Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6292 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6292 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a FOGGIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a FOGGIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a FOGGIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/09/2022 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di Torino, in sostituzione dell’avvocato COGNOME NOME, in difesa di COGNOME NOME. Il difensore illustra i motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento, depositando nomina ex art. 102 cpp. E’ presente, inoltre, l’avvocato COGNOME NOME del foro di FOGGIA, in difesa di COGNOME NOME, il quale insiste per l’accoglimento del ricorso. E’ presente, infine, l’avvocato COGNOME NOME del foro di FOGGIA, in difesa di
COGNOME NOME e COGNOME NOME, il quale si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22 settembre 2022 la Corte di appello di Bari, in parziale riforma della pronuncia del G.U.P. del Tribunale di Foggia del 14 luglio 2021, ha – per quanto di specifico interesse in questa sede – riqualificato il delitto ex art. 648 cod. pen., contestato sub C), in quello previsto dagli artt. 110 624 e 625 n. 7 cod. pen.; la fattispecie ex art. 648 cod. pen., ascritta al capo D), nel reato di cui all’art. 379 cod. pen.; escluso la ricorrenza della circostanza aggravante ex art. 61 n. 5 cod. pen. dall’ipotesi rubricata al capo A). Per l’effett la Corte di merito ha rideterminando le pene imposte agli imputati, in particolare infliggendo: a COGNOME NOMENOME in ordine ai reati ascrittigli, anni quattr reclusione ed euro 1.600,00 di multa; a COGNOME NOME, per i reati a lui contestati, anni quattro, mesi due di reclusione ed euro 1.600,00 di multa; a COGNOME NOME, in ordine ai reati ascrittile, mesi otto di reclusione; a COGNOME NOME, per il delitto contestatole, mesi quattro di reclusione.
Nello specifico, COGNOME NOME e COGNOME NOME sono stati ritenuti responsabili dei delitti di furto loro contestati ai sensi degli artt. 110, 624, 625 2 e 5 cod. pen. (capo A) e artt. 110, 624, 625 n. 7 cod. pen. (capo C), nonché dei reati previsti dagli artt. 2 e 4 lett. c) I. 2 ottobre 1967, n. 895 (capo B) e a 110, 424, comma 2, cod. pen. (capo F); altresì configurando rispetto al solo COGNOME pure la responsabilità per il delitto previsto dagli artt. 110, 337 e 339 cod. pen. (capo E). Con riferimento a quest’ultimo reato, quindi, è stata riconosciuta anche la colpevolezza delle imputate COGNOME NOME e COGNOME NOME, ritenendo tale ultima parimenti responsabile per il delitto ascrittole ai sensi dell’art. 379 cod. pen. (capo D).
Avverso la sentenza della Corte di appello sono stati proposti quattro distinti ricorsi per cassazione da parte dei suddetti imputati.
2.1. COGNOME NOME ha eccepito tre motivi di ricorso, con il primo dei quali ha lamentato erronea applicazione degli artt. 624, 625 e 648 cod. pen. ed improcedibilità del furto rubricato sub C).
Avrebbero errato i giudici di merito nel ritenere la ricorrenza della suddetta fattispecie, comunque assumendo decisivo rilievo, in ragione della effettuata riqualificazione del fatto nel delitto di furto aggravato ex artt. 110, 624, 625 n. cod. pen., la circostanza che, giusta novellazione disposta dall’art. 2, comma 1, lett. i) del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, oggi trattasi di un delitto procedibil querela, quindi subordinato alla presenza di una condizione di procedibilità nel
caso di specie non sussistente, per essere stata unicamente presentata una denuncia di furto da parte della persona offesa.
Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto erronea applicazione degli artt. 624 e 625 cod. pen., nonché improcedibilità del furto rubricato al capo A), osservando come, allo stesso modo, a seguito dell’entrata in vigore della c.d. “riforma Cartabia”, la fattispecie di furto aggravato nella specie contestatagli sia divenuta procedibile a querela, per l’effetto imponendosi, rispetto a tale delitto, una pronuncia di improcedibilità per difetto di querela, avendo la persona offesa proposto solo una denuncia, con successiva integrazione, in cui ha omesso di manifestare la propria volontà di procedere alla punizione dei colpevoli.
