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Resistenza a più pubblici ufficiali: reato unico?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 15205/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per resistenza. La Corte ha ribadito un principio consolidato: la condotta di violenza o minaccia rivolta contestualmente a più agenti integra un concorso formale di reati e non un singolo reato, superando un precedente contrasto giurisprudenziale. Di conseguenza, la resistenza a più pubblici ufficiali viene punita più severamente.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Più Pubblici Ufficiali: Reato Unico o Plurimo? La Cassazione Fa Chiarezza

Opporsi a un pubblico ufficiale è un reato, ma cosa succede se gli agenti coinvolti sono più di uno? La questione della resistenza a più pubblici ufficiali è stata al centro di un’importante ordinanza della Corte di Cassazione, che ha consolidato un principio fondamentale per il diritto penale. La decisione chiarisce se un’unica azione di violenza o minaccia contro diversi agenti debba essere considerata come un solo reato o come tanti reati quanti sono gli ufficiali offesi. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da una persona condannata nei gradi di merito per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, previsto dall’art. 337 del codice penale. La difesa sosteneva che, nonostante la condotta oppositiva fosse stata rivolta a più agenti contemporaneamente, il reato da contestare dovesse essere considerato unico. Questa tesi si basava su un orientamento giurisprudenziale passato, secondo cui l’interesse protetto dalla norma (il corretto funzionamento della Pubblica Amministrazione) sarebbe unico, a prescindere dal numero di funzionari coinvolti.

L’Analisi della Corte e la questione sulla resistenza a più pubblici ufficiali

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha respinto tale tesi, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno sottolineato come il dibattito sulla natura della resistenza a più pubblici ufficiali sia stato definitivamente risolto da una precedente e autorevole pronuncia delle Sezioni Unite (la massima espressione della Corte).

Secondo la Suprema Corte, il precedente contrasto giurisprudenziale è ormai superato. La decisione di riferimento (Sez. U, n. 40981/2018) ha stabilito un principio chiaro e inequivocabile: la condotta di chi, con un’unica azione, usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali mentre compiono un atto del loro ufficio, non integra un reato unico.

Il Principio del Concorso Formale di Reati

La Corte ha applicato l’istituto del “concorso formale di reati”, disciplinato dall’articolo 81, primo comma, del codice penale. Questo principio si applica quando un soggetto, con una sola azione, commette più violazioni della stessa o di diverse norme penali. Invece di essere processato per ogni singolo reato, il soggetto viene punito con la pena prevista per il reato più grave, aumentata fino al triplo.

Nel caso della resistenza a più pubblici ufficiali, l’azione è unica (ad esempio, una spinta o una minaccia verbale), ma le vittime del reato sono multiple. Ogni pubblico ufficiale rappresenta un distinto bene giuridico protetto, legato alla sua specifica funzione e incolumità. Pertanto, l’azione criminosa lede più volte l’interesse tutelato dalla norma.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di dare piena tutela all’autorità e alla funzione di ciascun pubblico ufficiale coinvolto. Considerare l’episodio come un reato unico sminuirebbe la gravità di una condotta diretta a ostacolare l’operato di più servitori dello Stato. Le Sezioni Unite hanno chiarito che l’offesa non è solo contro la Pubblica Amministrazione in astratto, ma si concretizza nei confronti di ogni singolo ufficiale che agisce in suo nome. Di conseguenza, la pluralità di soggetti passivi determina una pluralità di reati, unificati solo ai fini della determinazione della pena tramite il meccanismo del concorso formale.

Conclusioni

L’ordinanza in esame conferma un orientamento ormai consolidato e di grande importanza pratica. Chi si oppone con violenza o minaccia a una pattuglia di carabinieri, a più agenti di polizia o a qualsiasi gruppo di pubblici ufficiali, non risponderà di un solo reato di resistenza, ma di tanti reati quanti sono gli ufficiali coinvolti, unificati sotto il vincolo del concorso formale. Questa interpretazione comporta un trattamento sanzionatorio più severo, riflettendo la maggiore gravità di un’azione che sfida l’autorità dello Stato rappresentata da più persone. La decisione serve da monito, ribadendo che la tutela dell’ordine pubblico passa anche attraverso la ferma protezione di ogni singolo operatore che lo garantisce.

Cosa succede se ci si oppone a più pubblici ufficiali contemporaneamente?
Secondo la Corte di Cassazione, chi con una sola azione usa violenza o minaccia contro più pubblici ufficiali commette più reati, non uno solo. Questa fattispecie è definita “concorso formale di reati” e comporta una pena più grave rispetto a quella per un singolo episodio di resistenza.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché il motivo presentato era manifestamente infondato. La tesi del reato unico è stata considerata superata da tempo da una decisione delle Sezioni Unite della Cassazione, che ha stabilito il principio opposto, rendendo l’argomento della difesa non più sostenibile in giudizio.

Cosa significa “concorso formale di reati” in questo contesto?
Significa che un’unica condotta (ad esempio, una minaccia verbale) rivolta a più agenti viene considerata come se avesse violato la legge più volte. La conseguenza è che la pena base (quella per un singolo reato di resistenza) viene aumentata per tener conto della pluralità delle vittime, pur essendo l’azione dell’imputato unica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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