LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Resistenza a pubblico ufficiale: la spinta della folla

La Corte di Cassazione conferma la condanna per resistenza a pubblico ufficiale di alcuni manifestanti. Secondo la Corte, la semplice presenza attiva nelle prime file di un corteo che spinge contro un cordone di polizia è sufficiente a integrare la violenza richiesta dal reato, configurando un concorso di persone. La Corte ha anche escluso che impedire l’accesso a un convegno per ragioni di ordine pubblico costituisca un atto arbitrario, legittimando così l’intervento delle forze dell’ordine.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Quando la Forza della Folla Diventa Reato

In un contesto di manifestazione pubblica, dove si trova il confine tra legittimo dissenso e reato? Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta il tema della resistenza a pubblico ufficiale in situazioni di assembramento, chiarendo quando la semplice partecipazione a un’azione di gruppo può configurare una responsabilità penale individuale. L’analisi della Corte offre spunti fondamentali per comprendere la portata dell’art. 337 del codice penale nei contesti di protesta.

I Fatti: Proteste e Tensioni

Il caso esaminato dalla Corte Suprema trae origine da due episodi distinti. Il primo riguarda una manifestazione organizzata da un gruppo di matrice anarchica presso un’università di una grande città italiana. Un folto gruppo di circa 600 persone aveva tentato di accedere a un convegno pubblico, a cui partecipavano noti esponenti politici, con l’intento dichiarato di impedirne lo svolgimento. Le forze dell’ordine, disposte a protezione dell’evento, avevano creato un cordone per bloccare l’accesso.

Durante la contrapposizione, durata circa due ore, i manifestanti esercitarono una forte pressione fisica sul cordone, spingendo e colpendo gli agenti nel tentativo di forzare il blocco. Gli imputati nel processo si trovavano tutti nelle prime file del gruppo.

Il secondo episodio vedeva coinvolto uno degli imputati in una protesta successiva, presso la stazione ferroviaria della città. A seguito del tentativo degli agenti della Polizia ferroviaria di identificare una manifestante, i poliziotti furono circondati e costretti a rifugiarsi nel loro ufficio, che venne di fatto “assediato” dai manifestanti, impedendo loro di uscire e proseguire nel loro servizio.

L’Analisi della Corte: la resistenza a pubblico ufficiale nella folla

La difesa degli imputati sosteneva che la mera presenza nelle prime file, in assenza di specifici atti di violenza individualmente provati, non fosse sufficiente a integrare il reato di resistenza a pubblico ufficiale. La Corte di Cassazione ha rigettato questa tesi, offrendo una lettura chiara del concetto di violenza in un contesto di massa.

La Pressione Collettiva come Violenza

Secondo i giudici, la violenza richiesta dall’art. 337 c.p. non deve necessariamente consistere in un’aggressione fisica diretta e personale. Nel caso di specie, la violenza è stata ravvisata nell’impatto generato dalla massa di persone che, muovendosi simultaneamente, esercitava una pressione tale da tentare di superare un ostacolo fisico, rappresentato dal cordone di polizia. Spingere per aprirsi un varco è, in questo contesto, un’azione violenta.

Il Concorso nel Reato per Semplice Presenza Attiva

La Corte ha inoltre chiarito che trovarsi nelle prime file non è un dettaglio irrilevante. Questa posizione dimostra, secondo la sentenza, la volontà e la consapevolezza di contribuire attivamente, con la propria fisicità, a creare la forza complessiva del gruppo. Non si tratta di una mera presenza passiva, ma di un contributo causale concreto alla condotta di resistenza. Di conseguenza, non è necessario dimostrare che ogni singolo imputato abbia sferrato un pugno o un calcio; è sufficiente aver partecipato alla spinta collettiva.

La Legittimità dell’Azione di Polizia

Un altro punto cruciale sollevato dalla difesa era la presunta arbitrarietà dell’operato delle forze dell’ordine. Gli imputati sostenevano di aver reagito a un atto ingiusto, poiché la polizia aveva impedito loro l’accesso a un convegno pubblico, operando una discriminazione su base politica. Anche questa tesi è stata respinta.

