Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 4780 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2   Num. 4780  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 15/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: RAGIONE_SOCIALE NOME nata in GERMANIA il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 19/12/2022 della CORTE DI APPELLO DI FIRENZE lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME; generale NOME COGNOME, che ha chiesto la inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19 dicembre 2022 la Corte di appello di Firenze, in riforma della sentenza del Tribunale di Grosseto, impugnata dalla parte civile, condannava NOME COGNOME al risarcimento dei danni in favore della parte civile NOME COGNOME, da liquidare in separata sede, ritenendo che erroneamente il primo giudice avesse valutato l’assenza della persona offesa all’udienza del 7 novembre 2016 quale remissione tacita della querela.
Ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza di appello in ragione di due motivi.
2.1. In primo luogo, la ricorrente ha dedotto la inosservanza della legge penale, in relazione a quanto disposto dall’art. 152 cod. pen., in quanto la persona offesa, divenuta irreperibile, non comparve alla suddetta udienza, fissata appositamente dal giudice per verificare la volontà della stessa di rimettere la querela, dopo che alla precedente udienza del 27 giugno 2016 le parti erano state invitate a trovare un accordo.
2.2. In secondo luogo, la difesa lamenta violazione di legge, in ordine al disposto degli artt. 573, 603, comma 4 e 604, comma 6 del codice di rito.
La Corte di appello ha pronunciato una condanna, sia pure ai soli effetti civili, sulla base di una istruttoria svoltasi in primo grado incompleta e parziale, mentre avrebbe dovuto disporre d’ufficio la rinnovazione del dibattimento consentendo alla ricorrente di spiegare le proprie difese.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, convertito nella legge 10 agosto 2023, n. 112), in mancanza di alcuna richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti; il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte. 
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi manifestamente infondati e in parte generici.
Correttamente la Corte di appello ha osservato che la persona offesa aveva presenziato attivamente al processo e all’udienza del 27 giugno 2016 era stata sentita quale testimone, esprimendo la volontà di segno opposto a quella di rimettere la querela.
La mancata comparizione della persona offesa alla successiva udienza, spiegata dal difensore con la sua sopravvenuta irreperibilità, non ha costituito un atto incompatibile con la volontà di persistere nella querela, anche perché come evidenziato nella sentenza impugnata – la stessa non era stata neppure
avvertita del fatto che la sua eventuale assenza sarebbe stata valutata come una remissione tacita della istanza punitiva.
Si consideri che anche il terzo comma, n. 1), dell’art. 152 cod. pen., introdotto dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, comunque non applicabile nel caso di specie in forza del principio tempus regit actum, considera quale remissione tacita la mancata comparizione del querelante, senza giustificato motivo, solo all’udienza in cui era stato citato come testimone, udienza alla quale, invece, nel caso in esame NOME COGNOME presenziò rendendo la propria deposizione.
3. In ordine al secondo motivo, va premesso che nella fattispecie concreta è applicabile il disposto, invocato nel ricorso, dell’art. 604, comma 6, del codice di rito, secondo il quale «Quando il giudice di primo grado ha dichiarato che il reato è estinto o che l’azione penale non poteva essere iniziata o proseguita, il giudice di appello, se riconosce erronea tale dichiarazione, ordina, occorrendo, la rinnovazione del dibattimento e decide nel merito».
Tale disposizione non prevede un obbligo di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, ma attribuisce al giudice la facoltà discrezionale di disporla, come chiaramente desumibile dalla presenza del verbo «occorrendo» (in questo senso v. Sez. 2, n. 12416 del 19/02/2020, D, Rv. 279058-01, in un caso in cui la Corte di appello aveva riformato una sentenza di estinzione del reato per prescrizione, condannando l’imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile).
Sul punto va ricordata la pronuncia (ordinanza n. 316 del 2002) con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 604, comma 6, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, osservando che detta norma non comporta «alcuna incongrua privazione di un grado di giudizio di merito, in quanto la completa trattazione del merito è assicurata in grado di appello dalla rinnovazione del dibattimento, quando la sentenza di improcedibilità è intervenuta prima che si sia dato corso all’istruzione dibattimentale, ovvero in primo grado, quando la sentenza di improcedibilità è pronunciata in esito all’istruzione dibattimentale e alla discussione sul merito» e che, in tale seconda ipotesi, «non è consentita una nuova fase di istruzione dibattimentale se non nei ristretti limiti previsti in via generale dall’art. 603 co proc. pen.»; conseguentemente non risulta leso il diritto di difesa dell’imputato né sussiste alcuna disparità di trattamento tra imputati a seconda del momento in cui venga pronunciata la sentenza di improcedibilità o di estinzione del reato.
Nel caso di specie, in primo grado era stata svolta la istruzione dibattimentale e la Corte di appello ha ritenuto raggiunta la piena prova della
responsabilità della ricorrente, sia pure ai soli fini civili, per i fatti illeciti a sulla base delle precise testimonianze del querelante e dei due Carabinieri della stazione di Gavorrano.
Rispetto a queste risultanze probatorie la difesa nulla ha argomentato, essendosi limitata a lamentare di non avere potuto procedere al controesame della persona offesa e all’assunzione dei testi già ammessi dal primo giudice.
Il ricorso sul punto è generico e neppure autosufficiente, in quanto non è stato documentato, attraverso l’allegazione degli atti o l’indicazione prevista dall’art. 165 disp. att. cod. proc. pen., che alla difesa fu preclusa la possibilità procedere al controesame del querelante e all’assunzione dei propri testi.
Inoltre, la ricorrente neppure ha indicato l’oggetto delle prove che in ipotesi la Corte d’appello avrebbe dovuto disporre d’ufficio e la loro potenziale decisività rispetto a quelle già assunte e valutate, sulle quali la difesa nulla ha osservato.
All’inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 15/01/2024.