Con la terza doglianza il COGNOME ha eccepito erronea applicazione degli artt. 69, 81 e 99 cod. pen., nonché vizio di motivazione in ordine alla recidiva, all’aumento per la continuazione e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte di appello avrebbe errato nell’applicare un aumento per la recidiva palesemente eccessivo e sproporzionato rispetto a quello ritenuto nei riguardi del coimputato COGNOME, peraltro non sussistendo neanche i presupposti per ritenere la ricorrenza della recidiva reiterata, invece riconosciuta nei suoi confronti.
Il buon comportamento processuale da lui mantenuto avrebbe dovuto consentire, poi, la concessione in suo favore delle circostanze attenuanti generiche, da porsi in termini almeno equivalenti rispetto alle aggravanti e alla recidiva contestategli.
2.2. COGNOME NOME ha dedotto tre motivi di censura.
Con il primo ha eccepito inosservanza o erronea applicazione di legge penale per sopravvenuta procedibilità a querela dei reati contestati ai capi A) e C) di imputazione, stante l’entrata in vigore dell’art. 2, comma 1, lett. i) d.lgs. 150 del 2022, n. 150 in relazione all’art. 2, comma 4, cod. pen.
Le circostanze che i reati di furto aggravato, così come riqualificati nella pronuncia della Corte di appello, siano divenuti procedibili a querela in ragione della nuova disciplina introdotta dalla c.d. “riforma Cartabia” e che nella specie le persone offese avessero unicamente presentato delle denunce rappresenterebbero, per il ricorrente, i presupposti per emettere una sentenza di non doversi procedere per mancanza di querela relativamente ai delitti rubricati ai capi A) e C).
Con la seconda doglianza il COGNOME ha eccepito inosservanza o erronea applicazione di legge penale in relazione alla fattispecie ex art. 337 cod. pen. contestata al capo E).
A dire del ricorrente, mancherebbe la configurazione nei suoi confronti dell’elemento soggettivo del delitto di resistenza a un pubblico ufficiale,
considerato che, trovandosi trasportato in un’autovettura condotta dal COGNOME, non avrebbe potuto in alcun modo prevedere la condotta con cui quest’ultimo, in maniera del tutto improvvisa, aveva deciso di forzare un posto di blocco della P.G. Il COGNOME, pertanto, non avrebbe perpetrato nessuna condotta Pericolosa finalizzata a consentirgli di sfuggire alla cattura delle forze dell’ordine, avrebbe avuto il tempo di operare alcuna scelta ovvero di supportare l’estemporanea decisione assunta da parte del COGNOME, rinforzandone i propositi criminosi.
Latiterebbe, pertanto, la ricorrenza del dolo specifico richiesto dalla norma dell’art. 337 cod. pen., d’altro canto neppure ravvisato in sede cautelare sia da parte del P.M. che da parte del G.I.P.
Con l’ultimo motivo il ricorrente ha lamentato mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 546, comma 1, lett. e) n. 2 cod proc. pen. in ordine alla quantificazione della pena irrogata, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla mancata esclusione della recidiva e all’eccessivo aumento di pena determinato ai sensi dell’art. 81 cod. pen. dall’applicazione del vincolo della continuazione. Sarebbero, in particolare, irragionevoli e prive di idonea motivazione le determinazioni con cui il giudice di secondo grado ha ritenuto di non accogliere le indicate istanze dell’imputato, conducendo, infine, all’applicazione di un trattamento sanzionatorio palesemente eccessivo.
2.3. Il ricorso proposto da NOME COGNOME si compone di due motivi di doglianza.
Con il primo è stata eccepita inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 384 cod. pen., oltre a vizio di motivazione.
Risulterebbe, in particolare, contraddittoria e illogica la motivazione con cui la Corte territoriale, dopo avere affermato di voler riqualificare il fatto sub nell’ipotesi criminosa di favoreggiamento reale ex art. 379 cod. pen., ha effettuato un espresso riferimento alla diversa fattispecie del favoreggiamento personale, persino affermando di non poter applicare alla ricorrente la causa di non punibilità prevista dall’art. 384 cod. pen., unicamente riferentesi al delitt previsto dall’art. 378 cod. pen. Ciò renderebbe palesemente incomprensibile il percorso logico seguito dalla Corte di merito, impedendo di comprendere a quale dei due delitti i giudici di appello abbiano inteso riferirsi nell’ambito delle pro argomentazioni.