La Corte ha stabilito che l’azione della polizia non era affatto arbitraria, ma costituiva una legittima attività di prevenzione. Poiché i manifestanti avevano esplicitamente dichiarato di voler impedire lo svolgimento del convegno, l’intervento delle forze dell’ordine era una misura necessaria per prevenire scontri e tutelare l’ordine pubblico. Il diniego all’accesso non era frutto di una decisione immotivata, ma la diretta conseguenza della minaccia rappresentata dai manifestanti stessi.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha concluso che i ricorsi erano infondati. Per quanto riguarda la protesta all’università, la condotta di resistenza aggravata è stata correttamente configurata. La partecipazione consapevole alla pressione fisica esercitata dalla folla contro il cordone di polizia integra la violenza richiesta dalla norma, e la presenza nelle prime file costituisce prova di un contributo attivo e consapevole al reato, inquadrabile nel concorso di persone.

Anche riguardo all’episodio della stazione ferroviaria, la resistenza è stata ritenuta sussistente. L’aver costretto gli agenti a barricarsi nel proprio ufficio ha impedito loro di completare l’identificazione e di continuare il servizio di ordine pubblico. L’azione di resistenza, ha precisato la Corte, non si esaurisce nell’istante in cui si manifesta, ma comprende anche le fasi successive che sono funzionali a impedire il compimento dell’atto d’ufficio.

Infine, è stata esclusa la causa di giustificazione della reazione ad atti arbitrari, poiché l’operato della polizia era pienamente legittimo e finalizzato a prevenire condotte illecite già dichiarate dai manifestanti.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: la partecipazione a una manifestazione non è una zona franca dalla responsabilità penale. La decisione chiarisce che il reato di resistenza a pubblico ufficiale può essere commesso non solo attraverso atti di violenza individuale, ma anche contribuendo alla forza d’urto di una folla. Per chi partecipa a manifestazioni, ciò significa che la propria posizione e il proprio comportamento all’interno del gruppo possono avere conseguenze penali dirette, anche senza compiere gesti eclatanti. Per le forze dell’ordine, la sentenza conferma la legittimità delle azioni preventive volte a impedire la commissione di reati annunciati, distinguendo nettamente tra tutela dell’ordine pubblico e atto arbitrario.

Essere in prima fila a una protesta e spingere contro un cordone di polizia è reato di resistenza a pubblico ufficiale, anche senza compiere atti di violenza specifici?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la violenza richiesta dal reato è integrata dalla pressione fisica derivante da una massa di persone in movimento. Contribuire con la propria presenza e fisicità a tale pressione, specialmente trovandosi nelle prime file, costituisce un contributo consapevole al reato, sufficiente per una condanna.

Opporsi alla polizia che impedisce l’accesso a un evento pubblico può essere giustificato come reazione a un atto arbitrario?
No, se l’azione della polizia è finalizzata a prevenire reati. Nel caso esaminato, i manifestanti avevano dichiarato l’intento di impedire un convegno. La Corte ha ritenuto che l’intervento delle forze dell’ordine fosse una legittima e necessaria cautela per prevenire scontri, e non un atto immotivato o arbitrario. Pertanto, la reazione dei manifestanti non era giustificata.

Cosa integra la “contemporaneità” tra la resistenza e l’atto d’ufficio nel reato di resistenza a pubblico ufficiale?
La contemporaneità non si esaurisce nel singolo istante in cui si compie l’atto. Essa ricomprende anche le fasi immediatamente precedenti e successive che sono direttamente funzionali al completamento dell’atto d’ufficio. Nel caso di specie, impedire agli agenti di uscire dal loro ufficio dopo un tentativo di identificazione ha di fatto bloccato il proseguimento della loro attività, integrando così il reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati