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Resistenza a pubblico ufficiale: la fuga è reato?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un motociclista condannato per resistenza a pubblico ufficiale. La Corte ha stabilito che una fuga pericolosa nel traffico, con slalom tra i veicoli, costituisce la violenza richiesta dalla norma, superando il concetto di mera disobbedienza. La condanna è stata confermata, respingendo anche le eccezioni sulla violazione del principio del ne bis in idem per la contemporanea presenza di sanzioni amministrative.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Fuggire in Moto è Reato? La Cassazione Chiarisce

La condotta di chi fugge dalle forze dell’ordine può integrare il grave reato di resistenza a pubblico ufficiale? La questione è stata recentemente affrontata dalla Corte di Cassazione con un’ordinanza che offre importanti chiarimenti. Il caso riguardava un motociclista che, per sottrarsi a un controllo, si era dato a una fuga pericolosa nel traffico cittadino. Vediamo come i giudici hanno valutato i fatti e quali principi hanno affermato.

I Fatti: La Fuga Pericolosa nel Traffico Cittadino

Il procedimento nasce dalla condanna di un uomo per il reato di cui all’art. 337 del codice penale. L’imputato, alla guida della sua moto, non si era fermato all’alt imposto dagli agenti di polizia e aveva iniziato una fuga per le vie della città. La sua condotta non si era limitata a un semplice allontanamento, ma si era concretizzata in una guida spericolata, effettuando slalom tra le altre auto e mettendo a rischio la sicurezza stradale, costringendo gli agenti a un inseguimento lungo un chilometro.

I Motivi del Ricorso: Tra Violenza Indiretta e Principio del Ne Bis in Idem

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione lamentando tre principali violazioni:

1. Errata applicazione dell’art. 337 c.p.: Secondo la difesa, la semplice fuga, anche se a velocità sostenuta, non costituirebbe la violenza o la minaccia richiesta dalla norma per configurare il reato di resistenza a pubblico ufficiale.
2. Violazione delle regole processuali: Il ricorrente sosteneva che il giudice avesse formulato domande suggestive durante il processo, in violazione dell’art. 499 del codice di procedura penale.
3. Violazione del ne bis in idem: L’uomo affermava di essere già stato sanzionato in via amministrativa per la guida pericolosa, e che una successiva condanna penale per lo stesso comportamento avrebbe violato il divieto di essere processati due volte per il medesimo fatto, sancito dall’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.

La Decisione sulla Resistenza a Pubblico Ufficiale

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione dei giudici di merito. I magistrati hanno ribadito un principio consolidato: la “violenza” richiesta per il reato di resistenza non deve essere necessariamente diretta contro la persona del pubblico ufficiale. Può anche essere una “violenza impropria”, ovvero una condotta che si esercita sulle cose o che, pur non essendo un’aggressione fisica diretta, è idonea a ostacolare l’atto d’ufficio e a mettere in pericolo l’incolumità degli agenti o di terzi.

Nel caso specifico, la fuga ad alta velocità con manovre spericolate e slalom tra le auto è stata considerata una condotta violenta, poiché ha creato una situazione di concreto pericolo e ha costretto gli agenti a un inseguimento rischioso. Non si è trattato, quindi, di un mero “divincolarsi” o di una passiva disobbedienza, ma di un comportamento attivo e pericoloso finalizzato a impedire il controllo.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni del ricorrente. In primo luogo, ha qualificato il ricorso come una mera riproposizione di motivi già esaminati e respinti in appello, senza un reale confronto critico con le motivazioni della sentenza impugnata.

Sul divieto di domande suggestive, i giudici hanno ricordato che tale divieto non si applica al giudice, ma solo alle parti processuali. In ogni caso, le domande contestate non sono state ritenute tali.

Infine, riguardo al principio del ne bis in idem, la Corte ha sottolineato due aspetti: primo, l’oggettività giuridica (cioè il bene protetto) della norma penale (il corretto funzionamento della pubblica amministrazione) è diversa da quella delle sanzioni amministrative (la sicurezza stradale). Secondo, e in modo dirimente, nel processo non era stata fornita alcuna prova che le sanzioni amministrative fossero state effettivamente e definitivamente applicate.

Le Conclusioni

L’ordinanza conferma che la fuga per sottrarsi a un controllo di polizia, quando attuata con modalità che creano un concreto pericolo per la pubblica incolumità, integra il delitto di resistenza a pubblico ufficiale. La decisione serve da monito: la guida spericolata per eludere un controllo non è una semplice infrazione al codice della strada, ma può configurare un grave reato, con conseguenze penali significative. La Corte, dichiarando inammissibile il ricorso, ha anche condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La semplice fuga dalla polizia costituisce sempre resistenza a pubblico ufficiale?
No, non sempre. La resistenza si configura quando la fuga avviene con modalità violente o minacciose, come una guida spericolata e pericolosa che metta a rischio l’incolumità degli agenti o di terzi, ostacolando attivamente il compimento dell’atto d’ufficio.

Una sanzione amministrativa per guida pericolosa impedisce una condanna penale per resistenza per lo stesso fatto?
Secondo questa ordinanza, no. La Corte ha ritenuto che le due sanzioni tutelino beni giuridici diversi (la sicurezza stradale e il buon andamento della pubblica amministrazione) e ha sottolineato che, in ogni caso, mancava la prova dell’applicazione definitiva delle sanzioni amministrative.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello, senza confrontarsi criticamente con le motivazioni di quella sentenza. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio sul merito, ma un giudice di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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