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Resistenza a pubblico ufficiale: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per diversi manifestanti accusati di resistenza a pubblico ufficiale aggravata, commessa durante scontri con le forze dell’ordine in diverse occasioni. La sentenza chiarisce i criteri per il concorso morale nel reato, la validità dell’identificazione dei manifestanti anche se travisati e nega l’applicabilità dell’attenuante per motivi di particolare valore morale e sociale quando le azioni, pur ideologicamente motivate, non rispecchiano un consenso etico-sociale generale.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Analisi della Sentenza della Cassazione su Manifestazioni e Scontri

Il reato di resistenza a pubblico ufficiale, specialmente nel contesto di manifestazioni di piazza, è un tema di costante attualità giuridica. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 3655 del 2024, offre importanti chiarimenti su aspetti cruciali come il concorso morale, le modalità di identificazione dei responsabili e l’applicazione di specifiche circostanze attenuanti. Questo caso riguarda una serie di episodi di scontro tra manifestanti di un centro sociale e le forze dell’ordine, culminati in una condanna confermata in tutti i gradi di giudizio.

I fatti del processo

Il processo ha visto imputati diversi individui, membri di un centro sociale, accusati di aver partecipato a tre distinte manifestazioni sfociate in scontri con la polizia. I reati contestati erano quelli di resistenza a pubblico ufficiale in concorso, aggravata dalla partecipazione di più persone e dall’uso di oggetti atti ad offendere.

Gli episodi principali includevano:
1. Una protesta contro una riforma universitaria, durante la quale un cordone di polizia fu attaccato con lancio di pietre, bottiglie e artifizi pirotecnici.
2. Una manifestazione di dissenso contro la presentazione di un libro da parte di un esponente di un movimento politico, considerata un’occasione di apologia del fascismo dai manifestanti.
3. Un’ulteriore manifestazione con scontri che avevano causato il ferimento di alcuni agenti.

La Corte d’Appello aveva confermato le condanne di primo grado, basandosi su un’attenta analisi di materiale video-fotografico, annotazioni di servizio e testimonianze degli agenti della Digos.

I motivi del ricorso in Cassazione

La difesa degli imputati ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi:
* Genericità delle prove: Secondo i ricorrenti, le testimonianze e le identificazioni erano confuse e non permettevano di attribuire specifiche condotte ai singoli imputati.
* Errata attribuzione di responsabilità: In un caso, si contestava che un imputato avesse solo incitato i manifestanti con un megafono, senza partecipare direttamente alle violenze. In un altro, si sosteneva che l’autore del lancio di un bengala non fosse riconoscibile perché travisato.
* Responsabilità generalizzata: La difesa lamentava che la sentenza avesse attribuito una responsabilità penale collettiva ai partecipanti al corteo, senza distinguere i ruoli individuali.
* Mancata applicazione di attenuanti: Si contestava la mancata applicazione dell’attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale, sostenendo che gli imputati avessero agito per difendere valori costituzionali contro manifestazioni di ideologie ritenute fasciste.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulla resistenza a pubblico ufficiale

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente i ricorsi, ritenendoli infondati e fornendo motivazioni dettagliate su ciascun punto.

Validità delle Identificazioni

La Corte ha stabilito che le identificazioni effettuate dagli agenti della Digos erano pienamente valide. Gli operatori, infatti, conoscevano gli imputati in quanto monitoravano costantemente le attività del centro sociale. L’identificazione è avvenuta attraverso la comparazione di video e foto ripresi prima, durante e dopo gli scontri, analizzando indumenti e caratteristiche fisiche. Il fatto che un manifestante fosse travisato al momento del reato non ha impedito il suo riconoscimento, poiché gli agenti ne avevano seguito le azioni nel corso dell’intera manifestazione.

Il Concorso Morale

Per quanto riguarda l’imputato che utilizzava il megafono, la Cassazione ha ribadito un principio consolidato: integra il concorso morale nel delitto di resistenza a pubblico ufficiale il comportamento di chi, pur non partecipando materialmente alla violenza, assiste a una resistenza attiva e rafforza l’azione altrui o ne aggrava gli effetti con espressioni minacciose o di incitamento. L’intimare alla polizia di spostarsi e incitare la folla a sfondare il cordone sono state considerate condotte pienamente sufficienti a configurare il concorso nel reato.

Irrilevanza dell’Atto d’Ufficio Specifico

La Corte ha precisato che, per integrare il reato di resistenza, non è necessario che l’agente conosca lo specifico atto d’ufficio al quale si sta opponendo. È sufficiente che sia percepibile che le forze dell’ordine stiano agendo legittimamente per i fini del loro ufficio, come la tutela dell’ordine pubblico. In questo caso, era palese che la polizia stesse svolgendo tale funzione.

Rifiuto delle Attenuanti

Infine, la Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello di non concedere la prevalenza delle attenuanti generiche, data la gravità dei fatti e i precedenti degli imputati. Ancor più significativo è il rigetto dell’attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale (art. 62 n. 1 c.p.). La Corte ha sottolineato che per la sua applicazione non basta la convinzione soggettiva dell’agente di perseguire un fine lodevole. È necessario che il motivo corrisponda a valori etici e sociali sui quali vi sia un consenso generale nella società, cosa che non si verifica quando si agisce con violenza per imporre la propria visione ideologica.

Le conclusioni

La sentenza in esame consolida importanti principi in materia di reati commessi durante manifestazioni pubbliche. Sottolinea come la partecipazione attiva non si limiti alla sola violenza fisica, ma includa anche l’incitamento. Rafforza la validità probatoria del lavoro di osservazione e identificazione svolto da personale specializzato delle forze dell’ordine, anche in contesti caotici. Infine, traccia un confine netto tra la legittima espressione del dissenso, anche aspro, e l’uso della violenza come strumento di lotta politica, negando a quest’ultima qualsiasi patente di valore morale o sociale riconosciuto dall’ordinamento giuridico.

Quando si configura il concorso morale nel reato di resistenza a pubblico ufficiale durante una manifestazione?
Si configura quando una persona, pur non compiendo atti di violenza diretta, rafforza l’azione offensiva altrui o ne aggrava gli effetti. Nella sentenza, l’uso di un microfono per incitare i manifestanti a sfondare un cordone di polizia è stato ritenuto sufficiente per integrare il concorso morale.

L’identificazione di un manifestante travisato è valida se effettuata da agenti che lo conoscono?
Sì, l’identificazione è valida. La Corte ha ritenuto che il riconoscimento effettuato da operatori di polizia che seguono le condotte di un soggetto prima e dopo il momento in cui si travisa è attendibile, rendendo irrilevante che al momento del lancio di oggetti fosse a volto coperto.

Agire per contrastare idee ritenute anti-costituzionali integra l’attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale?
No. Secondo la Cassazione, per l’applicazione di questa attenuante non è sufficiente la convinzione soggettiva dell’agente di agire per un fine apprezzabile. È necessario che il motivo corrisponda a valori etici o sociali su cui esista un consenso generale, cosa che non avviene quando si ricorre alla violenza per opporsi a manifestazioni autorizzate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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