Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 47039 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 47039 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOMECOGNOME nato a Torre Annunziata il 01/12/1982
avverso la sentenza del 30/01/2024 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe indicato, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale della stessa città in data 4 aprile 2023 che ha condannato NOME COGNOME per i reati di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capo a) e di cui all’art. 337 cod. pen. (capo b), alla pena di anni quattro e mesi cinque di reclusione (fatti commessi il 4 maggio 2023).
Tramite il proprio difensore di fiducia, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito sintetizzati.
2.1. Con i primi due motivi denuncia vizio della motivazione e violazione di legge ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen., con riferimento al travisamento
dell’elemento probatorio costituito dalla videoripresa prodotta dalla difesa a dimostrazione del fatto che la fuga dell’imputato non avesse creato alcuna situazione di pericolo, né per sé e per l’agente che si era posto all’inseguimento e né per gli altri utenti della strada.
Secondo il difensore, dalla videoripresa era desumibile che la velocità dell’imputato non fosse superiore ai 50 km/h, calcolando i tempi del percorso filmato lungo circa 100 metri.
2.2. Con i motivi terzo e quarto deduce violazione di legge e vizio della motivazione ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in merito alla mancata riqualificazione del fatto ai sensi del comma 5 dell’art. 73 T.U. Stup.
In particolare, si censura il riferimento all’inserimento in un contesto di spaccio di alto livello desunto da un dato che non ha trovato riscontro, ovvero che l’autovettura guidata dall’imputato fosse preceduta da un’altra auto con funzione di staffetta.
Residua, quindi, come indice di gravità del fatto il solo dato ponderale (gr. 31,62 di cocaina pura, pari a duecentoundici dosi), che è però stato ritenuto compatibile con l’ipotesi del quinto comma secondo lo studio statistico elaborato dalla Corte di Cassazione.
2.3. Con i motivi quinto e sesto deduce violazione di legge e vizio della motivazione ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen. in ordine al mancato riconoscimento della continuazione tra i reati di cui ai capi a) e b), sotto il profilo della contestualità del reato di resistenza con quello di detenzione della sostanza stupefacente e della possibile preordinazione della volontà di sottrarsi al controllo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è parzialmente fondato.
Risulta da accogliere, innanzitutto, il primo motivo sulla integrazione del reato di resistenza a pubblico ufficiale ascritto al capo a) in relazione alla valutazione della prova della situazione di pericolo correlata alla fuga posta in essere dall’imputato.
La Corte di appello, pur dando conto della giurisprudenza di legittimità secondo cui per integrare l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 337 cod. pen. è necessaria al prova che la fuga per sottrarsi all’intervento delle forze dell’ordine, si svolga con modalità tali da mettere in pericolo l’incolumità degli utenti della strada o degli stessi agenti operanti, costringendoli ad un inseguimento pericoloso (ex plurimis, Sez. 6, 8/04/2003, Laraspata Rv. 226251; Sez. 4, 14/07/2006, COGNOME, Rv. 235535), tuttavia, è incorsa in un vizio della motivazione affermando che la prova che il Vangone procedesse a forte velocità è
desumibile dalla circostanza di essere riuscito a far perdere le tracce all’agente di polizia che lo inseguiva su una motocicletta, nonostante la maggiore adeguatezza del mezzo dell’inseguitore rispetto alle condizioni di viabilità del traffico urbano.
Più precisamente, secondo l’argomentazione della sentenza impugnata, il dato della pericolosità delle condotte di guida, tenute tanto dal Vangone che dall’agente di polizia impegnato nel suo inseguimento, sarebbe dimostrato dalla stessa allegazione difensiva che ha riprodotto il lungo percorso urbano effettuato dall’imputato percorrendo diverse vie cittadine senza essere raggiunto.
A tale riguardo, il ricorrente ha invece messo in evidenza come tale deduzione non fosse coerente alle risultanze in atti, atteso che dalla visione delle immagini estrapolate dal sistema di videosorveglianza oltre a non trovare riscontro il dato della velocità elevata, tanto del mezzo dell’inseguitore che dell’inseguito, non si evincono situazioni di pericolo, palesandosi dal filmato che si trattasse più di un pedinamento che di un inseguimento, considerata la velocità moderata dei due mezzi e della distanza neppure ravvicinata tra gli stessi.
Pertanto, tenuto conto di tali emergenze, la motivazione della sentenza impugnata appare senz’altro carente perché fa discendere la situazione di pericolo da valutazioni solo congetturali, non basate su dati oggettivi e neppure richiamando elementi di prova tratti dalle relazioni di servizio, pienamente utilizzabili essendosi proceduto nelle forme del giudizio abbreviato.
