LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Resistenza a pubblico ufficiale: l’ubriachezza basta?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un uomo condannato per resistenza a pubblico ufficiale. La condanna era basata su atti di violenza e minaccia, tra cui il lancio di un posacenere e l’uso di un bastone contro i Carabinieri. La Corte ha rigettato la tesi difensiva basata sull’incapacità per ubriachezza, specificando che la semplice ebbrezza non costituisce un vizio di mente. È stata inoltre negata l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto a causa della gravità della condotta.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a pubblico ufficiale: l’ubriachezza non è una scusante

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un caso di resistenza a pubblico ufficiale, offrendo importanti chiarimenti sui limiti delle tesi difensive basate sullo stato di ebbrezza e sulla richiesta di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Suprema Corte, confermando la condanna, ha ribadito principi consolidati in materia, sottolineando come la gravità della condotta e la piena consapevolezza dell’agente siano elementi chiave per la valutazione del reato.

I fatti del caso: minacce e aggressione alle forze dell’ordine

La vicenda giudiziaria trae origine dal ricorso presentato da un individuo condannato nei gradi di merito per il reato di resistenza a pubblico ufficiale. I fatti contestati erano chiari e gravi: l’imputato aveva lanciato un posacenere in metallo contro l’auto di servizio dei Carabinieri, colpendo la ruota anteriore. Non pago, aveva proferito minacce, anche di morte, e aveva brandito un bastone di legno nel tentativo di colpire uno dei militari intervenuti. La Corte d’Appello aveva ritenuto provati sia l’elemento oggettivo (la violenza e la minaccia) sia quello psicologico (la volontà di opporsi all’atto d’ufficio).

L’analisi della Corte sulla resistenza a pubblico ufficiale

La Cassazione ha giudicato il ricorso inammissibile, ritenendo che le argomentazioni difensive fossero mere doglianze di fatto, volte a ottenere una nuova e non consentita valutazione delle prove in sede di legittimità. La motivazione della sentenza impugnata è stata considerata completa, logica e priva di vizi.

La consapevolezza della qualifica di pubblico ufficiale

Un punto decisivo è stata la dimostrazione della piena consapevolezza dell’imputato di trovarsi di fronte a pubblici ufficiali. Questo elemento è stato logicamente dedotto da una circostanza specifica: durante le minacce, l’uomo si era rivolto a uno dei Carabinieri chiamandolo “marescià”. Questo dettaglio, secondo i giudici, sgombra il campo da ogni dubbio sulla sua coscienza e volontà di opporsi a un rappresentante della forza pubblica.

Il tentativo di ricostruzione alternativa dei fatti

Le deduzioni difensive, che miravano a proporre una ricostruzione alternativa dell’accaduto, sono state ritenute inammissibili. La Corte ha ricordato che il giudizio di Cassazione non è una terza istanza di merito, ma un controllo sulla corretta applicazione della legge. Pertanto, non è possibile riesaminare i fatti già accertati dai giudici dei precedenti gradi.

La difesa dell’imputato: ubriachezza e tenuità del fatto

Il ricorrente aveva basato la sua difesa principalmente su due argomenti: la presunta incapacità di intendere e di volere a causa dell’ubriachezza e la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

L’ubriachezza non equivale a incapacità di intendere e volere

La Corte ha smontato con fermezza la tesi dell’incapacità. I giudici hanno chiarito che, ai sensi degli articoli 88 e 89 del codice penale, il vizio totale o parziale di mente presuppone l’esistenza di una vera e propria infermità, uno stato patologico idoneo ad alterare i processi cognitivi e volitivi. Un semplice stato di ebbrezza alcolica non è sufficiente per integrare tale condizione, e pertanto non può fungere da scusante per la resistenza a pubblico ufficiale.

L’inapplicabilità della particolare tenuità del fatto

Anche il motivo relativo al mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha evidenziato che la gravità delle minacce, aggravate dai ripetuti tentativi di aggressione fisica con l’uso di un bastone, è del tutto incompatibile con il presupposto della particolare tenuità dell’offesa. La valutazione del giudice di merito, che aveva escluso tale beneficio, è stata ritenuta logica e non sindacabile in sede di legittimità.

Le motivazioni della decisione

La decisione della Suprema Corte si fonda sulla coerenza e logicità della sentenza impugnata e sull’inammissibilità dei motivi di ricorso. I giudici hanno ritenuto che i motivi presentati non fossero consentiti dalla legge in sede di legittimità, in quanto si limitavano a contestare l’accertamento dei fatti e a riproporre tesi già respinte. La Corte ha confermato che gli elementi costitutivi del reato di resistenza erano tutti presenti: la condotta violenta e minacciosa, la consapevolezza della qualifica dei pubblici ufficiali e la volontà di opporsi a un atto del loro ufficio. Le giustificazioni addotte, come l’ubriachezza e la tenuità del fatto, sono state ritenute prive di fondamento giuridico alla luce delle circostanze concrete del caso.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce due principi fondamentali. Primo, lo stato di ubriachezza volontaria non costituisce di per sé una causa di esclusione o diminuzione dell’imputabilità, a meno che non derivi da una condizione patologica cronica. Secondo, la valutazione della particolare tenuità del fatto deve tenere conto della gravità complessiva della condotta, e atti di aggressione fisica e minacce gravi contro le forze dell’ordine sono generalmente incompatibili con tale beneficio. La decisione, dichiarando inammissibile il ricorso, ha comportato per l’imputato la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende.

La semplice ubriachezza può escludere la punibilità per il reato di resistenza a pubblico ufficiale?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un semplice stato di ebbrezza alcolica non è sufficiente per integrare il vizio di mente totale o parziale. Per escludere o diminuire la capacità di intendere e di volere è necessaria la presenza di una vera e propria infermità, uno stato patologico, che non è ravvisabile nella comune ubriachezza.

Quando è possibile invocare la non punibilità per ‘particolare tenuità del fatto’ in un caso di resistenza?
La non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.) è incompatibile con condotte di una certa gravità. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la gravità delle minacce, unita ai ripetuti tentativi di aggressione fisica con strumenti atti a offendere (un bastone), escludesse la possibilità di considerare il fatto di particolare tenuità.

Cosa dimostra la consapevolezza dell’imputato di agire contro un pubblico ufficiale?
La consapevolezza può essere dedotta da elementi concreti. In questo caso, il fatto che l’imputato abbia apostrofato uno degli agenti con il termine “marescià” (maresciallo) è stato considerato una prova logica del fatto che egli fosse pienamente consapevole della loro qualifica di pubblici ufficiali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati