorosamente provata. Nel caso di specie, la condotta lucidamente oppositiva e prolungata nel tempo è stata valutata come incompatibile con una totale incapacità, rendendo la condanna per resistenza a pubblico ufficiale inevitabile e legittima. La decisione comporta per il ricorrente, oltre alla conferma della condanna, anche il pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Lo stato di ubriachezza può escludere la colpevolezza per il reato di resistenza a pubblico ufficiale?
No, secondo questa ordinanza, uno stato di ubriachezza volontaria non è di per sé sufficiente a escludere il dolo (l’intenzionalità) del reato, soprattutto se la condotta violenta è reiterata e dimostra la volontà di opporsi agli agenti.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché è stato giudicato generico e riproduttivo di argomenti già esaminati e respinti dalla Corte d’Appello, senza introdurre nuovi ed efficaci elementi di diritto.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente della dichiarazione di inammissibilità?
La dichiarazione di inammissibilità ha comportato per il ricorrente la condanna definitiva e l’obbligo di pagare sia le spese del procedimento sia una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 29902 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 29902 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/01/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
R.G.N. 9545/24 NOME
OSSERVA
Ritenuto che il motivo dedotto nel ricorso, afferente alla condanna del ricorrente per il reato di cui all’art. 337 cod. pen., con cui si censura la motivazione della sentenza impugnata, è inammissibile in quanto formulato in modo del tutto generico oltre che riproduttivo di identica censura adeguatamente confutata dalla Corte di appello nella parte in cui ha rilevato come la ubriachezza del ricorrente non fosse tale da far venir meno il dolo del delitto tenuto conto che la condotta violenta nei confronti degli operanti era reiterata per tutto il tragitto necessario per l’accompagnamento in Ufficio (pagg. 2 e 3);
ritenuto che il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 04/07/2024.