Con la seconda censura la ricorrente ha dedotto inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 337 cod. pen., oltre a mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Per la COGNOME sarebbe impossibile ascriverle la responsabilità per il delitto di resistenza a un pubblico ufficiale contestatole al capo E), non potendosi ravvisare nei suoi confronti la ricorrenza del dolo specifico richiesto per l’integrazione di tale reato, di certo non evincibile, come invece erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale, dal fatto che costei avesse occultato sulla sua persona del denaro costituente il provento di una precedente azione furtiva. Essendo stata trasportata sull’autovettura del COGNOME, unico autore materiale della condotta ex art. 337 cod. pen., non avrebbe potuto offrire, né avrebbe concretamente reso, alcun tipo di contributo causale alla perpetrata azione delittuosa, rinforzando il proposito criminoso del COGNOME, ed anzi essendosi, perfino, prodigata per convincere quest’ultimo ad interrompere la marcia dell’auto alla vista delle forze dell’ordine, come peraltro comprovato dalle testimonianze rese da parte degli altri coimputati.
2.4. COGNOME NOME ha, infine, dedotto due motivi di ricorso.
Con il primo ha lamentato inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla fattispecie prevista dall’artt. 337 cod. pen.
A dire della ricorrente, il riconoscimento della sua responsabilità penale in ordine all’integrazione del delitto di resistenza a un pubblico ufficiale, rubricat sub E), sarebbe avvenuto in carenza del richiesto elemento soggettivo, essendo stata lei unicamente trasportata sull’autovettura guidata dal COGNOME, autore della condotta di forzatura del posto di blocco della P.G., senza offrire alcun tipo di contribuzione causale, ed anzi essendosi limitata a rimanere seduta nell’autovettura senza fuggire, come invece effettuato da parte degli altri occupanti, per sottrarsi alla cattura delle forze dell’ordine.
Sarebbe, in particolare, erronea la motivazione con cui la Corte di appello ha giustificato tale condotta per il solo fatto che la NOME fosse stata allora in stato interessante, e quindi per il timore di mettere a rischio la salute del proprio nascituro, altresì evidenziando, in modo parimenti errato, come costei avesse comunque espresso la propria volontà di condividere le sorti dei fuggitivi decidendo di accompagnare la COGNOME a recuperare gli altri dopo la perpetrazione di un furto, atteso che in tale presunta condivisione non sarebbe stato comunque possibile far rientrare, neppure in via implicita, l’intendimento di voler fuggire assieme a loro e forzare un posto di blocco qualora vi fosse stata l’eventualità di essere fermati dalle forze dell’ordine.
D’altro canto, l’insussistenza del dolo specifico era stata nell’immediatezza ritenuta sia da parte del P.M. che del G.I.P. nel corso dell’espletamento della fase cautelare.
Con la seconda ·censura la NOME ha eccepito inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al mancato riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche in relazione agli artt. 133 e 62-bis cod. pen., oltre ad omessa motivazione.
La ricorrente lamenta che il suo stato di incensuratezza e il corretto comportamento processuale, sin da subito mantenuto, giustificherebbero, in antitesi a quanto ritenuto dai giudici di merito, il riconoscimento in suo favore del beneficio ex art. 62-bis cod. pen., così da potersi congruamente ridurre l’eccessiva entità della pena inflittale.
Il Procuratore generale ha rassegnato conclusione scritte, con cui ha chiesto che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Collegio rileva la fondatezza dei motivi di ricorso eccepiti da COGNOME NOME (seconda censura), COGNOME NOME (secondo motivo) e COGNOME NOME (prima doglianza) in ordine alla ritenuta ricorrenza del delitto di resistenza a un pubblico ufficiale loro concorsualmente ascritto al capo E) della rubrica, con conseguente annullamento con rinvio della sentenza impugnata sul punto, nel resto ritenendosi l’inammissibilità di tutte le ulteriori doglianze dedotte.
In primo luogo inammissibili sono i motivi eccepiti da COGNOME NOME nelle sue prime due censure e da COGNOME NOME nella sua prima doglianza, riguardanti una presunta violazione di legge derivante dalla mancata declaratoria di improcedibilità per mancanza di querela dei reati di furto aggravato loro contestati ai capi A) e C) della rubrica, dovendo, nella specie, trovare applicazione la nuova disciplina introdotta dalla c.d. “riforma Cartabia”, per cui i suddetti delitti sono, per l’appunto, divenuti procedibili a querela.
