Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 18328 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 18328 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
De NOMECOGNOME nato a San Severo il 26/06/1991
COGNOME NOMECOGNOME nato a San Severo il 15/01/1993
avverso la sentenza del 20/11/2023 della Corte di appello di Bari visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili; lette le conclusioni della parte civile, avv. NOME COGNOME che ha chiesto che i ricorsi siano rigettati o dichiarati inammissibili, depositando nota spese; lette le conclusioni del difensore di COGNOME, avv. NOME COGNOME che ha chiesto
l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza ordinanza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Bari confermava la sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Foggia del 14 febbraio 2022, che, all’esito di giudizio abbreviato, av
condannato gli imputati NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati agli stessi rispettivamente contestati.
In particolare, agli imputati erano stati contestati vari reati commessi in occasione di un servizio realizzato dal programma televisivo “Striscia la notizia” del 5 ottobre 2021: e segnatamente al De COGNOME di essere sceso in strada, così allontanandosi dalla abitazione dove era ristretto agli arresti domiciliari (art. 385 cod. pen.), di essersi opposto con violenza agli agenti di polizia che cercavano di arrestarlo (art. 337 cod. pen.), cagionando loro lesioni personali (art. 582, 585 cod. pen.); al Russo di aver con violenza costretto l’inviato del programma ad interrompere la ripresa televisiva (art. 610 cod. pen.), colpendolo con un pugno al volto e cagionandogli lesioni personali (art. 583-quinquies e 585 cod. pen.).
Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori degli imputati, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Ricorso COGNOME, avv. NOME COGNOME
2.1.1. Vizio di motivazione e travisamento della prova.
La Corte di appello ha travisato il certificato medico rilasciato al padre del ricorrente dal Pronto Soccorso il giorno dei fatti (che si allega), che dava atto di una contusione toracica. Quindi tale atto non costituiva, come invece ritenuto dai giudici di merito, “un albi costruito” e veniva piuttosto a riscontrare la tesi difensiv dello stato di necessità.
In ogni caso, la sentenza impugnata è manifestamente illogica là dove esclude l’efficacia dell’autorizzazione all’uscita di casa al momento dei fatti, ancorandola ad una comunicazione ai Carabinieri dell’ora di uscita: quest’ultimo è un adempimento formale, la cui omissione non può riverberarsi sulla validità della autorizzazione. Anche a voler accedere a tale conclusione, il ricorrente aveva adempiuto a tale prescrizione e l’arresto del ricorrente è stato operato da altre forze di polizia non al corrente di tale adempimento.
2.1.2. Violazione degli artt. 385 e 337 cod. pen.
Le sopra indicate circostanze escludono pertanto la ricorrenza dei reati di evasione e resistenza a pubblico ufficiale, sotto il profilo oggettivo e soggettivo.
Va considerato che l’arresto è stato effettuato a non più di 10 metri dal portone di casa e quindi in un luogo del tutto compatibile con la tesi dell’uscita autorizzata e che esclude una condotta volontaria di allontanamento descritta dall’art. 385 cod. pen.
Quanto al reato di resistenza, va considerato che la condotta del ricorrente si giustificava con il tentativo di esibire agli agenti il provvedimento autorizzat
dimostrare quindi la liceità della propria condotta, che gli agenti hanno invece impedito, così da integrare un atto arbitrario di cui all’art. 393-bis cod. pen.
2.1.3. Vizio di motivazione e travisamento della prova.
La Corte di appello ha travisato le dichiarazioni rese dal ricorrente in sede di interrogatorio, ritenendo che egli avesse ammesso di aver violato consapevolmente le prescrizioni imposte con la misura domiciliare: il ricorrente ha infatti solo chiarito di essersi opposto all’arresto per spiegare i fatti ed esibi l’autorizzazione.
Il fatto doveva essere qualificato come lesioni dolose, non procedibili per difetto di querela.
2.1.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 62-bis cod. pen.
Sul motivo di appello, volto ad ottenere il riconoscimento delle attenuanti generiche, la Corte di appello non ha motivato.