Si impone, pertanto, un annullamento su tale capo perché in sede di giudizio di rinvio sia posto rimedio al rilevato vizio di motivazione, dovendosi dare conto degli elementi di prova che dimostrino come la condotta di guida e più in generale la fuga posta in essere dal Vangone abbia concretamente creato una situazione di pericolo per la circolazione stradale e per le forze di polizia, costrette all’inseguimento.
Risulta fondato anche il motivo dedotto sul mancato riconoscimento della continuazione tra i reati di cui ai capi a) e b).
A tale riguardo la Corte di appello, condividendo il percorso argomentativo del Giudice del primo grado, ha evidenziato come nonostante la contestualità spaziotemporale dovesse escludersi l’esistenza di una matrice ideativa comune tra le due condotte incriminate sul rilievo che non fosse possibile ritenere che il Vangone al momento del trasporto della droga in macchina potesse essersi rappresentato anche la necessità di dover forzare un posto di controllo della Polizia di Stato.
Con il ricorso è stato all’opposto censurata tale argomentazione sul rilievo che proprio la programmata consumazione del trasporto di sostanza stupefacente a bordo di un’autovettura rendeva coerente anche la ideazione del delitto di
resistenza come azione criminosa già preventivamente deliberata di fronte al rischio di subire un controllo stradale, ipotesi tutt’altro che imprevedibile.
La decisione impugnata non appare corretta, posto che ai fini dell’unicità del disegno criminoso, è necessario che le singole violazioni, concepite almeno nelle loro caratteristiche essenziali, costituiscano parte integrante di un unico programma deliberato per conseguire un determinato fine (cfr., da ultimo, Sez. 5, n. 5599 del 03/10/2013, COGNOME, Rv. 258862), sicchè l’identità del disegno criminoso deve essere negata qualora, malgrado la contiguità spazio-temporale, il nesso funzionale riscontrabile tra le diverse fattispecie incriminatrici sia tale da escludere la preventiva programmazione, come quando risulti un nesso di mera occasionalità tra i due reati (Sez. 6, n. 35805 del 24/05/2007, COGNOME, Rv. 237643; Sez. 3, n. 896 del 17/11/2015, COGNOME RAGIONE_SOCIALE, Rv. 266179).
Al contrario, ove il nesso ideologico che lega i due reati non si connoti in termini di mera occasionalità, la continuazione deve essere riconosciuta allorchè possa ritenersi prevedibile la commissione del secondo reato al momento della ideazione del primo.
Si impone, pertanto, anche su tale punto l’annullamento con rinvio, dovendosi valutare se in base a tutte le circostanze del caso concreto (durata, modalità, orario del trasporto, eventuale predisposizione di una staffetta di supporto per prevenire controlli di polizia) fosse o meno prevedibile per l’autore del trasporto della droga il rischio di essere costretto a forzare un posto di polizia per sottrarsi all’accertamento del reato.
3. Tutti gli altri motivi di ricorso sono infondati.
Occorre, in primo luogo, considerare che la fattispecie di reato prevista dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (trasformata da ipotesi circostanziale in delitto autonomo per effetto dell’art. 2 d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni con I. 21 febbraio 2014, n. 10), è ravvisabile nei casi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo dello stupefacente, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione e segnatamente dai mezzi, dalle modalità e dalle circostanze dell’azione.
È stato già affermato che la fattispecie di lieve entità costituisce “strumento” di riequilibrio e “riproporzionamento” del sistema sanzionatorio in materia di stupefacenti in relazione a casi concreti nei quali, per la complessiva non gravità della condotta, il principio di offensività verrebbe sostanzialmente “tradito” applicando le più severe pene previste per le ipotesi diverse dal comma 5 dello stesso art. 73 T.U. stup. (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076).
Orbene nella fattispecie in esame la valutazione della Corte di appello appare adeguata e sorretta da una motivazione esaustiva che ha dato conto non solo del dato ponderale non minimale, ma anche delle modalità del fatto, in particolare del trasporto operato con l’appoggio di un’altra autovettura con funzione di staffetta che depone per l’inserimento in un traffico di stupefacenti su larga scala.
Le censure difensive volte a smentire il dato della presenza di una seconda autovettura con funzione di staffetta introducono valutazioni in fatto basate su argomenti che non possono essere condivisi, atteso che l’assenza di altri indagati non contraddice di per sé la esistenza di tale dato, tenuto conto anche della scelta del rito abbreviato che legittima l’utilizzo per la decisione di risultanze istruttorie non supportate dalla verifica nel contraddittorio delle parti.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata parzialmente per le ragioni sopra illustrate, con conseguente rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo b) e alla applicazione dell’art. 81 cod. pen., con rinvio, per nuovo giudizio su tale capo e punto, ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma il 5 novembre 2024