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Resistenza a pubblico ufficiale: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per resistenza a pubblico ufficiale nei confronti di un passeggero che aveva aggredito un capotreno. La difesa sosteneva che il capotreno, effettuando un controllo di fine corsa, non stesse svolgendo una funzione pubblica. La Corte ha respinto questa tesi, stabilendo che i controlli volti a garantire l’incolumità dei viaggiatori e la sicurezza del convoglio rientrano a pieno titolo nelle mansioni di pubblico ufficiale, rendendo legittima la condanna per il reato contestato.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Quando il Capotreno Esercita Funzioni Pubbliche?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un caso di resistenza a pubblico ufficiale, fornendo chiarimenti cruciali sulla qualifica del personale ferroviario. La vicenda riguarda un passeggero che, invitato dal capotreno a scendere dal convoglio giunto a fine corsa, ha reagito con violenza. Il quesito legale centrale è stato stabilire se, in quel preciso contesto, il capotreno stesse agendo come un pubblico ufficiale, legittimando così l’accusa per il grave reato.

I Fatti del Caso

I fatti risalgono al 30 ottobre 2017. Un passeggero, trovato addormentato e in stato di ebbrezza a bordo di un treno arrivato al capolinea, veniva invitato dal capotreno a scendere. Per tutta risposta, l’uomo reagiva violentemente, spintonando e colpendo sia il capotreno che il macchinista. Per questo episodio, veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di resistenza a pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 337 del codice penale.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso alla Suprema Corte basandosi su due principali motivi di doglianza.

L’eccezione processuale

Il primo motivo era di natura procedurale. La difesa lamentava la mancata trasmissione delle conclusioni scritte da parte del Procuratore Generale nel giudizio d’appello, svoltosi con rito cartolare. Secondo il ricorrente, tale omissione avrebbe dovuto comportare la nullità della sentenza impugnata.

La qualifica di pubblico ufficiale del capotreno

Il secondo e più sostanziale motivo contestava la configurabilità stessa del reato. La difesa argomentava che il capotreno, nel momento in cui effettuava il controllo del treno a fine corsa, non stava esercitando una funzione pubblica, ma svolgeva una mera attività interna all’azienda di trasporti, finalizzata alla custodia del mezzo. Di conseguenza, non potendo essere qualificato come “pubblico ufficiale” in quel frangente, non si sarebbe potuto configurare il delitto di resistenza.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo infondato in entrambi i punti.

L’irrilevanza del vizio processuale per carenza di interesse

In merito alla prima censura, la Corte, pur riconoscendo l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali diversi sull’obbligatorietà delle conclusioni del PM nel rito cartolare, ha tagliato corto la questione. Ha stabilito che, a prescindere dalla violazione o meno della norma, il ricorrente non aveva dimostrato di avere un “interesse ad impugnare”. Secondo un principio consolidato, per far valere un vizio processuale non basta lamentare l’irregolarità, ma occorre dimostrare quale vantaggio pratico ed effettivo deriverebbe dall’annullamento dell’atto. In assenza di tale dimostrazione, il motivo è stato considerato inammissibile.

Il capotreno come pubblico ufficiale durante il controllo di fine corsa

Sul punto centrale della vicenda, la Corte ha affermato con chiarezza che la qualifica di pubblico ufficiale del capotreno non viene meno al termine della corsa. Il controllo delle vetture per assicurarsi che non vi siano più passeggeri a bordo non è un’attività privata, ma una mansione essenziale finalizzata a garantire l’incolumità dei viaggiatori e la sicurezza del convoglio prima del suo rientro in deposito. Queste attività, ha specificato la Corte, rientrano pienamente nei compiti di ordine e sicurezza attribuiti al personale ferroviario dal D.P.R. n. 753 del 1980. Pertanto, il capotreno stava esercitando poteri autoritativi connessi a una funzione pubblica, e l’aggressione subita integra a tutti gli effetti il reato di resistenza a pubblico ufficiale.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio di notevole importanza pratica: le funzioni del capotreno connesse alla sicurezza e all’ordine pubblico non si esauriscono con il controllo dei biglietti o durante la marcia del treno. Anche le operazioni di verifica e messa in sicurezza del convoglio al capolinea sono espressione di una pubblica funzione. Di conseguenza, qualsiasi atto di violenza o minaccia volto a impedire o ostacolare tali compiti configura il grave delitto previsto dall’art. 337 c.p., con tutte le conseguenze penali che ne derivano.

Un capotreno è sempre un pubblico ufficiale?
Sì, secondo questa sentenza, un capotreno è qualificato come pubblico ufficiale quando svolge mansioni relative all’ordine e alla sicurezza del servizio di trasporto, inclusi i controlli effettuati al termine della corsa del treno per garantire l’incolumità dei passeggeri e la sicurezza del veicolo.

L’assenza delle conclusioni scritte del Pubblico Ministero in appello rende nulla la sentenza?
No, non necessariamente. La Corte di Cassazione ha chiarito che, per far dichiarare la nullità, il ricorrente deve dimostrare di avere un interesse concreto e pratico, ovvero deve specificare quale vantaggio otterrebbe da un annullamento della decisione. La semplice violazione formale della procedura non è sufficiente.

Aggredire un capotreno che chiede di scendere a fine corsa è reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Sì. La Corte ha stabilito che la richiesta di scendere dal treno al capolinea rientra nelle funzioni di controllo e sicurezza del capotreno. Pertanto, opporsi con violenza o minaccia a tale richiesta costituisce il reato di resistenza a pubblico ufficiale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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