Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 597 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 597 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato il 02/06/1992 a Cividale del Friuli avverso la sentenza del 15/12/2022 della Corte d’appello di Trieste
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe, la Corte di appello di Trieste ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado con cui NOME COGNOME era stato ritenuto responsabile, all’esito di giudizio abbreviato, dei reati di resistenza pubblico ufficiale (capo A), oltraggio (capo B) e minaccia grave (capo C) allo stesso ascritti, uniti dal vincolo della continuazione, ritenendo improcedibile i
k, reato di cui al capo C) per mancanza di querela e per l’effetto rideterminando la pena in mesi quattro e giorni venti di reclusione.
Il difensore dell’imputato ha presentato ricorso per cassazione avverso la citata sentenza e ne ha chiesto l’annullamento, censurandone la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione: GLYPH all’affermazione di responsabilità in ordine al reato di resistenza, dal momento che la condotta dell’imputato si è risolta in una forma di protesta senza connotazione intimidatoria anche per il il profilo del dolo specifico; – alla qualificazione giuridica del reato di resistenza, inquadrarsi viceversa in quello di minaccia aggravata, non procedibile per mancanza di querela; – all’applicazione della recidiva effettuata unicamente sulla base dei precedenti penali.
Il ricorso è stato trattato in forma cartolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Il primo motivo di ricorso, con cui si deduce la carenza degli elementi costitutivi del reato di resistenza, è manifestamente infondato.
La sentenza descrive in dettaglio l’atteggiamento ostruzionistico posto in essere da COGNOME fin dall’inizio dell’attività ispettiva finalizzata alla ricerc stupefacenti all’interno della Casa circondariale di Udine, ove lo stesso era detenuto.
In particolare, la Corte d’appello ha evidenziato come il pubblico ufficiale sia stato aggredito verbalmente e minacciato dall’imputato mentre, nell’esercizio delle funzioni di vigilanza e tutela dell’ordine e della disciplina, all’interno della sezi di appartenenza di Sagrestano, era intervenuto per effettuare una perquisizione nei suoi confronti: attività doverosa posta in essere da un pubblico ufficiale, nell’esercizio e per finalità inerenti alla pubblica funzione esercitata, e costituen perciò atto d’ufficio.
La frase inequivocabilmente minacciosa proferita dal ricorrente nei confronti del Sovrintendente della Polizia penitenziaria (“fuori non sei nessuno e se ti becco ti renderai conto con chi hai a che fare…”) che lo aveva invitato ad uscire dalla cella per effettuare una perquisizione integra una condotta di resistenza punibile, perché non limitata alla mera opposizione passiva, ma connotata dall’impiego di
t.
espressioni gravemente intimidatrici finalizzate – con dolo specifico – a neutralizzare l’azione del pubblico ufficiale e ad ostacolarne le attività in corso.
La valutazione della Corte risulta in linea con il consolidato principio dell giurisprudenza di legittimità secondo cui nel delitto di resistenza a pubblico ufficiale il dolo specifico si concreta nel fine di ostacolare l’attività pertinen pubblico ufficio o servizio in atto e risulta pienamente concretato dalla coscienza e volontà di usare violenza o minaccia al fine di opporsi al compimento di un atto dell’ufficio (Sez. 6, n. 38786 del 17/09/2014, Eki, Rv. 260469).
Privo di pregio è altresì il secondo motivo di ricorso, relativo alla mancata riqualificazione della resistenza nel reato di minaccia aggravata.
La riduttiva prospettazione del ricorrente circa l’inidoneità coartante della minaccia non può essere condivisa, avuto riguardo alla gravità delle espressioni rivolte nella specie al pubblico ufficiale, dopo che questi per due volte gli aveva ordinato di alzarsi e di andare in socialità ; spiegandogli il motivo per cui doveva uscire, con la chiara finalità di incidere sull’atto ancora da compiere, come correttamente ritenuto dai giudici di merito.
Invero, soltanto allorché il comportamento aggressivo nei confronti del pubblico ufficiale non sia diretto a costringere il soggetto a fare un atto contrari ai propri doveri o ad omettere un atto dell’ufficio, ma sia solo espressione di volgarità ingiuriosa e di atteggiamento genericamente minaccioso, senza alcuna finalizzazione ad incidere sull’attività dell’ufficio o del servizio, la condotta integra il delitto di cui all’art. 337 cod. pen., ma i reati di ingiuria depenalizzato) e di minaccia, aggravati dalla qualità delle persone offese, per la cui procedibilità è necessaria la querela (Sez. 6, n. 23684 del 14/05/2015, COGNOME, Rv. 263813).
Appare generico e palesemente infondato il terzo motivo di ricorso. Nel caso in esame la Corte territoriale ha esplicitamente motivato, con adeguato apparato argomentativo, in merito alle ragioni ostative all’esclusione della recidiva, individuate nel progressivo incremento dell’attitudine a delinquere dell’imputato come si evince dal richiamo alla tipologia e all’offensività dei reat oggetto delle precedenti condanne, alla gravità e alla collocazione temporale ravvicinata degli stessi, nonché alla devianza della quale sono complessivamente espressione in relazione all’ultimo delitto, posto in essere durante l’espiazione del cumulo delle pene inflitte con le precedenti condanne, tra cui una condanna per droga. Di talché, non può consentirsi alla Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione al motivato apprezzamento compiuto dai Giudici del merito all’esito dell’attento e coerente esame dei fatti.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del procedimento e della somma, ritenuta equa, di euro tremila alla Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 09/11/2023.