Resistenza a pubblico ufficiale: i limiti del ricorso in Cassazione
L’ordinamento giuridico italiano prevede tre gradi di giudizio, ma con funzioni molto diverse tra loro. Un caso recente affrontato dalla Corte di Cassazione offre un chiaro esempio dei limiti del giudizio di legittimità, in particolare in un caso di resistenza a pubblico ufficiale. Con l’ordinanza in esame, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino, condannato in appello, ribadendo un principio fondamentale: la Cassazione non è un ‘terzo grado’ di processo dove si possono rivalutare le prove.
I Fatti del Caso
La vicenda processuale ha origine dalla condanna inflitta dalla Corte d’Appello a un individuo per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, previsto dall’articolo 337 del codice penale. L’imputato, non accettando la decisione, ha proposto ricorso per Cassazione. I suoi motivi si basavano essenzialmente su due punti: una presunta errata valutazione delle prove da parte dei giudici di merito e l’applicazione della causa di giustificazione (scriminante) prevista dall’art. 393-bis c.p., che esclude la punibilità quando la violenza o minaccia è una reazione a un atto arbitrario del pubblico ufficiale.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. Di conseguenza, la condanna dell’imputato è diventata definitiva. Oltre a confermare la decisione di merito, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, una sanzione pecuniaria tipica per i ricorsi inammissibili.
Le Motivazioni: la Valutazione della Resistenza a Pubblico Ufficiale in Appello
La Corte ha fondato la sua decisione su un pilastro del diritto processuale penale: la distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. Le motivazioni del ricorso, secondo i giudici supremi, erano ‘manifestamente infondati’ perché non denunciavano vizi di legge, ma miravano a ottenere una ‘rilettura o rivalutazione delle fonti di prova’. Questa attività è di competenza esclusiva del Tribunale e della Corte d’Appello, non della Cassazione.
La Suprema Corte ha sottolineato che la Corte d’Appello aveva motivato la sua decisione in modo adeguato e non illogico. In particolare, la condanna per resistenza a pubblico ufficiale era stata correttamente basata su elementi concreti, quali:
1. L’intensità del dolo: l’intenzione dell’imputato di ostacolare l’attività del pubblico ufficiale era apparsa particolarmente forte.
2. L’atteggiamento aggressivo: la condotta dell’imputato era stata descritta come ‘decisamente aggressiva’.
3. La modalità minacciosa: con riferimento alla scriminante dell’atto arbitrario, la Corte d’Appello aveva evidenziato che la reazione dell’imputato era stata ‘estremamente minacciosa’, escludendo così la possibilità di applicare la causa di giustificazione.
Poiché la motivazione della sentenza d’appello era completa e logicamente coerente, non c’era spazio per un intervento della Corte di Cassazione.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un insegnamento cruciale per chiunque intenda impugnare una sentenza penale. Non è sufficiente essere in disaccordo con la valutazione dei fatti compiuta dal giudice; per avere successo in Cassazione, è necessario dimostrare che il giudice ha commesso un errore nell’applicazione della legge o che la sua motivazione è palesemente illogica o contraddittoria. Tentare di usare il ricorso per legittimità come un’ulteriore istanza per rimettere in discussione le prove è una strategia destinata al fallimento e comporta, come in questo caso, ulteriori costi economici per il ricorrente.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove di un processo?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità e non può rivalutare le prove o i fatti del caso, compito che spetta ai giudici di primo e secondo grado (giudici di merito).
Per quale motivo il ricorso per resistenza a pubblico ufficiale è stato dichiarato inammissibile?
Perché i motivi presentati erano manifestamente infondati e miravano a ottenere una nuova valutazione delle prove, un’attività preclusa in sede di legittimità. Il ricorso non evidenziava errori di diritto, ma un mero disaccordo con l’analisi dei fatti.
Quali elementi ha considerato la Corte per confermare la condanna per resistenza a pubblico ufficiale?
La Corte ha ritenuto corretta la valutazione del giudice d’appello, che aveva sottolineato la particolare intensità del dolo (l’intenzione di commettere il reato), l’atteggiamento decisamente aggressivo e la condotta minacciosa dell’imputato, tutti elementi finalizzati a ostacolare la funzione pubblica.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37266 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37266 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PIZZOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/11/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità, perché manifestamente infondati e volti anche a prospettare una rilettura o rivalutazione delle fonti di prova, preclusa in sede di legittimità;
Considerato, invero, che la Corte di appello si è adeguatamente pronunciata sui profili dedotti con l’appello, disattendendoli con argomenti corretti e non manifestamente illogici; si veda, in particolare, pag. 4, sulla ritenuta responsabilità per il contestato reato ex art. 337 cod. pen., dove ha valorizzato, oltre alla particolare intensità del dolo, anche l’atteggiamento decisamente aggressivo dell’imputato, quali elementi entrambi finalizzati ad ostacolare l’esercizio della funzione pubblica, e sulla scriminante ex art. 393-bis cod. pen., dove ha richiamato sia le risultanze processuali che la modalità estremamente minacciosa della condotta del ricorrente;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/07/2024.