Resistenza a Pubblico Ufficiale: Quando la Violenza Esclude la Lieve Entità del Fatto
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito importanti chiarimenti sul reato di resistenza a pubblico ufficiale, delineando con precisione i confini tra il semplice tentativo di divincolarsi e una condotta penalmente rilevante. La decisione sottolinea come la violenza attiva, manifestata con pugni e calci, integri pienamente il reato e precluda l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Il Caso in Esame
Il caso analizzato dalla Suprema Corte riguarda un individuo che aveva proposto ricorso avverso una sentenza della Corte d’Appello che lo condannava per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. L’imputato, durante un controllo da parte di carabinieri in divisa, non si era limitato a opporre una resistenza passiva, ma aveva reagito con violenza, sferrando pugni e calci contro gli agenti.
I Motivi del Ricorso e la tesi della Resistenza a Pubblico Ufficiale
La difesa dell’imputato si fondava su due argomenti principali. In primo luogo, si contestava la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di resistenza, sostenendo che l’intenzione non fosse quella di opporsi a un atto d’ufficio, ma semplicemente di sottrarsi alla presa degli agenti. In secondo luogo, si affermava che l’imputato avesse percepito di trovarsi in una situazione di pericolo, tesi presentata come giustificazione per la reazione violenta. Infine, la difesa auspicava il riconoscimento della particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis del codice penale.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Le Motivazioni
I giudici di legittimità hanno smontato punto per punto le argomentazioni difensive. Per quanto riguarda il primo motivo, la Corte ha ritenuto ‘manifestamente infondato’ l’argomento sulla mancanza di dolo. La ricostruzione dei fatti ha evidenziato che l’imputato non si è limitato a ‘divincolarsi’, ma ha agito con una chiara volontà di reagire violentemente, come dimostrato dai pugni e calci sferrati. Tale condotta va ben oltre la mera resistenza passiva e integra l’intento di ostacolare l’operato dei pubblici ufficiali.
Parimenti inammissibile è stato giudicato il secondo motivo. La tesi difensiva secondo cui l’imputato avrebbe agito perché si sentiva in pericolo è stata liquidata come una ‘mera ipotesi alternativa e indimostrata’, priva di qualsiasi fondamento probatorio, specialmente considerando che l’intervento era condotto da carabinieri in divisa, chiaramente riconoscibili nel loro ruolo istituzionale.
Infine, la Corte ha confermato la corretta esclusione dell’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. La motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta ‘immune da censure’, poiché il fatto era connotato non solo da violenza fisica, ma anche dalla ‘reiterazione di frasi gravemente minacciose’. Questa combinazione di violenza e minaccia è intrinsecamente incompatibile con il concetto di ‘particolare tenuità’, che richiede un’offesa minima al bene giuridico tutelato.
Le Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la reazione violenta e attiva nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni costituisce pienamente il reato di resistenza. La linea di demarcazione tra un comportamento non punibile e uno penalmente rilevante risiede nella natura dell’opposizione: un conto è tentare passivamente di sottrarsi, un altro è passare all’attacco con atti violenti. Inoltre, la pronuncia conferma che la gravità della condotta, valutata nel suo complesso (includendo violenza fisica e minacce verbali), preclude la possibilità di beneficiare della non punibilità per particolare tenuità del fatto, rafforzando così la tutela della funzione pubblica e dell’incolumità dei suoi operatori.
Divincolarsi da un pubblico ufficiale è sempre reato di resistenza?
No, non sempre. Tuttavia, come chiarito dalla Cassazione in questo caso, se l’azione supera il semplice tentativo di liberarsi (divincolarsi) e si trasforma in violenza attiva, come sferrare pugni e calci, allora si configura pienamente il reato di resistenza a pubblico ufficiale.
Quando non si applica la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (Art. 131-bis c.p.) in un caso di resistenza?
Secondo la sentenza, la non punibilità per particolare tenuità del fatto viene esclusa quando il comportamento è caratterizzato da elementi di gravità, come l’uso di violenza fisica (pugni e calci) e la reiterazione di frasi gravemente minacciose nei confronti dei pubblici ufficiali.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte di Cassazione non entra nel merito della questione. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso con una condanna al pagamento di tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35953 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35953 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: RAGIONE_SOCIALE nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/01/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
letto il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME;
ritenuto che il primo motivo, concernente la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 337 cod. pen. è manifestamente infondato, posto che dalla ricostruzione in punto di fatto emergono plurimi elementi a sostegno della volontà dell’imputato di reagire violentemente al compimento di un atto d’ufficio, posto che egli non si limitava a divincolarsi, bensì sferrava pugni e calci;
ritenuto che parimenti inammissibile è il secondo motivo, con il quale si contesta la sussistenza del reato di lesioni, posto che a fronte della violenta opposizione al tentativo di carabinieri in divisa, la tesi difensiva secondo cui l’imputato avrebbe percepito di essere in pericolo è frutto di una mera ipotesi alternativa e indimostrata;
ritenuto, infine, che la Corte di appello ha escluso con motivazione immune da censure la riconducibilità del fatto – connotato da violenza e reiterazione di frasi gravemente minacciose – nell’ambito della previsione di cui all’art. 131bis cod. pen.;
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ende.
Così deciso il 14 r
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