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Resistenza a pubblico ufficiale e evasione: il caso

Due individui vengono condannati per reati commessi durante un servizio televisivo. Uno, ai domiciliari, è colpevole di evasione e resistenza a pubblico ufficiale per essere uscito e aver affrontato la polizia. L’altro è condannato per violenza privata e lesioni per aver aggredito un operatore. La Cassazione dichiara i ricorsi inammissibili, confermando le condanne e chiarendo i limiti delle difese basate su autorizzazioni, stato di necessità e provocazione putativa.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a pubblico ufficiale ed evasione: la Cassazione fa chiarezza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso complesso che intreccia i reati di evasione, resistenza a pubblico ufficiale e violenza privata, scaturiti da un episodio di alta tensione durante le riprese di un noto programma televisivo. La decisione offre importanti spunti di riflessione sui limiti delle misure cautelari, sulla corretta interpretazione delle autorizzazioni e sulla non applicabilità della scusante della provocazione quando basata su un errore di percezione.

I Fatti: Tensione durante un servizio televisivo

La vicenda ha origine durante un servizio televisivo in esterna. Un individuo, ristretto agli arresti domiciliari, lasciava la propria abitazione e veniva notato in strada mentre osservava la scena di un’aggressione alla troupe televisiva. Quando gli agenti di polizia intervenivano per contestargli l’evasione, l’uomo reagiva con violenza, opponendosi all’arresto e cagionando lesioni agli agenti.
Contemporaneamente, un secondo soggetto colpiva con un pugno un inviato del programma, costringendolo a interrompere le riprese e provocandogli lesioni. Entrambi venivano condannati nei primi due gradi di giudizio. I difensori proponevano quindi ricorso per Cassazione, lamentando vizi di motivazione e violazioni di legge.

I motivi del ricorso e la resistenza a pubblico ufficiale

I ricorsi presentati alla Suprema Corte si basavano su diverse argomentazioni. La difesa del primo imputato sosteneva che l’uscita fosse giustificata da un’autorizzazione e che la sua reazione fosse un tentativo di spiegare la liceità della sua condotta di fronte a un arresto percepito come arbitrario. Si contestava quindi la configurabilità sia del reato di evasione che di quello di resistenza a pubblico ufficiale.

Il secondo ricorrente, invece, affermava di aver agito in preda a un momento di rabbia, scatenato dalla vista della propria madre accasciata a terra, attribuendo erroneamente la colpa alla troupe. Si chiedeva pertanto l’esclusione del reato di violenza privata per mancanza di dolo e il riconoscimento dell’attenuante della provocazione.

La Decisione della Corte: Inammissibilità dei ricorsi

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili entrambi i ricorsi, confermando le sentenze di condanna. I giudici hanno ritenuto che le censure sollevate fossero, in larga parte, tentativi di ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità.

Le motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto le tesi difensive. Per quanto riguarda il primo imputato, è stato chiarito che l’autorizzazione a lasciare i domiciliari era finalizzata a soddisfare esigenze di prima necessità e non a presenziare a disordini in piazza. Inoltre, la mancata comunicazione preventiva dell’uscita ai Carabinieri non è una mera formalità, ma un adempimento essenziale per consentire il controllo da parte della polizia giudiziaria. Di conseguenza, l’uscita era illegittima e l’intervento degli agenti pienamente giustificato, rendendo la reazione dell’uomo una vera e propria resistenza a pubblico ufficiale.

Per il secondo imputato, la Corte ha ribadito che per il delitto di violenza privata è sufficiente il dolo generico, ovvero la coscienza e volontà di costringere qualcuno a fare, tollerare o omettere qualcosa, fine che nel caso di specie era palesemente quello di interrompere le riprese. È stato inoltre escluso il riconoscimento dell’attenuante della provocazione. La legge, infatti, non ammette la cosiddetta “provocazione putativa”, ovvero quella basata sull’erronea convinzione che la vittima abbia compiuto un fatto ingiusto. L’ingiustizia deve essere reale e non solo percepita dall’agente.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce principi giuridici fondamentali. In primo luogo, le prescrizioni legate alle misure cautelari, come gli arresti domiciliari, devono essere osservate con rigore, e le autorizzazioni all’uscita non possono essere interpretate estensivamente. In secondo luogo, la reazione violenta contro le forze dell’ordine che agiscono legittimamente integra sempre il reato di resistenza a pubblico ufficiale. Infine, la pronuncia conferma un orientamento consolidato secondo cui le circostanze attenuanti basate su un errore di percezione della realtà, come la provocazione putativa, non possono trovare accoglimento nel nostro ordinamento giuridico.

Uscire di casa durante gli arresti domiciliari è sempre evasione, anche se si ha un’autorizzazione?
Sì, se l’uscita non rispetta le finalità e le modalità previste dall’autorizzazione. La sentenza chiarisce che un’autorizzazione per “esigenze di prima necessità” non giustifica la permanenza in strada per osservare un’aggressione, e la mancata comunicazione preventiva agli organi di controllo non è una mera formalità, ma un adempimento sostanziale.

Opporsi a un arresto è considerato resistenza a pubblico ufficiale anche se si ritiene l’arresto ingiusto?
Sì. La Corte ha confermato che l’opposizione violenta a un arresto costituisce resistenza, soprattutto quando l’individuo è consapevole di aver violato le prescrizioni della sua misura cautelare. Il tentativo di “spiegare i fatti” non giustifica l’uso della violenza contro gli agenti che compiono un atto del loro ufficio.

Reagire con violenza perché si crede erroneamente che una persona abbia fatto del male a un familiare è considerato provocazione?
No. La sentenza stabilisce che la circostanza attenuante della provocazione non si applica in caso di “provocazione putativa”, cioè quando si crede erroneamente di aver subito un’ingiustizia. L’art. 59 del codice penale esclude la valutazione a favore dell’agente di circostanze attenuanti da lui solo supposte; il fatto ingiusto altrui deve sussistere realmente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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