Resistenza a Pubblico Ufficiale: Quando l’Atto d’Ufficio Va Oltre l’Identificazione
L’ordinanza n. 5569/2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sulla configurabilità del reato di resistenza a pubblico ufficiale. La Suprema Corte ha stabilito che minacciare un agente durante un’operazione di identificazione costituisce reato, anche se l’imputato viene assolto da altre accuse come l’oltraggio o il rifiuto di fornire le generalità. Il punto chiave risiede nella definizione estesa di “atto di ufficio”, che non si esaurisce in un singolo momento ma comprende l’intero processo funzionale al suo compimento.
I Fatti del Caso: Minacce Durante un Controllo
Un cittadino veniva condannato in Corte d’Appello per il reato di resistenza a pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 337 del codice penale. L’imputato, durante un’operazione di identificazione da parte delle forze dell’ordine per motivi di pubblica sicurezza, si era opposto all’agente verbalizzante con parole minacciose. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua precedente assoluzione dai reati di oltraggio (art. 341-bis c.p.) e rifiuto di indicazioni sulla propria identità (art. 651 c.p.) avrebbe dovuto escludere anche la condanna per resistenza. A suo dire, l’assoluzione per questi reati specifici rendeva incerto quale fosse l’atto d’ufficio al quale si sarebbe opposto.
La Decisione della Corte e la nozione di resistenza a pubblico ufficiale
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. I giudici hanno ritenuto i motivi del ricorso generici e puramente assertivi, confermando la condanna e fornendo una spiegazione dettagliata sulla natura dell’atto d’ufficio nel contesto della resistenza a pubblico ufficiale.
L’Irrilevanza dell’Assoluzione per Altri Reati
La Corte ha specificato che l’assoluzione da altre imputazioni non preclude la possibilità di individuare l’atto d’ufficio a cui l’imputato si è opposto. L’atto in questione era chiaramente l’identificazione del soggetto per ragioni di pubblica sicurezza, e la resistenza si è concretizzata attraverso le minacce rivolte all’agente.
La Durata e la Completezza dell’Atto d’Ufficio
Il punto centrale della decisione riguarda la nozione temporale e funzionale dell’atto d’ufficio. La Corte ha sottolineato che tale atto non si esaurisce nell’istante in cui si perfeziona (ad esempio, la semplice richiesta di un documento). Esso, al contrario, ricomprende tutte le fasi immediatamente precedenti e successive che sono direttamente funzionali al suo completo svolgimento. In materia di identificazione, questo include l’intera operazione di verbalizzazione, la quale non perde la sua natura di atto d’ufficio anche se gli agenti già conoscono l’identità della persona.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su un’interpretazione logica e funzionale della norma. La resistenza a un pubblico ufficiale mira a proteggere il corretto e pacifico svolgimento delle funzioni pubbliche. Considerare l’atto d’ufficio come un’azione complessa e non istantanea garantisce una tutela più ampia. Limitare la tutela al solo momento della richiesta formale lascerebbe scoperte tutte le attività preparatorie e conclusive, che sono altrettanto essenziali. Citando un precedente (Cass. n. 13465/2023), i giudici hanno ribadito che l’operazione di verbalizzazione è parte integrante dell’identificazione e opporsi ad essa con minacce configura pienamente il delitto di cui all’art. 337 c.p.
Conclusioni
Questa ordinanza consolida un principio importante: il reato di resistenza a pubblico ufficiale può sussistere indipendentemente dall’esito di altre accuse correlate, come l’oltraggio. La decisione chiarisce che l’atto d’ufficio è un processo che va protetto in ogni sua fase funzionale, dalla richiesta iniziale alla verbalizzazione finale. Per i cittadini, ciò significa che qualsiasi comportamento minaccioso o violento volto a ostacolare un’operazione legittima delle forze dell’ordine, in qualunque momento essa si trovi, può integrare una fattispecie di reato. Per gli operatori di diritto, la sentenza offre un criterio interpretativo chiaro per valutare la condotta di resistenza nel suo complesso, senza frammentarla in singoli atti isolati.
 
È possibile essere condannati per resistenza a pubblico ufficiale anche se si viene assolti dal reato di oltraggio o rifiuto di generalità?
Sì. Secondo l’ordinanza, l’assoluzione da reati come l’oltraggio (art. 341-bis c.p.) o il rifiuto di fornire generalità (art. 651 c.p.) non esclude la configurabilità del reato di resistenza, se si sono usate minacce per opporsi a un atto d’ufficio come l’identificazione.
Cosa si intende per ‘atto di ufficio’ nel contesto della resistenza?
L’atto di ufficio non è un’azione istantanea. Esso comprende anche le fasi immediatamente precedenti e successive che sono funzionali al suo completamento. Nel caso di un’identificazione, l’atto include l’intera operazione di verbalizzazione, non solo la richiesta di generalità.
La conoscenza pregressa dell’identità di una persona da parte degli agenti rende illegittimo l’atto di identificazione?
No. La Corte chiarisce che l’operazione di verbalizzazione, che fa parte dell’atto di ufficio di identificazione, non si esaurisce con la mera conoscenza pregressa della persona da parte degli agenti, ma è un’attività formale necessaria per la completezza dell’atto stesso.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5569 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 5569  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MIGLIARO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/04/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso di NOME COGNOME; dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che i motivi dedotti avverso la sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 337 cod. pen. non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità, perché generici e meramente assertivi sulla sussistenza di vizi di motivazione in punto di configurabilità del reato poiché la intervenuta assoluzione dai reati di cui agli artt. 651 e 341bis cod. pen., che più precisamente descrivevano nel capo di imputazione le concrete circostanze del fatto, non preclude la individuazione dell’atto di ufficio in corso di svolgimento e al quale il ricorrente si era opposto con parole minacciose verso il verbalizzante, cioè la sua identificazione per ragioni connesse alla tutela della pubblica sicurezza. La Corte di merito, esaminando le stesse deduzioni oggi proposte con il ricorso, ha ricostruito i fatti e ritenuto sussistente il reato sottolineando come il compimento dell’atto di ufficio presuppone una contemporaneità tra la resistenza e l’atto che non si esaurisce nell’istante in cui quest’ultimo si perfeziona, ma ricomprende necessariamente anche le fasi immediatamente precedenti e successive, purché direttamente funzionali alla completezza dello stesso: così, in tema di identificazione, rileva l’operazione di verbalizzazione che non si esaurisce con la mera pregressa conoscenza della persona da parte degli agenti (cfr. Sez. 6, n. 13465 del 23/02/2023, Rv. 284574);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19/01/2024