2.1.5. Violazione dell’art. 545-bis cod. proc. pen.
La Corte di appello ha omesso di dare avviso alle parti in ordine alla possibilità di applicare pene sostitutive (il ricorrente è stato condannato ad una pena non sospesa inferiore ai 4 anni di reclusione), come prescrive l’art. 545-bis cod. proc. pen
2.2. Ricorso COGNOME, avv. NOME COGNOME
2.2.1. Mancanza di motivazione in ordine alla memoria depositata il 10 novembre 2023.
Il difensore ha presentato per l’udienza camerale davanti alla Corte di appello una memoria in cui sviluppava sia gli argomenti già esposti nel gravame sia illustrava nuovi argomenti.
Si era in particolare esclusa la responsabilità del ricorrente per il reato di violenza privata, illustrando a tal fine come la condotta non fosse stata finalizzata ad interrompere la ripresa televisiva (al momento del pugno la persona che stava poco prima filmando aveva la camera appesa al collo e non più tra le mani, così da far ragionevolmente credere che la stessa fosse spenta; vi erano altri cameramen che stavano filmando nel frattempo). Si chiedeva il riconoscimento del tentativo e l’esclusione in ogni caso del dolo, posto che la violenza ad opera del ricorrente era dettata solo dalla rabbia di vedere la madre accasciata a terra, come il primo giudice aveva riconosciuto.
Si era anche chiesta la applicazione della pena sostitutiva domiciliare. La sentenza ha omesso di considerare tali argomenti e questioni.
2.2.2. Mancanza di motivazione con riferimento al primo motivo di appello.
Con tale motivo di appello, la difesa aveva dedotto come l’unico pugno sferrato alla persona offesa fosse la reazione ad un momento di rabbia nel ved
la propria madre a terra, allegando una serie di argomenti difensivi logici e fattuali che la Corte di appello non ha considerato.
2.2.3. Vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui all’art. 610 cod. pen.
La motivazione sul punto è illogica là dove ha ritenuto integrato il suddetto reato per il solo fatto di aver consapevolmente interrotto le riprese sferrando il pugno alla persona offesa. Difettava infatti la volontà del ricorrente.
2.2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 576 cod. pen. e all’art. 99.
Se si esclude la violenza privata, va anche esclusa la aggravante teleologica. Deve ritenersi anche insussistente la recidiva, posto che la vicenda è certamente espressione di una occasionale ricaduta dettata dalla rabbia.
Erroneamente, ai fini della recidiva, la Corte di appello ha considerato la connessione con reati precedentemente commessi, indicando la data di definitività delle sentenze, anziché quella della commissione dei reati (molto risalente, come dedotto in appello).
2.2.5. Violazione dell’art. 62 n. 2 cod. pen.
Come già il primo giudice aveva accertato, il ricorrente aveva sferrato il pugno alla persona offesa nella (erronea) convinzione che egli avesse provocato la caduta della madre.
Andava pertanto riconosciuta la attenuante dello stato di ira, anche in via putativa.
2.2.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen.
L’art. 62-bis cod. pen. richiama l’art. 133 cod. pen. e quindi le modalità dell’azione.
Andava pertanto considerato che il ricorrente aveva agito in stato di ira (un solo pugno) alla vista della madre a terra e non ha infierito sulla persona offesa, né gli ha sottratto la telecamera.
La Corte di appello non ha valutato il punto del trattamento sanzionatorio: la pena base per il reato di lesioni è stata determinata in misura superiore al doppio di quella minima edittale.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale, la parte civil e la difesa del ricorrente COGNOME hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
i ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito illustrate.
Con riferimento al ricorso di COGNOME si osserva quanto segue.
2.1. Il primo motivo, che lamenta il vizio di travisamento della prova, avanza censure precluse in sede di legittimità.
Quanto alla valutazione della certificazione medica, va rammentato che il vizio di travisamento della prova è inducibile nel caso di “doppia conforme”, ovvero quando – come nel caso in esame – il dato probatorio che si assume travisato sia stato già introdotto nella valutazione del primo giudice (tra tante, Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, Rv. 283777).
Le censure sulla ricostruzione dei fatti sono aspecifiche e di precluso merito.
