Resistenza a Pubblico Ufficiale: Non Serve la Violenza Fisica
L’ordinanza n. 29954 del 2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sul reato di resistenza a pubblico ufficiale, previsto dall’art. 337 del codice penale. La Suprema Corte ha stabilito che per integrare tale reato non è necessaria una violenza fisica diretta, essendo sufficienti condotte come la guida pericolosa e le minacce verbali, se idonee a ostacolare l’attività degli agenti. Analizziamo insieme questa decisione.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato, condannato nei gradi di merito per il reato di resistenza a pubblico ufficiale. La difesa sosteneva che la condotta del proprio assistito non fosse stata effettivamente violenta né oppositiva nei confronti degli agenti operanti, contestando quindi la sussistenza dell’elemento materiale del reato. L’imputato, durante un controllo, aveva tenuto una condotta di guida pericolosa e aveva rivolto espressioni gravemente offensive e minacciose agli agenti.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici di legittimità hanno ritenuto il motivo di ricorso manifestamente infondato e meramente reiterativo di censure già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. La Corte ha quindi confermato la condanna, sottolineando la correttezza della valutazione effettuata dai giudici di merito.
L’analisi del reato di resistenza a pubblico ufficiale
Il fulcro della decisione risiede nella corretta interpretazione dell’elemento materiale del reato di resistenza a pubblico ufficiale. La difesa puntava su un’interpretazione restrittiva, secondo cui solo una condotta fisicamente violenta potesse configurare il reato. La Cassazione, al contrario, ha ribadito un principio consolidato: il delitto si configura con qualsiasi condotta, violenta o minacciosa, che sia concretamente idonea a impedire, ostacolare o anche solo rallentare il compimento di un atto d’ufficio da parte del pubblico ufficiale.
Le Motivazioni della Decisione
Nelle motivazioni, la Suprema Corte ha evidenziato come la sentenza d’appello avesse correttamente valorizzato tutti gli elementi della condotta dell’imputato. Non si trattava solo di parole, ma di un comportamento complessivo che univa due aspetti:
1. La guida pericolosa: una condotta che, di per sé, può creare un ostacolo materiale all’azione degli agenti.
2. Le espressioni offensive e minacciose: parole che, per il loro contenuto e le circostanze in cui vengono pronunciate, sono in grado di esercitare una pressione psicologica sugli agenti e di intralciarne l’operato.
Secondo la Corte, queste due condotte, considerate insieme, erano “concretamente idonee ad impedire – o quantomeno a rallentare – le operazioni di controllo dei pubblici ufficiali”. Di conseguenza, integravano pienamente gli estremi del reato previsto dall’art. 337 del codice penale. L’inammissibilità del ricorso ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza conferma che il bene giuridico tutelato dalla norma sulla resistenza a pubblico ufficiale è il regolare svolgimento dell’attività della pubblica amministrazione. Per ledere questo bene, non è indispensabile un’aggressione fisica. Qualsiasi comportamento che si traduca in un’opposizione attiva e concreta all’atto d’ufficio, attraverso violenza o minaccia, è penalmente rilevante. Per gli automobilisti e i cittadini in generale, ciò significa che anche un atteggiamento verbale aggressivo e minaccioso, unito a una condotta di guida non collaborativa durante un controllo, può portare a una condanna per un reato grave, con tutte le conseguenze del caso.
Per configurare il reato di resistenza a pubblico ufficiale è necessaria la violenza fisica?
No, secondo l’ordinanza non è indispensabile la violenza fisica. Anche una condotta minacciosa e gravemente offensiva, unita a manovre di guida pericolose, può essere sufficiente a integrare il reato.
Quale tipo di condotta è sufficiente per integrare il reato di resistenza?
È sufficiente qualsiasi condotta che sia concretamente idonea a impedire o anche solo a rallentare le operazioni di controllo di un pubblico ufficiale, come ad esempio la combinazione di guida pericolosa e minacce verbali.
Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi proposti erano una mera ripetizione di censure già esaminate e respinte in appello, e quindi sono stati ritenuti manifestamente infondati dalla Corte di Cassazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 29954 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 29954 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/10/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RG 11709/24 – COGNOME
OSSERVA
Il motivo dedotto in relazione alla condanna per il reato di resistenza pubblico ufficiale è inammissibile perché meramente reiterativo di censure già vagliate in appello e, comunque, manifestamente infondato.
In particolare, con un unico motivo di ricorso la difesa censura l’affermazione circa la penale responsabilità del ricorrente per non avere pos in essere una condotta effettivamente violenta e oppositiva nei confronti de pubblici ufficiali. Sul punto dell’elemento materiale del reato, tuttavia sentenza di appello risulta immune da censure, avendo correttamente valorizzato sia la condotta di guida pericolosa del ricorrente sia le espressi gravemente offensive e minacciose volte all’indirizzo degli operanti. Condotte, queste, concretamente idonee ad impedire – o quantomeno a rallentare – le operazioni di controllo dei pubblici ufficiali e pertanto integranti il reato all’art. 337 cod. pen.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 04/07/2024