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Resistenza a pubblico ufficiale: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. La Corte ha stabilito che l’uso di violenza attiva, come sferrare pugni e calci, dimostra l’intento di resistere e impedisce l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, specialmente se accompagnata da minacce.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Quando la Violenza Esclude la Lieve Entità del Fatto

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito importanti chiarimenti sul reato di resistenza a pubblico ufficiale, delineando con precisione i confini tra il semplice tentativo di divincolarsi e una condotta penalmente rilevante. La decisione sottolinea come la violenza attiva, manifestata con pugni e calci, integri pienamente il reato e precluda l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Il Caso in Esame

Il caso analizzato dalla Suprema Corte riguarda un individuo che aveva proposto ricorso avverso una sentenza della Corte d’Appello che lo condannava per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. L’imputato, durante un controllo da parte di carabinieri in divisa, non si era limitato a opporre una resistenza passiva, ma aveva reagito con violenza, sferrando pugni e calci contro gli agenti.

I Motivi del Ricorso e la tesi della Resistenza a Pubblico Ufficiale

La difesa dell’imputato si fondava su due argomenti principali. In primo luogo, si contestava la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di resistenza, sostenendo che l’intenzione non fosse quella di opporsi a un atto d’ufficio, ma semplicemente di sottrarsi alla presa degli agenti. In secondo luogo, si affermava che l’imputato avesse percepito di trovarsi in una situazione di pericolo, tesi presentata come giustificazione per la reazione violenta. Infine, la difesa auspicava il riconoscimento della particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis del codice penale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Le Motivazioni

I giudici di legittimità hanno smontato punto per punto le argomentazioni difensive. Per quanto riguarda il primo motivo, la Corte ha ritenuto ‘manifestamente infondato’ l’argomento sulla mancanza di dolo. La ricostruzione dei fatti ha evidenziato che l’imputato non si è limitato a ‘divincolarsi’, ma ha agito con una chiara volontà di reagire violentemente, come dimostrato dai pugni e calci sferrati. Tale condotta va ben oltre la mera resistenza passiva e integra l’intento di ostacolare l’operato dei pubblici ufficiali.

Parimenti inammissibile è stato giudicato il secondo motivo. La tesi difensiva secondo cui l’imputato avrebbe agito perché si sentiva in pericolo è stata liquidata come una ‘mera ipotesi alternativa e indimostrata’, priva di qualsiasi fondamento probatorio, specialmente considerando che l’intervento era condotto da carabinieri in divisa, chiaramente riconoscibili nel loro ruolo istituzionale.

Infine, la Corte ha confermato la corretta esclusione dell’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. La motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta ‘immune da censure’, poiché il fatto era connotato non solo da violenza fisica, ma anche dalla ‘reiterazione di frasi gravemente minacciose’. Questa combinazione di violenza e minaccia è intrinsecamente incompatibile con il concetto di ‘particolare tenuità’, che richiede un’offesa minima al bene giuridico tutelato.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la reazione violenta e attiva nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni costituisce pienamente il reato di resistenza. La linea di demarcazione tra un comportamento non punibile e uno penalmente rilevante risiede nella natura dell’opposizione: un conto è tentare passivamente di sottrarsi, un altro è passare all’attacco con atti violenti. Inoltre, la pronuncia conferma che la gravità della condotta, valutata nel suo complesso (includendo violenza fisica e minacce verbali), preclude la possibilità di beneficiare della non punibilità per particolare tenuità del fatto, rafforzando così la tutela della funzione pubblica e dell’incolumità dei suoi operatori.

Divincolarsi da un pubblico ufficiale è sempre reato di resistenza?
No, non sempre. Tuttavia, come chiarito dalla Cassazione in questo caso, se l’azione supera il semplice tentativo di liberarsi (divincolarsi) e si trasforma in violenza attiva, come sferrare pugni e calci, allora si configura pienamente il reato di resistenza a pubblico ufficiale.

Quando non si applica la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (Art. 131-bis c.p.) in un caso di resistenza?
Secondo la sentenza, la non punibilità per particolare tenuità del fatto viene esclusa quando il comportamento è caratterizzato da elementi di gravità, come l’uso di violenza fisica (pugni e calci) e la reiterazione di frasi gravemente minacciose nei confronti dei pubblici ufficiali.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte di Cassazione non entra nel merito della questione. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso con una condanna al pagamento di tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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