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Resistenza a pubblico ufficiale e proteste di piazza

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi di alcuni manifestanti condannati per resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento durante una protesta presso un cantiere. La sentenza sottolinea come la valutazione delle prove debba essere unitaria e non frammentata, confermando la legittimità dell’uso di filmati di agenzie di stampa e la configurabilità del reato di resistenza anche quando la violenza consiste nello sfondamento di barriere per contrastare l’operato delle forze dell’ordine.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: la Cassazione e la Prova nelle Manifestazioni

In contesti di protesta sociale, la linea di demarcazione tra legittima espressione del dissenso e condotta penalmente rilevante è spesso sottile. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 13339 del 2024, offre importanti chiarimenti sulla configurabilità del reato di resistenza a pubblico ufficiale e sulla valutazione delle prove in caso di manifestazioni complesse. La Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati da sette persone condannate per reati commessi durante una manifestazione presso un cantiere di una linea ad alta velocità.

I Fatti di Causa

I fatti risalgono a una manifestazione del luglio 2019, durante la quale un centinaio di persone si era diretto verso le aree di cantiere di un’opera strategica. L’azione aveva comportato lo sfondamento di cancellate, il danneggiamento di attrezzature e un’aggressione nei confronti delle forze dell’ordine poste a presidio dei varchi. Gli agenti erano stati bersaglio di un fitto lancio di pietre e altri oggetti, tanto da essere costretti a ritirarsi per tutelare la propria incolumità. La Corte di Appello aveva rideterminato la pena per ciascuno degli imputati in dieci mesi di reclusione per i reati, in concorso tra loro, di resistenza aggravata a pubblico ufficiale, danneggiamento e inosservanza dei provvedimenti dell’autorità.

I Motivi del Ricorso e la Resistenza a Pubblico Ufficiale

Gli imputati avevano presentato ricorso in Cassazione sollevando diverse questioni. Alcuni contestavano il proprio ruolo di istigatori (concorso morale), sostenendo che le loro parole fossero state fraintese. Altri negavano la propria identificazione o la sussistenza del dolo specifico di resistenza, specialmente in relazione ad azioni come il danneggiamento di una cancellata, ritenute non direttamente e contestualmente rivolte contro gli agenti. Un’altra ricorrente aveva eccepito l’inutilizzabilità di un filmato proveniente da un’agenzia di stampa, in quanto di fonte non istituzionale e potenzialmente manipolato. Infine, si contestava la consapevolezza di aver violato un’ordinanza prefettizia che vietava l’accesso all’area.

La Valutazione Unitaria della Prova

La Corte di Cassazione ha respinto tutte le argomentazioni, giudicando i ricorsi inammissibili. Il punto centrale della decisione risiede nel principio secondo cui la prova non può essere analizzata in modo frammentario. I ricorrenti, secondo la Corte, avevano tentato di enucleare singoli episodi dal contesto generale, proponendo una ricostruzione alternativa dei fatti. Questo approccio è inammissibile nel giudizio di legittimità, che non può riesaminare il merito delle prove ma solo verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.

I giudici hanno stabilito che la Corte di Appello aveva correttamente operato una lettura sincronica e unitaria degli eventi, ricostruendo un’azione coordinata e sinergica finalizzata a entrare nel cantiere aggredendo le forze dell’ordine. In tale contesto, anche lo sfondamento della cancellata non è un mero danneggiamento, ma una componente dell’azione violenta volta a contrastare e sopraffare gli agenti, integrando così pienamente il delitto di resistenza a pubblico ufficiale.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha affrontato specificamente anche le altre questioni. Ha confermato la validità dell’identificazione degli imputati, basata su un complesso di elementi (abbigliamento, caratteristiche fisiche, voce, posizione) che, letti insieme, assumevano carattere di gravità, precisione e concordanza. Di particolare rilievo è la statuizione sull’utilizzabilità dei filmati provenienti da fonti private, come le agenzie di stampa. La Cassazione ha ribadito il principio secondo cui il divieto di utilizzo di documenti anonimi (art. 240 c.p.p.) si applica ai documenti contenenti dichiarazioni, ma non alle riprese video o fotografiche, la cui riferibilità ai fatti può essere confermata in dibattimento da un testimone, come avvenuto nel caso di specie. Infine, è stata confermata la responsabilità per la violazione dell’ordinanza prefettizia, ritenendo non scusabile l’ignoranza del provvedimento, in quanto debitamente pubblicizzato e affisso.

Le Conclusioni

La sentenza n. 13339/2024 rafforza alcuni principi fondamentali in materia di reati commessi durante manifestazioni. In primo luogo, l’azione violenta contro le cose (come le recinzioni) può integrare il reato di resistenza a pubblico ufficiale se è funzionale a sopraffare l’opposizione degli agenti. In secondo luogo, la valutazione probatoria deve essere olistica, e i ricorsi basati su una lettura parziale e atomistica degli elementi di prova sono destinati all’inammissibilità. Infine, la decisione consolida l’orientamento giurisprudenziale sulla piena utilizzabilità, a determinate condizioni, delle prove video provenienti da fonti non istituzionali, un aspetto sempre più rilevante nell’era della comunicazione digitale.

L’utilizzo di video non girati dalla polizia, ma da agenzie di stampa, è valido come prova in un processo penale?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che il divieto di utilizzare documenti anonimi si riferisce a quelli contenenti dichiarazioni. Non si applica a prove fotografiche o video, la cui ammissibilità dipende dalla possibilità di verificarne l’integrità e la pertinenza ai fatti, ad esempio tramite la testimonianza di chi li ha esaminati.

Danneggiare una recinzione per accedere a un’area presidiata dalla polizia costituisce resistenza a pubblico ufficiale?
Sì, qualora tale atto sia parte di un’unica azione coordinata che include violenza o minaccia contro gli agenti. La Corte ha ritenuto che lo sfondamento della cancellata e il lancio di pietre fossero azioni sinergiche mirate a vincere l’opposizione delle forze dell’ordine, configurando così il reato di resistenza.

Cosa significa che un ricorso in Cassazione è “inammissibile” per aver frammentato la prova?
Significa che i ricorrenti hanno isolato singoli elementi probatori dal contesto generale per sostenere la propria tesi, ignorando la valutazione complessiva e logica compiuta dai giudici di merito. Questo modo di argomentare equivale a una richiesta di rivalutazione dei fatti, compito che non spetta alla Corte di Cassazione, la quale giudica solo la corretta applicazione della legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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