La Corte di appello ha infatti ritenuto priva di sostegno la tesi difensiva circa le ragioni dell’uscita del ricorrente dalla abitazione, in quanto dagli atti di poli giudiziaria era emerso che il ricorrente era stato visto sostare per strada ad “osservare” la scena dell’aggressione della troupe televisiva.
Pertanto, una volta esclusa la versione difensiva dell’uscita “accelerata” per la lesione in quel frangente riportata dal padre per i disordini presenti in strada, alcun vizio è riscontrabile nella sentenza impugnata in ordine alla valutazione della autorizzazione all’uscita nella giornata dei fatti, posto che l’uscita “ordinaria” er finalizzata alle esigenze di prima necessità del ricorrente (e non a presenziare ai disordini in piazza) e comunque non era stato comunque attivato il sistema previsto di preventiva comunicazione ai Carabinieri dell’uscita. Sistema, che non ha certo funzioni formali, ma risponde all’esigenza essenziale di consentire il controllo della persona cautelata da parte della polizia giudiziaria.
Le diverse conclusioni sulla avvenuta comunicazione alle forze dell’ordine sono del tutto generiche (avendo la Corte territoriale escluso la prova in atti di tale comunicazione).
2.2. Quanto sopra osservato conduce a ritenere inammissibili anche i rilievi declinati nel secondo motivo.
Alla luce di quanto accertato in sede di merito, in ordine alla presenza del ricorrente in strada intento ad osservare quello che stava succedendo, nessun rilievo può essere infatti avanzato alla sentenza impugnata con riferimento al ritenuto reato di evasione.
Quanto al reato di resistenza, le doglianze sono meramente reiterative di quelle già esaminare in sede di appello e volte ad ottenere dal giudice di legittimità una diversa valutazione delle evidenze processuali.
Nell’atto di appello, il ricorrente aveva infatti sostenuto la tesi che la resistenza era stata da lui opposta solo al fine di spiegare agli agenti che era autorizzato all’uscita.
La Corte di appello ha chiarito che tale versione si scontrava con quanto era emerso dagli atti di polizia giudiziaria, ovvero che l’imputato era stato sorpreso per strada ad osservare la scena dell’aggressione della troupe televisiva e, una volta riconosciuto dagli agenti di polizia, aveva iniziato ad ingiuriarli, per poi dare in escandescenze quando questi gli avevano contestato l’evasione.
La stessa Corte territoriale ha dimostrato, come già evidenziato, che il ricorrente era ben consapevole di aver realizzato un’uscita in modalità non consentita.
2.3. Il terzo motivo, che denuncia il travisamento della prova (ovvero delle dichiarazioni rese dal ricorrente in sede di interrogatorio) ai fini della responsabilità per il reato di lesioni è generico e comunque non decisivo.
Il ricorrente infatti sostiene soltanto in modo generico ed assertivo il travisamento della prova. In ogni caso, il vizio non risulta neppure decisivo nel complessivo ragionamento probatorio della sentenza impugnata.
Va rammentato che il vizio di travisamento della prova è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (tra tante, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).
Ebbene, nella ricostruzione della vicenda delittuosa da parte della sentenza impugnata, come sopra già esaminata, emerge – al di là della ammissione fatta dal ricorrente in sede di interrogatorio – la prova della sua consapevolezza nell’aver realizzato un’uscita in modalità non consentita e quindi della violazione delle prescrizioni impostegli dalla misura.
2.4. L’ultimo motivo che denuncia l’omessa motivazione sulle attenuanti generiche è precluso.
Il relativo motivo di appello era oltre che generico (si chiedeva la suddetta statuizione per “la immediata confessione” e per la esigenza di “calibrare meglio la sanzione”), anche aspecifico rispetto alle ragioni che in primo grado avevano portato il giudice ad escludere il riconoscimento delle attenuanti generiche (in particolare la negativa personalità dell’imputato, gravato da plurimi precedenti e carichi pendenti, e la gravità del fatto).
In tale prospettiva devono ritenersi sufficienti le ampie argomentazio spese dalla Corte di appello per ritenere congrua la pena determinata in pri o grado e non meritevole di ulteriori diminuzioni.
