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Residenza reddito di cittadinanza: assoluzione per falso

Un cittadino straniero, condannato per aver falsamente dichiarato 10 anni di residenza per ottenere il reddito di cittadinanza, è stato assolto dalla Corte di Cassazione. La decisione si basa su una sentenza della Corte Costituzionale che ha ridotto il requisito di residenza a 5 anni. Poiché l’imputato soddisfaceva questo nuovo requisito, la sua falsa dichiarazione è stata ritenuta penalmente irrilevante, in quanto il beneficio percepito non era indebito. Di conseguenza, il reato non sussiste.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Residenza Reddito di Cittadinanza: Assoluzione Nonostante la Bugia. Ecco Perché

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 32259/2025, ha stabilito un principio fondamentale riguardo al requisito della residenza per il reddito di cittadinanza. Un cittadino, pur avendo dichiarato il falso per ottenere il sussidio, è stato assolto perché, di fatto, ne aveva diritto. Questa decisione, che annulla una precedente condanna, si fonda su un intervento cruciale della Corte Costituzionale che ha modificato le regole del gioco.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un cittadino straniero che aveva presentato domanda per il “reddito di cittadinanza”, attestando falsamente di risiedere in Italia da almeno dieci anni. In realtà, la sua residenza era iniziata nel giugno 2015. Al momento della domanda, nell’ottobre 2020, aveva quindi maturato poco più di cinque anni di residenza.

Sulla base di questa falsa dichiarazione, era stato condannato in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 7 del D.L. 4/2019. La Corte d’Appello aveva inoltre disposto la confisca della somma percepita, pari a 3.400 euro. L’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il requisito dei dieci anni fosse illegittimo alla luce del diritto europeo e, successivamente, di una pronuncia della Corte Costituzionale.

Il Requisito della Residenza e l’Intervento delle Corti Superiori

La normativa originaria del reddito di cittadinanza prevedeva, tra le varie condizioni, una residenza continuativa in Italia di almeno dieci anni. Questo requisito è stato oggetto di critiche, culminate in due interventi giurisdizionali decisivi:

1. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea: Aveva già evidenziato come tale requisito potesse essere in contrasto con la normativa europea (Direttiva 2003/109/CE), che prevede la parità di trattamento per i soggiornanti di lungo periodo, status che si acquisisce dopo cinque anni di soggiorno legale.
2. La Corte Costituzionale: Con la sentenza n. 31 del 2025, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del requisito decennale. Ha stabilito che una residenza di dieci anni costituiva una “barriera temporale” sproporzionata e irragionevole, violando i principi di eguaglianza. Il requisito è stato quindi ridotto a cinque anni, ritenuti sufficienti a dimostrare un effettivo radicamento sul territorio nazionale.

L’Impatto sul Reato di Falsa Dichiarazione

L’intervento della Corte Costituzionale ha cambiato radicalmente il quadro normativo. La Cassazione ha dovuto valutare la condotta dell’imputato non più alla luce del requisito dei dieci anni, ma di quello, ora valido, dei cinque anni.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza di condanna senza rinvio “perché il fatto non sussiste”. Il ragionamento dei giudici è stato lineare. Poiché la Corte Costituzionale ha stabilito che il requisito di residenza legittimo è di cinque anni, e non dieci, occorreva verificare se l’imputato, al momento della domanda, soddisfacesse questa condizione.

Essendo residente dal giugno 2015, nell’ottobre 2020 aveva ampiamente superato i cinque anni di residenza richiesti. Di conseguenza, la sua dichiarazione, sebbene non veritiera riguardo ai dieci anni, è diventata penalmente irrilevante. L’imputato, infatti, aveva pieno diritto a percepire il beneficio. Il reato contestato presuppone che la falsa dichiarazione porti al conseguimento di un profitto indebito. In questo caso, il profitto non era indebito, perché il diritto sussisteva comunque.

Le Conclusioni

Questa sentenza chiarisce che le pronunce di illegittimità costituzionale hanno un impatto diretto e retroattivo sui processi penali in corso. Una norma che viene dichiarata incostituzionale non può più essere applicata per fondare una condanna. Nel caso specifico della residenza per il reddito di cittadinanza, una dichiarazione mendace sul requisito decennale non costituisce reato se, al momento dei fatti, il richiedente possedeva già il requisito quinquennale, come stabilito dalla Corte Costituzionale. La bugia, in questo contesto, diventa un “falso innocuo”, incapace di ledere l’interesse protetto dalla norma penale.

Se si dichiara il falso sulla residenza per ottenere il reddito di cittadinanza si commette sempre reato?
Non sempre. Secondo questa sentenza, se la dichiarazione falsa riguarda un requisito (come la residenza decennale) che è stato poi dichiarato incostituzionale, e il richiedente soddisfaceva comunque il requisito corretto (residenza di 5 anni), il reato non sussiste. La bugia diventa penalmente irrilevante perché il beneficio non era indebito.

Perché la Corte Costituzionale ha ridotto il requisito di residenza da 10 a 5 anni?
La Corte Costituzionale ha ritenuto che il requisito di 10 anni di residenza creasse una “barriera temporale” sproporzionata e irragionevole rispetto alle finalità del reddito di cittadinanza, violando i principi di eguaglianza e ragionevolezza. Ha ritenuto il termine di 5 anni più congruo e sufficiente a dimostrare un radicamento stabile sul territorio.

Qual è l’effetto di una sentenza della Corte Costituzionale su un processo penale in corso?
Una sentenza della Corte Costituzionale che dichiara l’illegittimità di una norma ha un effetto retroattivo. Come dimostra questo caso, la norma che prevedeva il requisito dei 10 anni di residenza non può più essere applicata per fondare una condanna, portando all’assoluzione dell’imputato perché viene meno un elemento costitutivo del reato (l’indebita percezione).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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