Per il Collegio, infatti, i dedotti motivi sono inammissibili perché si pongono in contrasto con i principi autorevolmente affermati dal Supremo Collegio nella sentenza Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, COGNOME, Rv. 273551-01, che ha espressamente ricondotto l’ipotesi della sopravvenuta procedibilità a querela nel novero dei casi in cui l’inammissibilità del ricorso non è travolta dalla regola dell’applicazione della disposizione più favorevole (essendo pacifico che il mutato regime di procedibilità con effetti favorevoli al reo si deve applicare anche a reati commessi prima della novazione normativa, quando già procedibili di ufficio). Per come affermato nell’indicata sentenza, «il disposto dell’art. 129 cod. proc. pen. nel rendere doveroso per il giudice rilevare in ogni stato e grado del processo una eventuale causa di non punibilità, pure coordinato con l’art. 609, comma 2, cod. proc. pen. sui poteri di ufficio della Corte di cassazione, non pone una
regola in contrasto con quanto qui affermato bensì un precetto che in tanto si rende operativo, in quanto abbia avuto esito positivo il previo scrutinio sulla ammissibilità dell’impugnazione: uno scrutinio che deve coniugarsi col principio dispositivo delle impugnazioni. Cioè, quello che consente l’introduzione del giudizio di impugnazione esclusivamente nei limiti concretamente individuati dalle parti e nel necessario rispetto delle regole poste dal codice». Quindi, «è anche da escludere che la sopravvenienza della procedibilità a querela» possa «operare come una ipotesi di aboliti° criminis (e finalizzazione all’accertamento di abolitio criminis), capace di prevalere sulla inammissibilità del ricorso». Dopo aver escluso che le questioni riguardanti la procedibilità del reato vengano in gioco alla stregua del mutamento degli elementi essenziali del reato e quindi nel campo di applicazione dell’art. 2, comma 2 cod. pen., le Sezioni Unite hanno concluso affermando che deve farsi applicazione dell’art. 2, comma 4 cod. pen., ma senza «che possa valere la regola della cedevolezza del giudicato». La conclusione del Supremo Collegio è, pertanto, nel senso che non ci sono «argomenti per sostenere che le innovazioni che introducono la procedibilità a querela, nel rapporto con il ricorso inammissibile, non sarebbero da uniformare al trattamento riservato ai mutamenti favorevoli in tema, in generale, di cause di non punibilità ed in particolare di cause estintive del reato, aventi natura più marcatamente sostanziale: retroattività, col limite della presentazione di ricorso inammissibile». L’art. 129 cod. proc. pen. non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l’epilogo del processo, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che presuppone il pieno esercizio della giurisdizione. Non riveste, pertanto, per quanto qui d’interesse, valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione, come, all’evidenza, non è dato ravvisare nel caso di specie con riferimento ai motivi così prospettati. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Stesso giudizio deve essere espresso, poi, con riguardo al vizio di motivazione dedotto sia da parte del COGNOME che del COGNOME – con il loro terzo motivo di ricorso – in ordine ad aspetti relativi al trattamento sanzionatorio, come la quantificazione della pena irrogata, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la mancata esclusione della recidiva e l’eccessivo aumento di pena determinato dall’applicazione della continuazione.
3.1. Con riferimento alla ritenuta eccessiva entità del trattamento sanzionatorio inflitto, in particolar modo lamentato da parte del COGNOME, il Collegio rileva come la pena applicata, per come congruamente motivato nella sentenza impugnata, sia tale da conformarsi pienamente ai parametri indicati dall’art. 133 cod. pen.
D’altro canto, in tema di determinazione della pena, ove venga irrogata una sanzione al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena (così, tra le altre, Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949-01).
Si tratta, dunque, di una motivazione che, in quanto immune da vizi logici e coerente con il dictum della sentenza, non può essere in questa sede in alcun modo censurata.
3.2. Altresì manifestamente infondata è la censura con cui i ricorrenti hanno lamentato l’erroneità della decisione con cui è stato loro negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Risulta, infatti, del tutto logica e congrua, nonché esente da vizi, la motivazione con cui i giudici di secondo grado hanno deciso di non concedere le attenuanti ex art. 62-bis cod. pen., espressamente evidenziando come, a tale proposito, non sia possibile conferire rilievo alcuno alle condotte confessorie assunte da parte degli imputati, in quanto da ritenersi mera conseguenza del fatto di essere stati «colti nella disponibilità di tracce deponenti per la cert ascrivibilità ai medesimi dell’azione delittuosa».
Trattasi, in ogni modo, di decisione attinente al merito, che, a fronte di una motivazione adeguatamente e logicamente espressa, non può essere oggetto di censura da parte di questo giudice di legittimità.
3.3. La Corte di merito ha, quindi, fornito adeguata risposta anche all’invocata esclusione dell’applicazione della contestata recidiva nei confronti dei due imputati, facendo espresso riferimento alle precedenti condanne subìte sia da parte del COGNOME che dal COGNOME, indice di una loro maggiore pericolosità sociale.