2.5. Anche l’ultimo motivo sulla violazione dell’art. 545-bis cod. proc. pen. è precluso.
In sede di appello, infatti, pur nella vigenza della disciplina transitoria di cu all’art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, alcuna istanza era stata presentata ai fini della sostituzione della pena detentiva determinata in primo grado in quella della detenzione domiciliare, né il ricorrente (pur presente all’udienza) aveva manifestato il consenso a tale sostituzione.
Va rammentato, in tema di pene sostitutive, che il giudice d’appello può applicarle anche d’ufficio e acquisire il consenso dell’interessato anche dopo la lettura del dispositivo esclusivamente nel caso in cui i presupposti formali per la sostituzione divengano attuali a seguito della definizione del giudizio di secondo grado (Sez. 6, n. 30711 del 30/05/2024, Rv. 286830). Pertanto, nel caso di conferma della pena in appello, l’applicazione delle pene sostitutive presuppone, laddove necessaria, la manifestazione del consenso dall’imputato entro l’udienza di discussione dell’appello, in caso di decisione partecipata, o nei termini utili al deposito dei motivi aggiunti o della memoria difensiva, in caso di trattazione cartolare.
Con riferimento al ricorso di Russi si osserva quanto segue.
3.1. Il primo motivo, con cui si lamenta la mancanza di motivazione in ordine ad una memoria depositata il 10 novembre 2023, è generico.
In primo luogo, il ricorrente non ha allegato l’atto omesso, onde verificare la corretta e tempestiva presentazione della memoria.
In secondo luogo, la censura non si confronta con i principi affermati in tema di omessa valutazione di una memoria difensiva.
Va rammentato infatti che l’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logicogiuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (per tutte, Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, Rv. 279578).
Inoltre, nel giudizio di impugnazione, la facoltà della parte di presentare memorie non può superare le preclusioni fissate dai termini per impugnare e da quelli concessi per la presentazione di motivi nuovi ai sensi dell’art. 585, commi 1, 4 e 5, cod. proc. pen., sicché la memoria difensiva non può contenere doglianze ulteriori e diverse rispetto a quelle proposte con il gravame o con i motivi aggiunti, ma può solo supportare, con dovizia di particolari e più puntuali argomentaziont, temi già devoluti con il mezzo di impugnazione proposto (Sez. 3, n. 258,68 del 20/02/2024, Di, Rv. 286729).
LI
Il ricorrente, nel denunciare l’omessa valutazione della memoria (che sarebbe stata presentata il 10 novembre 2023 in vista della udienza del 20 novembre 2023), si è limitato soltanto ad esporre gli argomenti oggetto della memoria, senza confrontarsi con il ragionamento giustificativo della sentenza impugnata e anche con i limiti, sopra indicati, derivanti dalle questioni devolute con l’appello.
Quanto poi alla richiesta di applicazione della pena sostitutiva domiciliare, il ricorrente non allega di aver rappresentato i presupposti per la sua applicazione, né argomenta in questa sede la sussistenza di tali presupposti, alla luce delle valutazioni effettuate dalla Corte di appello.
3.2. Il secondo motivo, che lamenta la mancanza di motivazione su un motivo di appello, è aspecifico in quanto non si correla con la motivazione complessiva della sentenza impugnata, che ha spiegato perché il pugno sferrato alla persona offesa non fosse soltanto la reazione ad un momento di rabbia del ricorrente nel vedere la propria madre a terra (cfr. pagg. 11 e 12 della sentenza impugnata), così superando le censure difensive.
3.3. Anche il terzo, che deduce motivazione illogica in ordine alla sussistenza del reato di cui all’art. 610 cod. pen., propone censure meramente oppositive alle argomentazioni rese dal Giudice dell’appello e comunque aspecifiche.
La Corte di appello ha infatti spiegato, con ragionamento lineare rispetto alle evidenze illustrate, quale fosse il contesto in cui si era stata compiuta la condotta del ricorrente nello sferrare un pugno all’inviato televisivo, ovvero il contrasto del ricorrente e della sua famiglia all’effettuazione di riprese a loro non gradite che la troupe stava effettuando in zona (lo stesso ricorrente aveva dichiarato che lui e il fratello si erano opposti verbalmente a che l’inviato facesse ingresso nella casa dello zio, detenuto da tempo).
