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Remissione tacita querela: quando è inammissibile?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per truffa, il quale sosteneva la sussistenza di una remissione tacita di querela. La Corte ha ribadito che, per essere valida, la remissione deve basarsi su fatti inequivocabili, obiettivi e concludenti, incompatibili con la volontà di persistere nell’azione penale. La mancata comparizione in giudizio della persona offesa o il fallimento di un accordo bonario non sono considerati sufficienti a tal fine.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Remissione tacita di querela: la Cassazione fissa i paletti

L’istituto della remissione tacita di querela rappresenta una causa di estinzione del reato che si verifica quando la persona offesa, pur senza una dichiarazione formale, compie atti incompatibili con la volontà di proseguire l’azione penale. Ma quali sono questi atti? La semplice assenza in aula o il fallimento di una trattativa sono sufficienti? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti essenziali, confermando un orientamento rigoroso e consolidato.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una condanna per truffa e falsità in titolo di credito emessa dal Tribunale e confermata dalla Corte d’Appello. L’imputato, non rassegnandosi alla decisione, ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su un unico motivo: l’errata applicazione della legge in materia di remissione tacita di querela. Secondo la difesa, alcuni comportamenti della persona offesa avrebbero dovuto essere interpretati come una chiara, sebbene non esplicita, volontà di abbandonare la pretesa punitiva.

L’analisi sulla remissione tacita di querela

Il cuore della questione giuridica ruota attorno all’interpretazione dell’articolo 152 del codice penale. La difesa dell’imputato ha sostenuto che la mancata possibilità di raggiungere un accordo bonario, l’entità modesta del danno e, soprattutto, la mancata comparizione della persona offesa nel giudizio di appello costituissero, nel loro insieme, un quadro fattuale sufficiente a integrare una remissione tacita.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rigettato completamente questa interpretazione. Gli Ermellini hanno richiamato la propria giurisprudenza costante, secondo cui i fatti dai quali si desume la volontà di rimettere la querela devono possedere tre caratteristiche fondamentali: devono essere non equivoci, obiettivi e concludenti. Questo significa che devono manifestare in modo certo e inconfutabile un’intenzione incompatibile con quella di persistere nell’istanza punitiva.

Le Motivazioni della Corte

Nel motivare la propria decisione, la Suprema Corte ha specificato perché gli elementi addotti dalla difesa non soddisfacessero i requisiti di legge. In primo luogo, il fallimento di una trattativa per un accordo bonario non indica una volontà di remissione; al contrario, potrebbe semplicemente significare che non si è trovata un’intesa soddisfacente. In secondo luogo, l’entità del danno, che sia modesta o ingente, è irrilevante ai fini della valutazione della volontà della parte offesa. Infine, e questo è il punto più significativo, la mancata comparizione in giudizio non è, di per sé, un atto incompatibile con la volontà di querelarsi. Può essere dettata da molteplici ragioni che non hanno nulla a che vedere con il desiderio di porre fine al procedimento penale. La Corte ha sottolineato che tali principi restano validi anche alla luce delle recenti modifiche legislative (d.lgs. 150/2022). La motivazione della Corte d’Appello è stata quindi ritenuta immune da vizi logici e corretta nell’applicazione del diritto.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la remissione tacita di querela non può essere presunta sulla base di comportamenti ambigui o di mere omissioni. La volontà di abbandonare l’azione penale deve emergere da condotte attive e positive che non lascino spazio a dubbi interpretativi. Questa pronuncia ha importanti implicazioni pratiche: chi intende difendersi sostenendo una remissione tacita deve fornire la prova di fatti concreti e inequivocabili. Di conseguenza, la semplice passività della persona offesa non sarà sufficiente a estinguere il reato. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende.

La mancata comparizione della persona offesa nel giudizio di appello costituisce remissione tacita di querela?
No, la Corte ha stabilito che la mancata comparizione non è un fatto inequivocabile e incompatibile con la volontà di persistere nella querela.

Un accordo bonario fallito o il modesto valore del danno possono essere considerati come una remissione tacita della querela?
No, secondo l’ordinanza, né la mancata possibilità di raggiungere un accordo bonario né l’entità economica modesta del danno possono integrare gli estremi della remissione tacita.

Quali caratteristiche devono avere i fatti per integrare una remissione tacita di querela?
Secondo la giurisprudenza costante richiamata dalla Corte, i fatti devono essere non equivoci, obiettivi e concludenti, dimostrando in modo inconfutabile una volontà incompatibile con quella di persistere nella querela.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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