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Resistenza a pubblico ufficiale: la complicità

La Corte di Cassazione conferma le condanne per il reato di resistenza a pubblico ufficiale aggravata a carico di alcuni tifosi per gli scontri avvenuti durante una partita di calcio. La sentenza chiarisce che la partecipazione a un’azione collettiva violenta, anche senza compiere materialmente l’atto di aggressione, può integrare la complicità morale nel reato. La Corte ribadisce inoltre la piena validità probatoria delle copie di filmati video, considerate prova documentale a tutti gli effetti, e precisa i confini procedurali per la modifica del capo d’imputazione durante il processo.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a pubblico ufficiale: quando la presenza agli scontri diventa reato?

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi su un tema di grande attualità: la responsabilità penale per resistenza a pubblico ufficiale in contesti di violenza di gruppo, come gli scontri tra tifoserie. La decisione offre chiarimenti fondamentali sul concetto di concorso morale e sull’utilizzo delle prove video, stabilendo principi importanti per l’accertamento delle responsabilità individuali.

I fatti di causa

La vicenda trae origine da gravi disordini avvenuti in occasione di un’importante partita di calcio. Un gruppo di tifosi si era reso protagonista di violenti scontri con le forze dell’ordine, lanciando oggetti e opponendosi attivamente alle loro disposizioni. A seguito di questi eventi, diversi soggetti venivano condannati in primo e secondo grado per il reato di resistenza a pubblico ufficiale aggravata.

Gli imputati proponevano ricorso per Cassazione, sollevando diverse questioni, tra cui:
* Violazioni procedurali relative alla modifica del capo d’imputazione nel corso del processo.
* L’inutilizzabilità delle prove video, in quanto copie non originali e frutto di una selezione operata dalla polizia giudiziaria.
* La mancanza di prove dirette di una loro condotta violenta, sostenendo che la loro mera presenza sul luogo degli scontri non potesse fondare una condanna.

L’analisi della Corte sulla Resistenza a Pubblico Ufficiale

La Suprema Corte ha rigettato la maggior parte dei ricorsi, ritenendoli infondati o inammissibili, e ha colto l’occasione per ribadire alcuni principi cardine in materia.

La validità delle videoregistrazioni come prova

Uno dei punti più contestati dalla difesa riguardava l’uso di filmati. La Cassazione ha confermato il suo orientamento consolidato: le videoregistrazioni, anche se in copia, costituiscono a tutti gli effetti prova documentale. La loro genuinità si presume, ed è onere della difesa dimostrare un’eventuale manipolazione o alterazione, cosa che nel caso di specie non era avvenuta. La selezione delle sequenze rilevanti da parte degli inquirenti è stata considerata una normale e necessaria attività di sintesi investigativa, non un’alterazione della prova.

Il concorso morale nella Resistenza a Pubblico Ufficiale di gruppo

Il cuore della sentenza risiede nella definizione di responsabilità per resistenza a pubblico ufficiale in un contesto collettivo. La Corte ha chiarito che, per essere ritenuti responsabili, non è necessario aver materialmente lanciato un oggetto o colpito un agente. Integra l’elemento materiale del reato anche l’azione di chi, partecipando a un’azione collettiva, “fronteggia” le forze dell’ordine in maniera ostile, si avvicina ripetutamente al cordone di polizia o, con la propria presenza attiva, rafforza o aggrava l’azione posta in essere da altri.

Questa condotta, secondo i giudici, costituisce quantomeno un concorso morale, perché espressiva della volontà di ostacolare attivamente i pubblici ufficiali, contribuendo a creare un clima di intimidazione e a dare man forte a chi compie materialmente gli atti violenti.

le motivazioni

La Corte ha motivato la propria decisione sottolineando che la nozione di “violenza” nel reato di resistenza non si esaurisce nell’aggressione fisica diretta. Essa comprende qualsiasi condotta idonea a ostacolare l’attività del pubblico ufficiale. In un’azione di gruppo, la presenza minacciosa e la partecipazione attiva al fronteggiamento della polizia sono di per sé condotte che rafforzano l’azione offensiva collettiva. Pertanto, chi partecipa attivamente a un’azione di gruppo violenta contro le forze dell’ordine, anche senza compiere l’atto materiale finale, contribuisce causalmente alla resistenza e ne risponde penalmente. Sulle questioni procedurali, la Corte ha specificato che la modifica dell’imputazione da parte del Pubblico Ministero non aveva introdotto un “fatto nuovo”, ma si era limitata a una diversa qualificazione giuridica del medesimo episodio storico (“fatto diverso”), una procedura pienamente consentita dalla legge.

le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio di fondamentale importanza: in contesti di violenza collettiva, la responsabilità penale non è limitata solo agli autori materiali delle aggressioni. Anche chi partecipa attivamente al gruppo, sostenendone l’azione con la propria presenza e il proprio atteggiamento ostile, può essere chiamato a rispondere del reato di resistenza a pubblico ufficiale a titolo di concorso. La decisione sottolinea come la partecipazione consapevole a una manifestazione violenta non possa essere banalizzata come una semplice “presenza”, ma costituisca un contributo concreto all’offesa del bene giuridico tutelato dalla norma.

Quando la semplice presenza a scontri con la polizia integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Secondo la sentenza, la mera presenza passiva non è sufficiente. Tuttavia, la condotta integra il reato quando il soggetto, pur non compiendo l’atto materiale di violenza, partecipa all’azione collettiva in modo attivo: ad esempio, fronteggiando le forze dell’ordine, avanzando verso di loro con fare ostile o, in generale, tenendo un comportamento che rafforza l’azione aggressiva del gruppo e la volontà degli altri di delinquere.

Le copie di filmati video sono prove valide in un processo penale?
Sì. La Corte di Cassazione conferma che le videoregistrazioni, anche se acquisite in copia, sono considerate prova documentale con piena valenza probatoria. La loro genuinità è presunta, salvo che la difesa fornisca la prova concreta di una loro alterazione o manipolazione, non essendo sufficiente una generica contestazione.

Qual è la differenza tra “fatto diverso” e “fatto nuovo” nella modifica dell’imputazione?
Si parla di “fatto diverso” quando la modifica dell’accusa si limita a descrivere in modo più puntuale o a qualificare giuridicamente in modo differente lo stesso episodio storico contestato, mantenendo inalterato il suo nucleo centrale (luogo, tempo, azione principale). Si ha, invece, un “fatto nuovo” quando viene introdotto nel processo un accadimento completamente distinto e autonomo, non collegato a quello originario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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