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Remissione tacita querela: quando non è valida

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per diffamazione. La difesa sosteneva una remissione tacita querela basata sulla testimonianza della vittima, la quale aveva dichiarato di non sentirsi offesa. La Corte ha stabilito che tale dichiarazione non è sufficiente a integrare una remissione, specialmente quando la stessa vittima si è costituita parte civile chiedendo il risarcimento del danno, un atto che dimostra in modo inequivocabile la volontà di proseguire con l’azione legale.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Remissione Tacita Querela: La Cassazione Fa Chiarezza

L’istituto della remissione tacita querela è spesso al centro di dibattiti nelle aule di giustizia, poiché riguarda l’interpretazione della volontà della persona offesa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento su quali comportamenti possano, o non possano, essere considerati come una rinuncia implicita a proseguire l’azione penale. Il caso analizzato riguarda una condanna per diffamazione, in cui la difesa ha tentato di far valere le dichiarazioni rese in aula dalla vittima come prova di una remissione. Vediamo nel dettaglio la decisione dei giudici.

Il Contesto del Ricorso: Diffamazione e Appello

Il caso trae origine da una condanna per il reato di diffamazione aggravata. L’imputato, dopo la conferma della sentenza in appello, ha presentato ricorso per cassazione basandosi su due motivi principali.

La Posizione della Difesa

Il primo motivo, e quello più rilevante, si fondava sull’idea che si fosse verificata una remissione tacita querela. Secondo la difesa, la persona offesa, durante la sua testimonianza in tribunale, avrebbe affermato di non essersi sentita offesa dalle dichiarazioni contestate. Questo, a parere del ricorrente, doveva essere interpretato come un atto implicito di ritiro della querela.

Il secondo motivo, invece, contestava la valutazione delle prove, sostenendo che non vi fosse certezza sulla riconducibilità delle espressioni diffamatorie pubblicate su un social network all’imputato.

La Posizione della Parte Civile

Di contro, la parte civile ha sostenuto la manifesta infondatezza di entrambi i motivi. In particolare, ha sottolineato che la persona offesa non solo aveva sporto querela, ma si era anche costituita parte civile nel processo, chiedendo la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese legali. Questi atti formali dimostravano una chiara volontà di proseguire nel giudizio.

La Decisione della Corte sulla Remissione Tacita Querela

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo con fermezza l’argomentazione sulla remissione tacita. I giudici hanno chiarito che, sebbene la remissione possa avvenire in forma tacita, essa deve comunque manifestarsi attraverso fatti “non equivoci, obiettivi e concludenti”, ovvero comportamenti assolutamente incompatibili con la volontà di persistere nella querela.

La semplice dichiarazione di “non sentirsi offeso” resa durante un esame testimoniale non possiede queste caratteristiche. Al contrario, la costituzione di parte civile e la richiesta di risarcimento del danno sono atti che vanno in direzione diametralmente opposta, confermando l’intenzione di ottenere giustizia e ristoro per il torto subito.

I Limiti del Giudizio di Cassazione

Anche il secondo motivo di ricorso è stato giudicato inammissibile. La Corte ha ribadito un principio fondamentale del nostro ordinamento: il giudizio di cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Ciò significa che la Suprema Corte non può riesaminare i fatti o valutare nuovamente le prove, come se fosse un terzo grado di giudizio. Il suo compito è verificare che i giudici di primo e secondo grado abbiano applicato correttamente la legge. Proporre un diverso apprezzamento del compendio probatorio, come ha fatto la difesa, è un’attività non consentita in questa sede.

Le Motivazioni della Cassazione

La motivazione della Corte è cristallina. Per quanto riguarda il primo punto, si richiama la giurisprudenza consolidata (tra cui le Sezioni Unite, sent. n. 31668 del 2016), secondo cui la remissione in sede processuale deve avvenire tramite una dichiarazione formale ricevuta dall’autorità procedente. In assenza di ciò, una remissione tacita può essere riconosciuta solo in presenza di atti che, senza alcun dubbio, manifestino la volontà di abbandonare la pretesa punitiva. La richiesta di risarcimento del danno, essendo un’azione volta a ottenere una riparazione per il reato, è la prova più evidente della volontà contraria.

Sul secondo punto, la Corte ha specificato che il ricorrente non ha denunciato un vero e proprio “travisamento della prova” (cioè una lettura palesemente errata di un atto processuale), ma ha semplicemente offerto una propria interpretazione delle emergenze istruttorie, chiedendo di fatto un nuovo giudizio di merito, inammissibile in Cassazione.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

L’ordinanza ha conseguenze pratiche significative. Stabilisce che le sensazioni o le dichiarazioni emotive espresse da una vittima in un contesto processuale non possono prevalere sugli atti giuridici formali. La costituzione di parte civile è un segnale forte e inequivocabile che neutralizza qualsiasi presunta volontà remissiva espressa in modo informale. Per gli operatori del diritto, questa decisione rafforza la necessità di basarsi su elementi oggettivi e formali per determinare la volontà della persona offesa, evitando interpretazioni ambigue che potrebbero compromettere l’esito del processo. Per l’imputato, la decisione si è tradotta non solo nella conferma della condanna, ma anche nel pagamento delle spese processuali, di una sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende e delle spese legali sostenute dalla parte civile.

Dire in tribunale di non sentirsi offesi equivale a ritirare la querela?
No. Secondo l’ordinanza, tale dichiarazione non costituisce una formale remissione di querela e non è sufficiente se la persona offesa ha compiuto atti incompatibili con la volontà di rimettere, come costituirsi parte civile e chiedere il risarcimento del danno.

Cosa si intende per remissione tacita della querela?
È il ritiro della querela che avviene non con una dichiarazione esplicita, ma attraverso fatti e comportamenti non equivoci, oggettivi e concludenti che sono incompatibili con la volontà di persistere nella richiesta di punizione del colpevole.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove di un processo?
No. L’ordinanza ribadisce che il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato per chiedere un diverso apprezzamento delle prove o una rilettura dei fatti del processo. Il suo ruolo è limitato al controllo della corretta applicazione della legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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