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Resistenza a pubblico ufficiale: la fuga è reato?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8640/2024, ha stabilito che la fuga spericolata alla guida di un veicolo, con manovre pericolose per sé e per gli altri, integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale. Il caso riguardava un motociclista che, per sottrarsi a un controllo, aveva guidato a folle velocità e compiuto sorpassi azzardati. La Corte ha annullato la decisione del Tribunale che non aveva convalidato l’arresto, affermando che tale condotta ostacola attivamente la funzione pubblica e mette in pericolo gli agenti, configurando pienamente il reato di resistenza.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Quando la Fuga Diventa Reato

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 8640 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema di grande attualità e dibattito: quando una fuga dalle forze dell’ordine si trasforma nel reato di resistenza a pubblico ufficiale. Questa decisione chiarisce che non è necessaria una violenza diretta, come uno speronamento, ma è sufficiente una condotta di guida estremamente pericolosa per configurare il delitto. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: Una Fuga Spericolata in Moto

Il caso ha origine da un controllo di polizia a Padova. Un uomo alla guida di una motocicletta, anziché fermarsi all’alt, intraprendeva una fuga spericolata per le vie della città. La sua condotta era caratterizzata da folle velocità, sorpassi azzardati, invasione della corsia di marcia opposta e l’imbocco di strade contromano. Queste manovre costringevano gli agenti di polizia a un inseguimento ad alto rischio per garantire la sicurezza pubblica e fermare il fuggitivo.

Al termine dell’inseguimento, l’uomo veniva arrestato in flagranza per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale.

La Decisione del Tribunale e il Ricorso del Pubblico Ministero

Contrariamente alle aspettative, il Tribunale di Padova decideva di non convalidare l’arresto. Secondo il giudice di primo grado, la condotta del motociclista, sebbene indubbiamente pericolosa per la circolazione stradale, non costituiva una “condotta attivamente oppositiva” agli atti d’ufficio. In altre parole, mancando gesti come tentativi di speronamento o altre forme di violenza diretta contro la pattuglia, la semplice fuga, per quanto pericolosa, non era sufficiente a integrare il reato di resistenza a pubblico ufficiale.

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Padova non ha condiviso questa interpretazione e ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che tale lettura fosse in contrasto con l’orientamento consolidato della giurisprudenza.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente il ricorso del Pubblico Ministero, annullando l’ordinanza del Tribunale di Padova. I giudici supremi hanno ribadito un principio fondamentale: il reato di resistenza a pubblico ufficiale non richiede necessariamente un’azione violenta diretta contro l’agente. Integra il reato anche colui che, per sottrarsi a un controllo, non si limita a una semplice fuga, ma pone in essere una serie di manovre finalizzate a impedire l’inseguimento.

Secondo la Corte, una guida obiettivamente pericolosa, che mette a repentaglio l’incolumità degli agenti inseguitori o degli altri utenti della strada, ostacola concretamente l’esercizio della funzione pubblica. Tale condotta, infatti, costringe gli agenti a scegliere tra il desistere dall’inseguimento, lasciando impunito il soggetto, o protrarlo a rischio della propria e altrui sicurezza. Questo comportamento è una forma di violenza indiretta che impedisce o turba l’adempimento dell’atto d’ufficio.

le conclusioni

La sentenza in esame ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, stabilisce che la fuga per evitare un controllo di polizia, quando attuata con modalità che creano un concreto pericolo per la pubblica incolumità, non è una semplice infrazione al Codice della Strada, ma un vero e proprio delitto. Di conseguenza, l’arresto in flagranza è da considerarsi legittimo.

In secondo luogo, la decisione riafferma che la tutela del bene giuridico protetto dalla norma sulla resistenza a pubblico ufficiale – ovvero il regolare svolgimento della pubblica funzione – si realizza anche sanzionando chi, con la propria condotta spericolata, costringe gli agenti a operare in condizioni di estremo pericolo. Viene quindi chiarito che la “violenza” richiesta dalla norma può manifestarsi anche attraverso manovre di guida che deliberatamente pongono a rischio l’incolumità altrui per garantirsi la fuga.

Una semplice fuga dalla polizia costituisce sempre reato di resistenza a pubblico ufficiale?
No. La sentenza chiarisce che non basta la mera fuga, ma è necessaria una condotta che vada oltre. Il reato si configura quando la fuga avviene tramite manovre finalizzate a impedire l’inseguimento e che pongono deliberatamente in pericolo l’incolumità degli agenti o di terzi.

Quali comportamenti durante una fuga integrano il reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Secondo la Corte, integrano il reato condotte di guida obiettivamente pericolose come viaggiare a folle velocità, compiere sorpassi azzardati, invadere la corsia opposta o percorrere strade contromano, perché ostacolano l’esercizio della funzione pubblica e mettono a rischio la sicurezza.

Cosa ha deciso la Corte di Cassazione in questo caso specifico?
La Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio l’ordinanza del Tribunale, dichiarando legittimo l’arresto. Ha stabilito che la condotta di guida spericolata del motociclista integrava pienamente il reato di resistenza a pubblico ufficiale, in quanto violava la legge e ostacolava attivamente il controllo di polizia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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