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Resistenza a pubblico ufficiale: la fuga è violenza

Un individuo, condannato per furto aggravato e resistenza a pubblico ufficiale, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che la sua fuga in auto e la successiva colluttazione fossero mera resistenza passiva. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che una fuga pericolosa in auto integra l’elemento della violenza necessario per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, così come lo sferrare calci e pugni al momento dell’arresto costituisce resistenza attiva.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a pubblico ufficiale: la fuga in auto è violenza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di resistenza a pubblico ufficiale: la fuga ad alta velocità per sottrarsi all’arresto costituisce a tutti gli effetti la “violenza” richiesta dalla norma penale. Questa decisione chiarisce ulteriormente i confini tra resistenza attiva, penalmente rilevante, e resistenza passiva, non punibile.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una condanna emessa dalla Corte d’Appello nei confronti di un individuo per furto aggravato e resistenza a pubblico ufficiale. L’imputato, insieme a un complice, era stato sorpreso mentre sottraeva carburante dal serbatoio di un autoarticolato. Alla vista delle forze dell’ordine, i due si erano dati alla fuga a bordo di un’auto, viaggiando a forte velocità e compiendo manovre pericolose per ostacolare l’inseguimento, fino a uscire di strada. Una volta bloccato, l’imputato aveva continuato a opporsi all’arresto dimenandosi e tentando di sferrare calci e pugni agli agenti.

I Motivi del Ricorso in Cassazione sulla resistenza a pubblico ufficiale

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando diversi aspetti della sentenza di condanna. Il punto centrale del suo ricorso riguardava la qualificazione della sua condotta come resistenza a pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 337 del codice penale.

Secondo la difesa, non era stata dimostrata una sua partecipazione materiale alla guida durante la fuga. Inoltre, la successiva colluttazione al momento dell’arresto era stata descritta come una mera condotta di “resistenza passiva”, un semplice divincolarsi per sottrarsi alla presa, non un’azione violenta diretta a contrastare l’operato degli agenti.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le argomentazioni della difesa manifestamente infondate. La decisione si basa su due pilastri fondamentali, entrambi consolidati nella giurisprudenza di legittimità.

La fuga in auto come violenza

I giudici hanno ribadito che, in tema di resistenza a pubblico ufficiale, l’elemento materiale della violenza non si limita all’aggressione fisica diretta. Integra pienamente tale requisito anche la condotta di chi, per sfuggire all’intervento delle forze dell’ordine, si dia alla fuga alla guida di un veicolo, ponendo deliberatamente in pericolo l’incolumità degli altri utenti della strada con una guida pericolosa.

La Corte ha inoltre specificato che di tale reato risponde anche il passeggero che, manifestando la volontà di sfuggire alla cattura, accetta di condividere i rischi della fuga, concorrendo moralmente all’azione delittuosa, a prescindere da chi fosse effettivamente al volante.

La lotta fisica come resistenza attiva

Per quanto riguarda il secondo frammento di condotta, ovvero la reazione al momento dell’arresto, la Cassazione ha smontato la tesi della resistenza passiva. Il reato di resistenza si configura ogni qualvolta il soggetto non si limiti a una mera opposizione passiva (come il rifiuto di muoversi), ma impieghi la forza per neutralizzare l’azione del pubblico ufficiale e sottrarsi alla presa. Tentare di sferrare “calci e pugni”, come emerso nel caso di specie, è un palese impiego di forza fisica finalizzato a garantirsi la fuga e, pertanto, costituisce resistenza attiva e punibile.

Le altre censure respinte

La Corte ha rigettato anche gli altri motivi di ricorso, confermando la sussistenza delle aggravanti del furto, l’adeguata motivazione sulla recidiva (basata sulla personalità dell’imputato e sulla commissione dei fatti mentre era sottoposto a sorveglianza speciale) e il corretto diniego delle attenuanti generiche e di quella del minimo contributo.

Le conclusioni della Suprema Corte

Con questa sentenza, la Cassazione ha confermato che il delitto di resistenza a pubblico ufficiale ha una portata applicativa ampia, che include non solo la violenza diretta contro la persona del pubblico ufficiale, ma anche quella “indiretta” che si manifesta mettendo a repentaglio la sicurezza pubblica per garantirsi l’impunità. La decisione sottolinea che la soglia tra resistenza passiva (non punibile) e attiva (punibile) è superata non appena si passa da una semplice inerzia a un uso, anche minimo, di forza fisica per contrastare l’atto d’ufficio. Un monito chiaro che la fuga non è mai una scappatoia lecita.

Una fuga in auto per sottrarsi all’arresto può essere considerata resistenza a pubblico ufficiale?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la condotta di chi si dà alla fuga alla guida di un’autovettura, ponendo deliberatamente in pericolo l’incolumità degli altri con una guida pericolosa per sfuggire alle forze dell’ordine, integra l’elemento materiale della violenza richiesto per il reato di resistenza a pubblico ufficiale.

Qual è la differenza tra resistenza passiva e resistenza attiva secondo la Cassazione?
La resistenza passiva è una mera opposizione non violenta (es. non muoversi), che non costituisce reato. La resistenza attiva, invece, si configura quando si impiega la forza fisica per neutralizzare l’azione del pubblico ufficiale e sottrarsi al suo controllo. La sentenza chiarisce che sferrare calci e pugni, anche solo tentati, rientra pienamente in questa seconda categoria.

Il passeggero di un’auto in fuga risponde del reato di resistenza anche se non sta guidando?
Sì. La Corte ha affermato che risponde del reato anche il passeggero che, manifestando la volontà di fuggire, accetta di condividere le modalità pericolose della fuga. In questo modo, concorre moralmente al reato, rafforzando l’azione del conducente e condividendone l’intento criminoso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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