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Rescissione legami criminali: la confessione basta?

La Cassazione annulla un’ordinanza di custodia cautelare, stabilendo che la confessione parziale di un’imputata e le sue accuse ai complici devono essere considerate come prova di rescissione dei legami criminali. La Corte ha censurato la motivazione del giudice del riesame, ritenendola basata su mere congetture e non su prove concrete, riaffermando l’importanza di una valutazione fattuale rigorosa per le misure cautelari.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confessione e Accuse ai Complici: Prova di Rottura con il Clan?

La valutazione delle esigenze cautelari in materia di criminalità organizzata è un terreno complesso, dove ogni elemento deve essere ponderato con rigore. Un caso recente affrontato dalla Corte di Cassazione (Sentenza n. 5138/2024) offre spunti cruciali sul tema della rescissione legami criminali. La Suprema Corte ha annullato con rinvio un’ordinanza che confermava la custodia in carcere per un’imputata, la cui confessione e le cui accuse ai sodali erano state interpretate non come una rottura, ma come una strategia del clan.

I Fatti del Caso

Una donna, accusata di partecipazione a un sodalizio di stampo mafioso e di numerosi episodi di turbativa d’asta aggravata, si vedeva rigettare l’istanza di revoca della custodia cautelare in carcere. A fondamento della sua richiesta, aveva addotto un elemento di novità significativo: nel corso del processo, aveva ammesso le proprie responsabilità per i reati di turbativa d’asta, indicando anche i suoi corresponsabili e muovendo ulteriori accuse per episodi non ancora oggetto di procedimento. Aveva, tuttavia, negato il suo coinvolgimento nel delitto associativo.

La Decisione del Tribunale del Riesame

Il Tribunale del riesame, chiamato a pronunciarsi sulla questione, aveva confermato la misura cautelare. Secondo i giudici, le dichiarazioni confessorie e accusatorie della donna non provavano un’effettiva rescissione dei legami criminali. Al contrario, esse venivano lette come una mossa strategica, finalizzata unicamente a ottenere la scarcerazione per poter tornare a operare a favore del clan.

Il Tribunale basava questa interpretazione su alcuni elementi:
1. La confessione selettiva: L’ammissione dei soli reati fine, escludendo quello associativo.
2. L’asserita superfluità delle accuse: Le accuse ai vertici del clan erano ritenute irrilevanti, dato il solido quadro probatorio già esistente a loro carico.
3. Conversazioni intercettate: Una frase captata in una conversazione tra terzi suggeriva che il capo del clan le avrebbe ‘perdonato tutto’ se si fosse scusata.

In sostanza, per il Tribunale, si trattava di una rescissione solo ‘formale’, uno strumento per consentire al clan di riavere a disposizione una sua importante referente sul territorio.

L’Analisi della Corte di Cassazione sulla rescissione legami criminali

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della difesa, censurando pesantemente la motivazione del Tribunale del riesame. I giudici supremi hanno definito la tesi del Tribunale ‘suggestiva’ ma basata su ‘scarni elementi concreti’, e quindi viziata da un difetto di motivazione. La ricostruzione di una strategia concordata tra l’imputata e il clan è stata bollata come una ‘mera congettura’, in contrasto con le ordinarie logiche criminali, che tendono a ‘scoraggiare’ la collaborazione con la giustizia in ogni sua forma.

Le Motivazioni della Sentenza

La Suprema Corte ha sottolineato come l’ammissione dei reati e, soprattutto, le accuse mosse ai coimputati, rappresentino elementi che, in assenza di prove concrete di segno contrario, non possono essere ricondotti a una strategia del clan. La tesi del Tribunale, secondo la quale le accuse non avrebbero danneggiato i complici già gravati da prove schiaccianti, è stata ritenuta irrilevante in sede cautelare, poiché la valutazione dell’esaustività del quadro probatorio spetta al giudice del merito.

Il fatto che i familiari della donna continuassero a riscuotere canoni di locazione da immobili sequestrati non è stato considerato una prova sufficiente a dimostrare un piano criminoso. Allo stesso modo, la conversazione sul ‘perdono’ del boss era stata decontestualizzata, riferendosi a dinamiche personali precedenti al processo e non a una chiamata di correo in giudizio.

Le Conclusioni

In conclusione, la Cassazione ha stabilito che un’ipotesi così complessa e contraria alle normali dinamiche criminali, come quella di una collaborazione con la giustizia orchestrata dal clan stesso, deve essere supportata da elementi fattuali precisi e concreti, non da mere supposizioni. Il provvedimento è stato annullato con rinvio, imponendo al Tribunale di Napoli un nuovo esame che valuti i fatti senza ricorrere a interpretazioni congetturali. Questa sentenza riafferma un principio fondamentale: la libertà personale può essere limitata solo sulla base di motivazioni solide e ancorate alla realtà processuale, non su scenari ipotetici privi di riscontro.

Una confessione limitata solo ad alcuni reati può dimostrare la rottura con un’associazione criminale?
Secondo la Corte di Cassazione, una confessione, anche se parziale, e le accuse mosse ai propri complici sono elementi che tendono a dimostrare la rescissione dei legami con il clan e non possono essere svalutati sulla base di mere congetture.

Perché il Tribunale del riesame aveva rigettato la richiesta di scarcerazione?
Il Tribunale aveva ipotizzato che la confessione dell’imputata non fosse genuina, ma una strategia concordata con il clan per ottenere la scarcerazione e continuare a operare per conto dell’organizzazione. Questa tesi si basava su elementi ritenuti insufficienti e congetturali.

Qual è il vizio principale dell’ordinanza annullata dalla Cassazione?
Il vizio principale è il difetto di motivazione. La decisione del Tribunale del riesame si fondava su un’ipotesi complessiva di natura prettamente congetturale, priva di elementi concreti, precisi e significativi a supporto, e in contrasto con le ordinarie logiche criminali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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