Si tratta di una motivazione del tutto logica e adeguata, pienamente conforme ai principi che regolano il fondamento degli aumenti di pena previsti a carico dei soggetti condannati, non essendosi limitata a dedurre la pericolosità sociale dei prevenuti dal mero fatto descrittivo dell’esistenza di precedenti penali, ma che ha in concreto esaminato, sulla scorta dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra i fatti per cui si procede e le antecedenti condanne da loro subite, in particolar modo verificando se ed in quale misura la pregressa
condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato (così, tra le tante, Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, COGNOME, Rv. 270419-01; ma cfr. anche, in termini conformi, Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, P.G., Calibè, Rv. 247838-01).
Parimenti congruo e logico, nonché adeguatamente motivato, è, altresì, l’aumento di pena riconosciuto per la recidiva ai due imputati, peraltro risultando del tutto inconferente la ritenuta sproporzionatezza tra l’aumento per la recidiva inflitto al COGNOME rispetto a quello applicato nei riguardi del coimputat COGNOME, dovendo trovare applicazione il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità per cui sono inammissibili le questioni con cui si deduca la disparità di trattamento tra coimputati, avendo questa Corte espressamente affermato che, in tema di ricorso per cassazione, non può essere considerato come indice di vizio di motivazione il diverso trattamento sanzionatorio riservato nel medesimo procedimento ai coimputati, anche se correi, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento del caso, che si prospetta come identico, sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (così, in particolare: Sez. 3, n. 9450 del 24/02/2022, COGNOME, Rv. 282839-01; Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015, COGNOME e altri, Rv. 264020-01; Sez. 6, n. 21838 del 23/05/2012, COGNOME e altri, Rv. 252880-01), come, invero, non è dato ravvisare nel caso di specie.
3.4. Palesemente generico e aspecifico, poi, è il motivo con cui il COGNOME ha lamentato l’eccessiva entità dell’aumento di pena disposto ai sensi dell’art. 81 cpv. cod. pen., trattandosi di censura che non si confronta adeguatamente con la motivazione resa nel provvedimento impugnato che, in maniera logica e congrua, ha esplicato le ragioni di determinazione dell’indicato aumento per la continuazione.
Con riguardo, quindi, alla doglianza dedotta da COGNOME con il primo motivo di ricorso – inerente alla presunta ricorrenza di una contraddittorietà motivazionale, per avere la Corte territoriale dapprima affermato di voler riqualificare il fatto sub D) nel favoreggiamento reale ex art. 379 cod. pen., per poi operare un espresso riferimento al diverso reato di favoreggiamento personale, persino affermando di non poter riconoscere la causa di non punibilità prevista dall’art. 384 cod. pen., unicamente riferentesi al delitto ex art. 378 cod. pen. – il Collegio rileva come, all’evidenza, non si tratt di un’incongruenza idonea a rendere incomprensibile il percorso motivazionale seguito da parte dei giudici di appello, bensì solo di un errore materiale insufficiente a determinare conseguenze significative e rilevanti, risultando del
tutto palese come la motivazione resa sul punto sia stata integralmente svolta dalla Corte di merito al fine di giustificare la riqualificazione del fatto rubricato capo D) nel delitto di favoreggiamento reale, senza palesare alcun tipo di incertezza o di illogicità al riguardo. Ne consegue la manifesta infondatezza della censura così eccepita.
5. Invece fondati, come detto, sono i motivi di ricorso eccepiti da COGNOME NOME (seconda censura), COGNOME NOME (secondo motivo) e COGNOME NOME (prima doglianza) in ordine alla configurazione del delitto ex art. 337 cod. pen. loro contestato al capo E), conseguentemente imponendo, su tale punto, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Ed invero, con riferimento all’elemento soggettivo del reato di resistenza ad un pubblico ufficiale, la giurisprudenza di legittimità ha espressamente precisato che esso si configura come dolo specifico, che si sostanzia nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccia al fine di opporsi al compimento di un atto dell’ufficio, mentre del tutto estranei sono lo scopo mediato e i motivi di fatto avuti di mira dall’agente (cfr., Sez. 6, n. 35277 del 20/10/2020, Moretti, Rv. 280166-01; Sez. 6, n. 38786 del 17/09/2014, NOME, Rv. 260469-01).
