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Resistenza a pubblico ufficiale: anche a bassa velocità

Un conducente, assolto in appello per resistenza e lesioni a un agente, vede la sentenza annullata dalla Cassazione. La Corte chiarisce che anche guidare a bassa velocità ignorando l’ordine di fermarsi costituisce il reato di resistenza a pubblico ufficiale, poiché impedisce attivamente la funzione pubblica. Il caso è stato rinviato per un nuovo giudizio.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Anche a Bassa Velocità è Reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46329 del 2024, offre un importante chiarimento sul delitto di resistenza a pubblico ufficiale. La pronuncia stabilisce che anche proseguire la marcia con il proprio veicolo a velocità ridotta, ignorando l’ordine di alt degli agenti, può configurare il reato, superando la nozione di mera ‘resistenza passiva’. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione.

I Fatti del Caso: Due Versioni a Confronto

All’origine della vicenda vi è un controllo di polizia municipale presso un’area di mercato. In primo grado, un commerciante era stato condannato per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali. L’accusa iniziale sosteneva che l’uomo, per sottrarsi al controllo sul pagamento della tassa di occupazione del suolo pubblico, avesse accelerato bruscamente, eseguendo manovre pericolose e ferendo uno degli agenti.

La Corte d’Appello, tuttavia, aveva ricostruito i fatti in modo diverso. Secondo i giudici di secondo grado, l’imputato non aveva accelerato bruscamente, ma aveva semplicemente proseguito la marcia a velocità molto bassa, ignorando le ripetute richieste di fermarsi. Le lesioni riportate dall’agente sarebbero state causate da un tentativo di quest’ultimo di salire sul veicolo in movimento per fermarlo, e non direttamente dalla condotta del conducente. Sulla base di questa diversa ricostruzione, la Corte d’Appello aveva assolto l’imputato da entrambe le accuse ‘perché il fatto non sussiste’.

Il Ricorso in Cassazione: Quando la Resistenza a Pubblico Ufficiale Non È Passiva

Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello ha impugnato la sentenza di assoluzione, portando il caso davanti alla Corte di Cassazione. I motivi del ricorso erano due:

1. Sulla resistenza: Anche accettando la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte d’Appello (marcia a bassa velocità), la condotta dell’imputato non poteva essere derubricata a mera disobbedienza. Proseguire la guida, per quanto lentamente, costituiva un impedimento attivo all’esercizio delle funzioni pubbliche degli agenti, integrando così il requisito della ‘violenza’ richiesto dall’art. 337 del codice penale.
2. Sulle lesioni: Esisteva un chiaro nesso di causalità tra la condotta dell’imputato (il non essersi fermato) e le lesioni subite dall’agente. Anche se l’evento non fosse stato voluto (dolo), la responsabilità poteva sussistere a titolo di colpa, come previsto dall’art. 83 del codice penale.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto pienamente il ricorso del Procuratore Generale, annullando la sentenza di assoluzione e rinviando il caso per un nuovo giudizio. I giudici di legittimità hanno sottolineato che la Corte d’Appello ha commesso un errore di interpretazione giuridica.

In primo luogo, la condotta dell’imputato, consistita nel proseguire la marcia ignorando l’ordine di fermarsi, non può essere considerata una semplice ‘resistenza passiva’. Al contrario, essa rappresenta un’azione che si oppone attivamente all’atto d’ufficio, costringendo gli agenti a subire il passaggio del veicolo. Questo comportamento, che mette a repentaglio l’incolumità degli operatori e turba l’andamento della funzione pubblica, integra la ‘violenza’ richiesta dalla norma sulla resistenza a pubblico ufficiale.

In secondo luogo, la Cassazione ha ribadito che la diversa ricostruzione del fatto non giustificava automaticamente l’assoluzione. Il giudice di merito avrebbe dovuto valutare se i fatti, così come accertati, fossero comunque compatibili con il paradigma legale del reato contestato. L’assoluzione è stata quindi il frutto di un’errata interpretazione della legge penale.

Infine, per quanto riguarda le lesioni, la Corte ha affermato che andava indagata la sussistenza di un nesso causale tra la condotta illecita dell’imputato e il danno fisico subito dall’agente, anche se questo fosse avvenuto per colpa anziché per dolo.

Conclusioni: Le Implicazioni della Sentenza

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: per configurare il reato di resistenza a pubblico ufficiale non è necessaria una violenza aggressiva o una velocità elevata. Anche un’azione apparentemente ‘mite’, come l’avanzare lento ma inesorabile di un veicolo contro l’ordine di alt, costituisce un’opposizione fisica e attiva che impedisce l’adempimento di un dovere d’ufficio. La decisione chiarisce che la ‘violenza’ penalmente rilevante in questo contesto consiste in qualsiasi comportamento idoneo a impedire o ostacolare l’attività del pubblico ufficiale, mettendo in pericolo la sua incolumità. La Corte d’Appello dovrà ora riesaminare il caso attenendosi a questi importanti principi di diritto.

Proseguire la marcia a velocità molto bassa, ignorando l’ordine di fermarsi di un pubblico ufficiale, integra il reato di resistenza?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, tale condotta non è una mera disobbedienza o resistenza passiva, ma una forma di violenza che impedisce attivamente il compimento di un atto d’ufficio, integrando così il reato di resistenza a pubblico ufficiale.

Se un pubblico ufficiale si ferisce nel tentativo di fermare un veicolo, ma la lesione deriva da una sua manovra brusca, il conducente è responsabile?
Può esserlo. La Corte ha stabilito che deve essere valutato il nesso di causalità tra la condotta del conducente (che non si è fermato) e la lesione subita dall’agente. La responsabilità può sussistere anche a titolo di colpa, e non necessariamente di dolo.

Una diversa ricostruzione dei fatti in appello rispetto all’accusa iniziale giustifica sempre un’assoluzione?
No. La Corte ha chiarito che una diversa ricostruzione dei fatti non comporta automaticamente l’assoluzione. Il giudice deve valutare se i fatti, come diversamente accertati, integrino comunque gli elementi costitutivi del reato contestato o di un altro reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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