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Resistenza a pubblico ufficiale: la motivazione della pena

La Corte di Cassazione ha analizzato un caso di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento. Un uomo, per evitare una multa, ha minacciato degli agenti con un pezzo di vetro. La Corte ha confermato la sua colpevolezza ma ha annullato la sentenza riguardo la pena, criticando la Corte d’Appello per la motivazione ambigua e insufficiente sulla dosimetria della pena e sul diniego di un’attenuante.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: La Cassazione Sottolinea l’Obbligo di Motivazione sulla Pena

Il reato di resistenza a pubblico ufficiale è una fattispecie complessa che può manifestarsi in varie forme. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 46330/2024) offre spunti cruciali non tanto sulla configurabilità del reato in sé, quanto sull’obbligo del giudice di motivare in modo chiaro e coerente la determinazione della pena, inclusa la valutazione delle circostanze attenuanti. Questo caso dimostra come una condanna possa essere confermata nel merito, ma la pena annullata per un difetto di motivazione.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine all’interno di un Commissariato di Polizia. Un individuo, fermato per guida senza patente, reagiva alla notifica della sanzione amministrativa in modo violento. In particolare, danneggiava le ante in vetro di una bacheca presente nei locali e, brandendo un frammento di vetro, minacciava gli agenti al fine di impedire loro di completare la compilazione del verbale. Per tali condotte, veniva condannato in primo grado e in appello per i reati di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) e danneggiamento (art. 635 c.p.).

L’Iter Giudiziario e i Motivi del Ricorso

L’imputato, tramite il suo legale, proponeva ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Errata applicazione della legge penale: Si sosteneva che la minaccia non fosse rivolta agli agenti, ma fosse un atto di autolesionismo (l’imputato avrebbe rivolto il vetro verso la propria gola), privo quindi del dolo specifico di opporsi all’atto d’ufficio.
2. Vizio di motivazione sulla pena: La difesa lamentava una motivazione carente e incongrua da parte della Corte d’appello sulla quantificazione della pena, sull’applicazione delle attenuanti generiche e sul calcolo relativo alla continuazione tra i reati.
3. Mancata applicazione dell’attenuante del danno di speciale tenuità: Si contestava il mancato riconoscimento dell’attenuante prevista dall’art. 62, n. 4, c.p., nonostante il danno patrimoniale (la rottura della bacheca) fosse di modesta entità.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla resistenza a pubblico ufficiale

La Suprema Corte ha esaminato i motivi del ricorso, giungendo a una decisione che distingue nettamente la valutazione sulla colpevolezza da quella sulla determinazione della pena. Il primo motivo, relativo alla natura della minaccia e alla configurabilità del reato di resistenza a pubblico ufficiale, è stato rigettato. La Corte ha ribadito un principio consolidato: anche una condotta autolesionistica può integrare il reato, se finalizzata a impedire o contrastare l’operato del pubblico ufficiale. Inoltre, le sentenze di merito avevano accertato che, prima di rivolgere il vetro verso di sé, l’imputato lo aveva brandito verso gli agenti.

Di contro, i motivi relativi alla determinazione della pena sono stati accolti.

Le Motivazioni

La Cassazione ha rilevato una grave carenza motivazionale nella sentenza d’appello. I giudici di secondo grado, pur confermando la pena decisa dal Tribunale, avevano utilizzato una motivazione ambigua e contraddittoria. In particolare, il richiamo a circostanze non pertinenti al caso (come “l’importanza del bene vita”) per giustificare l’applicazione delle attenuanti generiche già concesse in primo grado è stato giudicato “incomprensibile” e sintomo di una motivazione non riferita ai fatti specifici della sentenza.

Ancora più grave è stata giudicata l’omessa risposta alla richiesta di applicazione dell’attenuante del danno di speciale tenuità. La Corte ha sottolineato che, di fronte a una specifica richiesta difensiva, il giudice ha l’obbligo di fornire una risposta motivata. Il silenzio su un punto così decisivo per la quantificazione della pena per il reato di danneggiamento costituisce un vizio che impone l’annullamento della decisione su quel punto.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, ma limitatamente alla determinazione della pena, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’appello di Napoli per un nuovo esame. La colpevolezza dell’imputato per i reati di resistenza e danneggiamento è stata quindi confermata, ma la pena dovrà essere ricalcolata sulla base di una motivazione logica, coerente e completa. Questa pronuncia riafferma un principio fondamentale dello stato di diritto: ogni decisione sulla libertà personale, inclusa la quantificazione della sanzione, deve essere supportata da un percorso argomentativo trasparente e verificabile, che dia conto delle ragioni che hanno portato il giudice a quella specifica conclusione.

Un atto di autolesionismo può integrare il reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che anche una condotta autolesionistica può costituire il reato di resistenza a pubblico ufficiale, se questa è finalizzata a impedire o contrastare il compimento di un atto d’ufficio da parte del pubblico ufficiale.

Perché la Cassazione ha annullato la sentenza solo sulla determinazione della pena?
Perché, pur ritenendo provata la colpevolezza dell’imputato, ha riscontrato che la motivazione della Corte d’appello sulla quantificazione della pena era ambigua, illogica e carente. In particolare, non era stata fornita una risposta adeguata alla richiesta di applicazione di un’attenuante specifica.

Qual è l’obbligo del giudice di appello quando la difesa richiede l’applicazione di un’attenuante?
Il giudice d’appello ha un preciso obbligo motivazionale. Deve fornire una risposta esplicita e argomentata alla richiesta difensiva, spiegando le ragioni per cui accoglie o respinge l’applicazione dell’attenuante. L’omissione di tale risposta costituisce un vizio della sentenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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