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Resistenza a pubblico ufficiale: la fuga è reato?

Un automobilista è stato condannato per resistenza a pubblico ufficiale per aver effettuato manovre pericolose al fine di fuggire a un controllo. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che per integrare il reato non è necessaria una violenza diretta contro l’agente, ma è sufficiente una condotta pericolosa volta a ostacolare l’atto d’ufficio. La sentenza chiarisce anche la rilevanza della recidiva ai fini della prescrizione.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Anche la Fuga Pericolosa è Reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26633/2024, torna a pronunciarsi sul delitto di resistenza a pubblico ufficiale, fornendo chiarimenti cruciali sulla natura della violenza necessaria per configurare il reato. La decisione in esame conferma che anche una condotta di fuga, se attuata con manovre pericolose per la collettività, integra pienamente il reato, senza che sia necessaria un’aggressione diretta alla persona dell’agente. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: Una Fuga dal Parcheggio

Il caso trae origine dalla condanna di un uomo per concorso in resistenza a pubblico ufficiale. L’imputato era stato identificato come il conducente di un’autovettura che, per sottrarsi a un controllo, aveva posto in essere delle manovre pericolose all’interno di un parcheggio, con l’intento di guadagnare l’uscita e fuggire.

La difesa dell’imputato aveva contestato sia la sua identificazione, ritenuta incerta, sia la qualificazione giuridica del fatto. Secondo la tesi difensiva, la condotta non integrava la resistenza a pubblico ufficiale, in quanto la violenza non era stata rivolta volontariamente contro l’agente, ma era solo una conseguenza del tentativo di fuga. Sia il Tribunale che la Corte di Appello avevano però confermato la condanna, portando l’imputato a proporre ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la condanna inflitta nei gradi di merito. I giudici hanno respinto le argomentazioni della difesa, ritenendole infondate e, in parte, una mera riproposizione di censure già esaminate e rigettate dalla Corte di Appello.

Le Motivazioni della Sentenza: Analisi della Resistenza a Pubblico Ufficiale

Il cuore della sentenza risiede nell’analisi degli elementi costitutivi del reato di resistenza. La Corte ha ribadito principi giurisprudenziali consolidati, offrendo una lezione chiara sulla sua applicazione pratica.

La Violenza o Minaccia nel Reato

Il punto centrale è che, ai fini della configurabilità del reato di resistenza a pubblico ufficiale, non è indispensabile che la violenza o la minaccia siano usate direttamente sulla persona del pubblico ufficiale. È sufficiente che queste siano poste in essere per opporsi al compimento di un atto d’ufficio.

Nel caso specifico, era irrilevante che l’auto non fosse stata ‘puntata’ direttamente contro l’agente. Ciò che ha costituito la prova della resistenza è stata la condotta complessiva del conducente. Le manovre, essendo pericolose per la pubblica incolumità e per gli stessi agenti, erano oggettivamente finalizzate a ostacolare l’esercizio della funzione pubblica, integrando così pienamente la fattispecie criminosa.

La Questione della Recidiva

Un altro motivo di ricorso riguardava la recidiva, che secondo la difesa non era stata correttamente accertata e non doveva incidere sul calcolo della prescrizione. La Corte ha dichiarato il motivo inammissibile e infondato. In primo luogo, la questione non era stata sollevata in appello nei termini corretti. In secondo luogo, la Cassazione ha ricordato il principio, stabilito dalle Sezioni Unite, secondo cui la recidiva, anche se ritenuta equivalente alle attenuanti in fase di commisurazione della pena, è comunque rilevante ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato.

Conclusioni: Cosa Insegna Questa Sentenza

La pronuncia in esame consolida un orientamento fondamentale in materia di resistenza a pubblico ufficiale. Essa ci insegna che qualsiasi condotta violenta, anche se non diretta ad aggredire fisicamente l’agente, ma finalizzata a impedirgli di compiere il suo dovere e potenzialmente pericolosa per terzi, costituisce reato. La fuga da un controllo, se attuata con modalità che mettono a repentaglio la sicurezza, non può essere considerata una semplice infrazione, ma un vero e proprio atto di resistenza all’autorità. Questo principio serve a tutelare non solo l’integrità fisica degli agenti, ma anche il corretto e ordinato svolgimento delle funzioni pubbliche.

Per configurare il reato di resistenza a pubblico ufficiale è necessario che la violenza sia diretta contro la persona dell’agente?
No, non è necessario. La Cassazione ha chiarito che la violenza o la minaccia sono sufficienti anche quando sono poste in essere semplicemente per opporsi al compimento di un atto d’ufficio, senza che vi sia un’aggressione fisica diretta all’agente.

Una manovra di fuga pericolosa con un’auto può essere considerata resistenza a pubblico ufficiale?
Sì. Secondo la Corte, una condotta che si traduce in manovre pericolose per la pubblica incolumità e per gli stessi agenti, attuata allo scopo di ostacolare l’esercizio della funzione pubblica (come un controllo di polizia), integra pienamente il reato di resistenza.

La recidiva ha effetti sul calcolo della prescrizione anche se viene giudicata equivalente alle attenuanti?
Sì. La Corte ha confermato il principio secondo cui la recidiva, anche quando viene bilanciata in giudizio di equivalenza con le circostanze attenuanti, mantiene la sua rilevanza ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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