D’altra parte, ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, sufficiente il dolo generico, ossia la coscienza e la volontà di costringere taluno, con violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa, senza che sia necessario il concorso di un fine particolare, che costituisce l’antecedente psichico della condotta, cioè il movente del comportamento tipico descritto dalla norma penale (Sez. 5, n. 2220 del 24/10/2022, dep. 2023, Rv. 284115).
3.4. Non superano la soglia di ammissibilità neppure le censure versate nel quarto motivo.
La aggravante teleologica, per le ragioni esposte al paragrafo che precede, non andava esclusa.
Quanto alla recidiva, le censure devono ritenersi precluse, là dove avanza/no considerazioni di merito sul carattere occasionale della vicenda, posto che la ,C ( ort di appello ha ritenuto la biografia criminale, emergente dal certificato ·enale, tutt’altro che poco allarmante. Ha a tal fine richiamato i precedenti più sia nificat·vi
che dimostravano, oltre alla loro gravità, il ricorso del ricorrente alla minaccia e alla violenza sulle persone. Elemento, questo, ritenuto unificante e valorizzato dalla sentenza impugnata per escludere, al di là della collocazione temporale dei preg ressi reati, la episodicità della ultima vicenda.
Quanto alla datazione dei fatti, la Corte di appello ha correttamente richiamato la datazione delle sentenze definitive per riconoscere la recidiva infraquinquennale (con l’appello il ricorrente aveva infatti chiesto la esclusione della recidiva sostenendo che i fatti erano tutti anteriori al 2015).
Va rammentato che, ai fini del riconoscimento della recidiva aggravata infraquinquennale, il calcolo dei cinque anni va effettuato considerando come “dies a quo” non già la data di commissione dell’ultimo delitto antecedente a quello espressivo della recidiva, bensì quella relativa al passaggio in giudicato della sentenza avente ad oggetto il medesimo reato presupposto (Sez. 2, n. 32785 del 13/07/2021, Rv. 281860).
3.5. Il quinto motivo, che lamenta la violazione dell’art. 62 n. 2 cod. pen., è manifestamente infondato.
Il ricorrente non si confronta con quanto dispone l’art. 59, terzo comma cod. pen. (ovvero che, se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze attenuanti, queste non sono valutate a favore di lui) e con la pacifica giurisprudenza sul tema della circostanza attenuante della provocazione.
Si è infatti affermato che non è configurabile la circostanza attenuante della provocazione, di cui all’art. 62, n. 2, cod. pen., nel caso in cui la condotta criminosa venga posta in essere quale reazione a un fatto ingiusto erroneamente attribuito alla vittima, atteso che, in tal caso, trova applicazione la disciplina prevista dall’ar 59, terzo comma, cod. pen., secondo cui se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui (Sez. 1, n. 45322 del 19/06/2019, Rv. 277329).
In altri termini, il fatto ingiusto della vittima deve realmente sussistere, non essendo ammissibile una provocazione “putativa”.
3.6. L’ultimo motivo, relativo al trattamento sanzionatorio, è aspecifico rispetto alla motivazione della sentenza impugnata.
Il ricorrente ripropone, ai fini della pena, i medesimi argomenti (stato d’ira, mancata sottrazione della telecamera) già motivatamente affrontati e disattesi (anche in punto di rilevanza) dalla Corte di appello nella ricostruzione della vicenda.
A ciò va aggiunto che la Corte di appello ha adeguatamente indicato le ragioni della scelta di mantenere ferma la pena determinata dal primo giudice (cfr. sag. 13), anche evidenziando come la pena stessa fosse in realtà ben al di otto di
quella corretta, non avendo il primo giudice calcolato l’aumento per la ritenuta recidiva qualificata.
4. Per le considerazioni su esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella
misura di euro 3.000.
Consegue, ancora, la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute nel grado in favore della parte civile costituita, che sono liquidate come
indicato nel dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge. Così deciso il GLYPH f6025.