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Resistenza a pubblico ufficiale: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha confermato le condanne di tre detenuti per reati commessi durante una rivolta carceraria. La sentenza è cruciale perché chiarisce i confini della resistenza a pubblico ufficiale, stabilendo che anche un accerchiamento intimidatorio, senza violenza fisica diretta, integra il reato. Vengono inoltre definiti i criteri per il concorso nel reato di danneggiamento e per l’istigazione a delinquere in contesti di tumulto.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a pubblico ufficiale: quando l’accerchiamento è reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 22623 del 2025, offre importanti chiarimenti su reati commessi in contesti di gruppo, con un focus particolare sulla resistenza a pubblico ufficiale. Il caso, originato da una rivolta in un istituto penitenziario, ha permesso ai giudici di delineare con precisione i confini tra protesta e reato, analizzando le condotte di tre detenuti condannati in appello per resistenza, danneggiamento e istigazione a delinquere.

I Fatti di Causa

Il 22 gennaio 2021, una situazione di forte agitazione si è verificata nella casa circondariale di Varese. Durante i disordini, tre detenuti si sono resi protagonisti di diverse condotte illecite. Il primo, insieme ad altri, ha accerchiato due agenti di polizia penitenziaria intervenuti al piano superiore, costringendoli a desistere dal loro operato e ad arretrare. Il secondo è stato ritenuto responsabile di danneggiamento aggravato, per aver colpito con calci il blindo di una cella e impugnato una spranga di legno. Il terzo, infine, ha fomentato la rivolta urlando dalla propria cella e incitando gli altri detenuti, convincendoli falsamente che un altro recluso fosse stato percosso dagli agenti.
La Corte d’Appello di Milano, pur concedendo le attenuanti generiche a due degli imputati, aveva confermato la loro responsabilità penale.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

I tre imputati hanno presentato ricorso in Cassazione, ciascuno con specifiche doglianze.
Il difensore del detenuto accusato di resistenza sosteneva l’insussistenza del reato, poiché non vi era stata violenza fisica o minaccia diretta; l’accerchiamento, a suo dire, era solo un modo per comprendere lo stato di salute di un altro detenuto e l’arretramento degli agenti era stato causato dall’attivazione del sistema antincendio.
L’imputato per danneggiamento contestava la sua identificazione, ritenuta incerta, e la qualificazione della sua condotta come concorso morale, poiché non erano state specificate le azioni di istigazione.
Infine, il ricorrente condannato per istigazione a delinquere sosteneva che la sua frase, pronunciata prima dell’inizio dei disordini, non fosse idonea a determinare la commissione di delitti.

L’analisi della Corte sul reato di resistenza a pubblico ufficiale

La Cassazione ha rigettato tutti i ricorsi, fornendo un’analisi dettagliata. Per quanto riguarda la resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), la Corte ha ribadito un principio fondamentale: per integrare il reato è sufficiente la cosiddetta ‘violenza impropria’. Questo tipo di violenza non richiede un’aggressione fisica diretta, ma comprende ogni comportamento idoneo a impedire od ostacolare l’attività del pubblico ufficiale, esercitando una pressione sulla sua volontà.
Nel caso specifico, l’accerchiamento da parte di un gruppo di detenuti è stato considerato un atto intimidatorio che ha coartato la libertà di azione degli agenti, costringendoli a ritirarsi. Questo comportamento, secondo i giudici, integra pienamente la materialità del delitto, a prescindere dall’assenza di minacce verbali o violenza fisica.

Le Motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni difensive. Per il reato di resistenza, ha confermato che l’accerchiamento ha impedito agli agenti di compiere il loro dovere, integrando la violenza impropria richiesta dalla norma.

Sul reato di danneggiamento, i giudici hanno stabilito che, in un contesto di rivolta collettiva, anche atti che singolarmente potrebbero non causare danni apprezzabili (come colpire una porta blindata) costituiscono un contributo materiale e morale all’azione complessiva. La partecipazione attiva al tumulto, impugnando una spranga, rafforza il proposito criminoso degli altri e contribuisce all’evento finale. L’identificazione effettuata da personale di polizia giudiziaria che ha una conoscenza pregressa dell’imputato è stata considerata un indizio grave e preciso.

Infine, per l’istigazione a delinquere (art. 414 c.p.), la Corte ha spiegato che si tratta di un reato di pericolo concreto. La valutazione sull’idoneità della condotta a provocare la commissione di delitti va fatta ‘ex ante’, cioè mettendosi nelle condizioni di tempo e di luogo in cui la frase è stata pronunciata. Le urla dell’imputato, che diffondevano una falsa notizia di violenza da parte degli agenti, sono state ritenute concretamente idonee a infiammare gli animi e a spingere gli altri detenuti a commettere ‘casino’, ovvero potenziali reati.

Le Conclusioni

La sentenza consolida importanti principi del diritto penale. In primo luogo, definisce in modo estensivo la nozione di violenza nel reato di resistenza, includendovi qualsiasi azione che limiti la libertà di azione del pubblico ufficiale. In secondo luogo, chiarisce la natura del concorso di persone in reati commessi in contesti di tumulto, dove ogni contributo, anche se apparentemente minore, è rilevante per la responsabilità penale. Infine, riafferma che l’istigazione a delinquere non richiede che i reati vengano effettivamente commessi, ma solo che la condotta dell’istigatore sia concretamente pericolosa. Una lezione di diritto che sottolinea la gravità delle azioni che minano l’ordine pubblico, specialmente in contesti sensibili come quello carcerario.

È necessaria un’aggressione fisica per configurare il reato di resistenza a pubblico ufficiale?
No, non è necessaria. La sentenza chiarisce che per integrare il reato è sufficiente la cosiddetta ‘violenza impropria’, ovvero qualsiasi comportamento che, pur senza aggressione fisica diretta, sia idoneo a impedire o ostacolare l’attività del pubblico ufficiale esercitando una pressione sulla sua volontà, come ad esempio un accerchiamento intimidatorio.

Come viene valutata la partecipazione a un danneggiamento collettivo durante una rivolta?
In un contesto di tumulto, la partecipazione viene valutata considerando il contributo sia materiale che morale all’azione collettiva. Anche condotte che singolarmente non producono un danno apprezzabile possono essere considerate parte del reato concorsuale, in quanto rafforzano il proposito criminoso degli altri partecipanti e contribuiscono alla realizzazione dell’evento complessivo.

Quando un’esclamazione diventa reato di istigazione a delinquere?
Un’esclamazione integra il reato di istigazione a delinquere (art. 414 c.p.) quando è concretamente idonea, sulla base di un giudizio ‘ex ante’ (valutato al momento del fatto), a provocare la commissione di delitti. Non è necessario che i reati vengano poi effettivamente commessi, ma è sufficiente che la condotta crei un pericolo concreto che ciò avvenga, come incitare altri a ‘fare casino’ in un contesto già teso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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