La condotta GLYPH posta in essere dagli autori del delitto deve, pertanto, avere una natura prettamente reattiva, e cioè violenta o minacciosa, causalmente finalizzata ad intralciare o ritardare il compimento dell’atto da parte del pubblico ufficiale – nel caso di specie rappresentato dall’intervento effettuato dai Carabinieri per fermare e identificare gli occupanti dell’autovettura guidata dal COGNOME ad un posto di blocco da costoro predisposto -.
Per la compartecipazione soggettiva alla suddetta condotta delittuosa, quindi, è indispensabile che vi sia la ricorrenza del dolo, quanto meno sotto il profilo del dolo eventuale, da identificarsi nella chiara rappresentazione da parte dell’agente della significativa possibilità di verificazione dell’evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, vi stata la sua determinazione ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo (cfr., in questi termini, Sez. 6, n. 47152 del 18/10/2022, COGNOME, Rv. 284330-01).
Nella fattispecie, pertanto, dovrebbe essere ravvisata nella condotta riferibile al COGNOME, alla COGNOME e alla COGNOME la prova della loro chiara rappresentazione, anteriormente alla verificazione dell’evento, della concreta possibilità che il COGNOME, alla guida dell’autovettura ove si trovavano trasportati, potesse forzare un posto di blocco eventualmente predisposto dalle
forze dell’ordine, al fine di evitare di essere fermati e quindi di essere trovati i possesso dei proventi scaturiti dalla loro precedente azione furtiva.
Nella consapevolezza della genericità della motivazione con cui il primo giudice aveva ritenuto la ricorrenza negli imputati del profilo soggettivo richiesto dalla norma dell’art. 337 cod. pen. – in quanto solo desunta dalla consapevolezza di essere in possesso di denaro appena illecitamente sottratto la Corte territoriale ha deciso di «integrare la motivazione» della sentenza impugnata considerando provato, sotto altri profili, «come la condotta dei passeggeri dell’autovettura sia stata di indubbia diretta condivisione e supporto all’iniziativa del RAGIONE_SOCIALE di contrastare l’attività accertativa delle f dell’ordine».
Con palese illogicità motivazionale, tuttavia, la Corte di appello ha accertato la sicura condivisione dell’azione di resistenza posta in essere dal COGNOME, realizzata sostenendolo e incitandolo in quello specifico frangente, facendo richiamo a condotte solo successivamente realizzate da parte degli imputati – e quindi non 11) una fase antecedente o contestuale alla perpetrazione dell’azione violenta -.
Il riferimento, infatti, al tentativo di fuga del COGNOME, all’effettu occultamento di parte della refurtiva da parte della NOME o al comportamento inerte assunto dalla COGNOME, unicamente determinato dal fatto di trovarsi in stato interessante, può essere sufficiente ad attestare, in termini logici, la loro consapevolezza dell’azione furtiva preventivamente perpetrata e delle conseguenti responsabilità che da essa sarebbero scaturite una volta fermati dalle forze dell’ordine, ma non è idonea a dimostrare di avere preventivamente condiviso o supportatO, offrendo un’adeguata contribuzione causale al riguardo, la condotta con cui il COGNOME aveva forzato il posto di blocco dei militari.
La motivazione resa dai giudici di appello, pertanto, non è tale da dimostrare la ricorrenza nei suddetti tre imputati del dolo specifico richiesto dalla norma dell’art. 337 cod. pen., di fatto determinando, sotto tale profilo, il conseguente annullamento della sentenza impugnata, rimettendo al giudice del rinvio una nuova indispensabile valutazione in ordine alla ricorrenza dell’indicato aspetto.
L’accoglimento della superiore doglianza fa, all’evidenza, ritenere assorbita la seconda censura lamentata da parte di NOME, inerente ai motivi del mancato riconoscimento in suo favore delle circostanze attenuanti generiche, trattandosi di aspetto vagliabile solo all’esito dell’eventuale riconoscimento, in sede di rinvio, della sua colpevolezza in ordine alla fattispecie criminosa ascrittale al capo E).
In conclusione, deve essere disposto l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, limitatamente al reato di cui all’art. 337 cod. pen., con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Bari, al contempo dichiarandosi l’inammissibilità nel resto dei ricorsi presentati dal COGNOME e dalla COGNOME. Il ricorso di COGNOME NOME deve, invece, essere dichiarato inammissibile, con conseguente sua condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, limitatamente al reato di cui all’art. 337 cod. pen., con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Bari. Dichiara i ricorsi del COGNOME e della COGNOME inammissibili nel resto. Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 30 novembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente