Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26575 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26575 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, nato a Foggia il DATA_NASCITA, residente a INDIRIZZO INDIRIZZO; avverso la sentenza in data 14/09/2023 della Corte di appello di Ancona che ha confermato la sentenza del 23/09/2021 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ancona che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato l’imputato alla pena di tre anni di reclusione ed Euro 7.000 di multa per i reati di cui ai capi A), B), C) dell’imputazione; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni scritte con cui il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, ha chiesto che sia il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza della Corte di appello di Ancona del 14.09.2023 era stata confermata la sentenza emessa il 23/09/2023, all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ancona che aveva condannato NOME COGNOME alla pena di tre anni di reclusione ed Euro 7.000 di multa per i reati di cui ai capi A), B), C) dell’imputazione.
i
Le contestazioni riguardano:
-Capo A): furto pluriaggravato (in concorso con altri due imputati, processati separatamente) ai sensi dell’art. 625, nn. 2, 5, 7 cod. pen. (violenza sulle cose, più persone riunite, cose esposte alla pubblica fede), avvenuto in Osimo il 4.2.2017 in danno di una RAGIONE_SOCIALE Osimo RAGIONE_SOCIALE;
-Capo B): il reato di cui agli artt. 61 n. 2, 110 cod. pen., 4 legge 02/10/1967, n. 895 per avere illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico, al fine di commettere il furto di cui al capo A), materiale esplodente del tipo gas acetilene, poi miscelato con gas ossigeno liquido, ricompreso tra gli esplosivi di cui all’art. 24 R.D. n. 660 del 1906;
-Capo C): furto pluriaggravato, con le medesime aggravanti indicate sopra, dell’autovettura TARGA_VEICOLO (targata TARGA_VEICOLO) di proprietà di NOME COGNOME, nei medesimi data e luogo.
I fatti, come compendiati nella sentenza di primo giudizio e confermati in appello, sono stati ricostruiti, in sintesi, nei seguenti termini.
Il 4 febbraio 2017, giorno in cui avvennero i fatti di cui in imputazione, fu rilevata la presenza, in territorio marchigiano, dell’utenza telefonica mobile in uso a NOME COGNOME, residente in provincia di Foggia (Oria Nova).
Il telefono mobile dell’odierno imputato, noto alle forze dell’ordine per essere stato arrestato in flagranza di reato in Lavello (PZ) il 25 febbraio 2017, in relazione a fatti analoghi a quelli in contestazione, nell’arco di tempo in cui avvennero i furti di cui ai capi A) e C) dell’imputazione ebbe a ricevere messaggi sms, per poi spostarsi, nelle ore seguenti, in direzione sud, verso il luogo di residenza.
La Corte di appello, concordando con la ricostruzione dei fatti effettuata in primo grado, ha respinto i motivi di impugnazione, osservando che:
-sulla base degli atti di polizia giudiziaria, utilizzabili per la scelta processual operata, era emerso che, nella notte del 4 febbraio 2017 (data del furto alla banca), era stata rubata una Alfa 156 di proprietà di tale NOME COGNOME, auto che si trovava parcheggiata a breve distanza dalla RAGIONE_SOCIALE di Osimo del RAGIONE_SOCIALE, ove avvenne il furto.
-Nelle immediate vicinanze dell’RAGIONE_SOCIALE bancaria, era stata riscontrata la presenza di una Audi A4, di colore scuro (TARGA_VEICOLO) intestata a NOME COGNOME, moglie di NOME COGNOME e quest’ultimo, in una occasione, venne controllato in compagnia di COGNOME.
Qualche giorno dopo i fatti, l’automobile Audi era stata ceduta a terzi.
-L’utenza cellulare in uso a COGNOME aveva intrattenuto, nelle date del 3 e 4 febbraio 2017, numerose conversazioni con l’utenza NUMERO_TELEFONO, intestata a NOME COGNOME, figlia di NOME COGNOME, quest’ultima convivente di NOME
é
COGNOME, persona la cui effigie era risultata compatibile con l’immagine ripresa dal circuito di videosorveglianza, attivo presso l’RAGIONE_SOCIALE teatro del furto del 17 febbraio, ove la persona nelle immagini, riconosciuta come NOME COGNOME, figurava sia come “palo”, sia come utilizzatore dell’ariete impiegata nello sfondamento delle vetrate laterali della banca.
Il 25 febbraio 2017, NOME COGNOME era stato tratto in arresto insieme a NOME COGNOME, in occasione del furto, avvenuto con impiego di esplosivo, al bancomat di Lavello (PZ) ed era stato altresì ritenuto responsabile di altro furto, avvenuto il 21 maggio 2017 ai danni dell’apparato ATM dell’ufficio ostale di Castel Frentano (CH).
In occasione dell’arresto, COGNOME aveva nella propria disponibilità l’utenza mobile 370.10.48.475, numero con il quale, nelle giornate del 3 e 4 febbraio 2017, risultavano essere state effettuate numerose conversazioni con l’utenza 380.65.80.689, intestata – come si è detto – a NOME COGNOME, figlia di NOME COGNOME, quest’ultima, come si è detto, convivente di NOME COGNOME.
Sulla base del descritto quadro indiziario, ritenuto grave, preciso e concordante, anche alla luce dell’assenza di allegazioni volte ad escludere, da parte dell’imputato, che il giorno dei fatti egli non avesse utilizzato quell’utenza cellulare, la Corte di appello ha confermato la condanna.
È stato ritenuto provato che COGNOME avesse la disponibilità del numero di utenza mobile di cui era stata rilevata l’operatività nell’area territoriale dei fatt ed è stato pure giudicato indicativo del coinvolgimento di COGNOME nell’azione predatoria la circostanza che la sua utenza ebbe ad intrattenere comunicazioni con quella in uso a NOME COGNOME, figlia della convivente di COGNOME, anch’egli coinvolto nell’azione criminosa.
La presenza di COGNOME sul luogo del furto era stata consacrata dalle riprese video presso la filiale ed il medesimo era stato inoltre arrestato, insieme a COGNOME, per i fatti del 25 febbraio 2017.
La Corte ha disatteso la tesi difensiva volta a sostenere, in assenza di allegazione alcuna, che l’imputato, il giorno dei fatti, non avesse in uso quell’utenza mobile, ritenendo altresì significativo, unitamente alle indicate circostanze che, immediatamente dopo gli accadimenti, quell’utenza avesse fatto rientro in Puglia, dove COGNOME risiedeva.
Sulla base del quadro descritto, la Corte distrettuale ha concluso che era stata correttamente provata la presenza di COGNOME nelle Marche e che tale presenza era finalizzata alla commissione, avvenuta in concorso con COGNOME ed altri complici, dei furti di cui ai capi A) e C).
In ordine alla richiesta di riqualificazione del reato di cui al capo B), la Corte, alla luce della natura dell’esplosivo e della carica distruttiva della miscela,
chiaramente evincibile dal danno prodotto e descritto dagli agenti intervenuti, ha respinto la richiesta di riqualificazione del reato, richiamando recedenti giurisprudenziali in materia.
La Corte di appello ha altresì rigettato la richiesta di riduzione della pena, rilevando che la sanzione per il reato più grave era stata fissata nei limiti edittali minimi ed erano stati operati aumenti contenuti per i reati satellite, nonostante l’elevato ammontare dei danni prodotti, le modalità dell’asportazione dell’autovettura e la circostanza che la condotta era stata perpetrata con complici.
E’ stata altresì esclusa la possibilità di concessione delle circostanze attenuanti generiche, in relazione alle peculiarità dell’azione, espressiva di forte disvalore e l’assenza di collaborazione e resipiscenza, già rilevate dal giudice di primo grado, con argomenti condivisi dalla Corte territoriale che, in proposito, ha altresì richiamato la consolidata giurisprudenza secondo cui, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, è sufficiente che il giudice faccia riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti, anche omettendo di considerare tutti quelli dedotti dalle parti.
Ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, munito di conforme procura speciale, formulando i seguenti motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, congiuntamente, violazione di legge e travisamento della prova (art. 606 lett. b), e) cod. proc. pen.), erronea applicazione degli artt. 533, 535, 192 cod. proc. pen., art. 152 cod. pen., art. 142 disp. att. cod. proc. pen., art. 4 legge n. 895 del 1967, artt. 678, 133, 81, 62-bis cod. pen.
Il dubbio sulla ricostruzione dei fatti lascerebbe spazio, ad avviso del ricorrente, a ricostruzioni alternative, incertezza ricostruttiva che, rendendo possibile una diversa valutazione della prova, si tradurrebbe in vizio di manifesta illogicità della motivazione.
Non potrebbe condividersi, prosegue il ricorrente, la motivazione a fondamento dell’affermazione della responsabilità dell’imputato, in quanto sarebbe esclusivamente ancorata alla presenza dell’utenza telefonica in territorio marchigiano, secondo una valutazione che integrerebbe il vizio di travisamento della prova.
i duole, inoltre, che la Corte di appello non abbia affrontato il profilo della sopravvenuta procedibilità a querela del furto, a seguito delle modifiche introdotte con d.lgs. 10/10/2022, n. 150 (cd. riforma Cartabia), aggiungendo che la mancata presentazione di conclusioni della parte civile, costituita in relazione al capo A) dell’imputazione, andrebbe letta in termini di remissione tacita della querela.
,s0/
Ancora, si lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche, assumendo, testualmente che «…il loro riconoscimento è giustificato dalla sussistenza di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena».
2.2. Con il secondo motivo, si deduce il vizio di manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., sostenendo che la motivazione non avrebbe fornito puntale risposta alle doglianze difensive «riguardanti il coinvolgimento dell’imputato nella vicenda processuale. Nulla dice in ordine al trattamento sanzionatorio, alla dosimetria della pena, alla determinazione della sanzione, alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche».
Il AVV_NOTAIO Procuratore Generale, NOME COGNOME, ha chiesto che sia il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME deve essere accolto, limitatamente alla dedotta mancanza di procedibilità in relazione al reato di cui al capo C), mentre, nel resto, deve essere dichiarato inammissibile.
Emerge ictu °cui/ dall’esame del motivo sub 1), con il quale si denuncia violazione di legge e travisamento della prova (art. 606 lett. b), e) cod. proc. pen.), erronea applicazione degli artt. 533, 535, 192 cod. proc. pen., art. 152 cod. pen., art. 142 disp. att. cod. proc. pen., art. 4 legge n. 895 del 1967, artt. 678, 133, 81, 62-bis cod. pen., come il ricorrente abbia confusamente associato, senza procedere, nella successiva esposizione, ad articolare le ragioni delle doglianze, differenti motivi di ricorso che, secondo la previsione dell’art. 581 cod. proc. pen., avrebbero dovuto essere invece tenuti distinti.
In linea con la giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio – in ultimo, Sez. 4, n. 8294 del 01/02/2024, COGNOME, Rv. 285870-01, «In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile, per aspecificità, ex artt. 581, comma 1 e 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., il motivo che denunci l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, nonché, in modo cumulativo, promiscuo e perplesso, la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, ove non sia indicato specificamente il vizio di motivazione dedotto per i singoli, distinti aspetti, con puntuale richiamo, alle parti della motivazione censurata.» ed altresì, Sez. 2, Sentenza n. 25741 del 20/03/2015, COGNOME, Rv. 264132-01 «In tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che
intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, più violazioni della legge processuale, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. c, cod. proc. pen., ha l’onere (a pena di aspecificità e quindi di inammissibilità del ricorso) di indicare per ciascuna norma che si assume violata in cosa si sia concretizzata la presunta violazione costituente oggetto di doglianza» – va evidenziato che il ricorrente si è limitato a sostenere, con affermazione generica, che la Corte territoriale non avrebbe fatto buon governo del paradigma dell’oltre ogni ragionevole dubbio, ventilando, con asserzione del tutto sganciata dal compendio probatorio, che una sentenza di condanna avrebbe potuto essere pronunciata soltanto in assenza di ricostruzioni alternative dei fatti, qualora, con «elevatissimo grado di credibilità razionale», fosse stata provata la responsabilità dell’imputato.
Come è evidente, si tratta di considerazioni generiche, sia perché caratterizzate da ontologica genericità, sia perché non si confrontano con il tessuto motivazionale della sentenza impugnata.
Contestando la sussistenza della prova del coinvolgimento di COGNOME nella vicenda processuale, il ricorrente assume essere stata confermata la condanna in ragione del «solo rinvenimento della famosa scheda telefonica 370.10.48.475, la stessa SIM presente nei territori marchigiani il 4.2.2017», ma, così facendo, omette di considerare le molteplici ragioni – di cui si è dato conto supra sulla cui base la Corte territoriale ha confermato la condanna.
2.1. Analogamente generici risultano gli ulteriori motivi di ricorso, afferenti alla commisurazione della pena – in relazione alla quale la Corte distrettuale giustifica le ragioni della scelta effettuata e il ricorrente si limita asserire, genericamente, che «il trattamento sanzionatorio non risulta rispettoso delle disposizioni normative» – e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, in ordine alle quali vengono formulate considerazioni («…il loro riconoscimento è giustificato dalla sussistenza di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen.») prive di riferimento alcuno alla motivazione a sostegno del rigetto.
2.2. Risulta parimenti affetta da genericità la doglianza relativa alla assunta erroneità della qualificazione del capo B), quale violazione dell’art. 4 legge n. 895 del 1967 in luogo dell’art. 678 cod. pen., argomentata mediante il generico richiamo alla giurisprudenza relativa alla distinzione tra materie esplodenti e materie esplosive.
L’inammissibilità dei motivi di ricorso non esime tuttavia il Collegio dal prendere in esame la doglianza relativa al mutato regime di procedibilità in ordine ai delitti di cui ai capi A) e C): invero, la sentenza di appello è stata
pronunciata successivamente all’entrata in vigore della cd. riforma “Cartabia” che, per quanto di interesse in questa sede, ha modificato il regime di procedibilità – divenuto a querela – del reato di furto, ad eccezione dei casi di condotta in danno di soggetti “vulnerabili” e di sottrazione di cosa destinata a pubblico servizio, ipotesi non ricorrenti nel caso che ci occupa.
Tanto premesso, non può ritenersi pertinente il principio, espresso in motivazione da Sez. U., n. 40150 del 07/09/2018, Salatino, Rv. 273551-01, secondo cui «…il disposto dell’art. 129 cod. proc. pen. nel rendere doveroso per il giudice di rilevare in ogni stato e grado del processo una eventuale causa di non punibilità (cui sono assimilate, nel prosieguo, le condizioni di procedibilità, n.d.e.), pure coordinato con l’art. 609, comma 2, cod. proc. pen. sui poteri di ufficio della Corte di cassazione, pone un precetto che in tanto si rende operativo, in quanto abbia avuto esito positivo il previo scrutinio sulla ammissibilità dell’impugnazione», poichè, nel caso di specie, la sopravvenuta procedibilità a querela ha riguardato già il giudizio di appello, celebrato successivamente all’entrata in vigore del novellato art. 625 cod. pen., come modificato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.
Ciò premesso, il giudice di appello, ex officio, sarebbe stato onerato dell’accertamento circa la sussistenza della condizione di procedibilità dei reati di furto, l’inammissibilità del ricorso non ostando, in sede di legittimità, all’esercizio del potere officioso di rilevare il difetto della condizione di procedibilità i relazione ai reati medesimi, divenuti procedibili a querela.
Orbene, dall’esame del compendio processuale, non risulta che sia stata sporta la querela in ordine al furto dell’automobile (capo C): il proprietario, NOME COGNOME, fu sentito a sommarie informazioni ma dal contenuto delle stesse non emerge alcuna volontà di querelarsi.
Ne consegue che, limitatamente a tale imputazione, la sentenza deve essere annullata senza rinvio per difetto della condizione di procedibilità.
Diversamente deve opinarsi con riferimento al furto di cui al capo A), in relazione al quale si costituì parte civile la RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorrente, sul rilievo che la parte civile, davanti alla Corte territoriale non ebbe a rassegnare conclusioni, sostiene che tale comportamento vada assimilato alla remissione tacita di querela, assumendo trattarsi di fatti incompatibili con la volontà di persistere nella volontà di querelare.
Il ricorrente intende sostenere che, ove la parte civile costituita non abbia presentato conclusioni, ciò integri condotta equipollente alla remissione tacita della querela, ai sensi dell’art. 142, comma d-bis), disp. att. cod. proc. pen., secondo cui « la mancata comparizione senza giustificato motivo del
querelante all’udienza in cui è citato a comparire come testimone integra remissione tacita di querela, nei casi in cui essa è consentita».
La tesi è infondata.
La decisione – Sez. 2, n. 33648 del 28/06/2023, Strada, Rv. 285064-01 -, menzionata dal ricorrente a sostegno della propria tesi, riguarda il diverso caso della mancata comparizione, in assenza di giustificato motivo, del querelante correttamente citato quale testimone per l’udienza dibattimentale, condotta che, alla luce dell’art. 152, comma terzo, cod. pen., introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. h), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, integra la remissione tacita della querela.
Il caso di specie, relativo al mancato deposito di conclusioni davanti alla Corte di appello, risulta invece sovrapponibile a Sez. 3, n. 27147 del 09/05/2023, S., Rv. 284844-01, che ha statuito: «La costituzione di parte civile non revocata equivale a querela ai fini della procedibilità di reati originariamente perseguibili d’ufficio, divenuti perseguibili a querela a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (cd. riforma “Cartabia”), posto che la volontà punitiva della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere legittimamente desunta anche da atti che non contengono la sua esplicita manifestazione».
La Corte richiama il principio, espresso, in motivazione, da Sez. U., n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273552-01, relativo all’ipotesi, assimilabile al caso in questione, di sopravvenuta procedibilità a querela per taluni reati, per effetto del d.lgs.10/10/2018, n. 36; si afferma, proprio con riferimento ai procedimenti pendenti in grado di legittimità, che, non richiedendo la presentazione della querela forme particolari, la volontà di querelare può essere desunta dal giudice anche da atti che non contengano la sua esplicita manifestazione, come la costituzione di parte civile della persona offesa e la persistenza di essa nei successivi gradi di giudizio.
Esattamente quanto avvenuto nel caso di specie, perciò non rilevando la mancata presentazione di conclusioni nel giudizio di appello, alla luce del principio, espresso dalla giurisprudenza di legittimità e condiviso dal Collegio (Sez. 5, n. 24637 del 06/04/2018, Capasso, Rv. 273338-01) secondo cui «La parte civile costituita, che non partecipi al giudizio di appello personalmente e non presenti conclusioni scritte ai sensi dell’art. 523 cod. proc. pen., deve ritenersi comunque presente nel processo e le sue conclusioni, pur rassegnate in primo grado, restano valide in ogni stato e grado in virtù del principio di immanenza previsto dall’art. 76 cod. proc. pen.».
Alla stregua delle considerazioni che precedono, la sentenza deve essere annullata senza rinvio per sopravvenuto difetto della condizione di
procedibilità della querela limitatamente al capo C) dell’imputazione, dovendo invece il ricorso essere dichiarato inammissibile nel resto.
Ai sensi dell’art. 620, lett. I) cod. proc. pen., eliminato l’aument continuazione per il reato di cui al capo C) – pari a tre mesi di reclusione ed 500 di multa, da ridursi ai sensi dell’art. 442 cod. proc. pen. – la pena essere rideterminata in due anni e dieci mesi di reclusione ed Euro 6667 d multa.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al reato di cui al capo C) perché l’azione penale non può essere proseguita per mancanza di querela ed elimina la relativa pena di mesi tre di reclusione ed Euro 500 multa. Ridetermina la pena finale, con la riduzione del rito, in anni due, m dieci di reclusione ed Euro 6667 di multa. Dichiara inammissibile il ricorso n resto.
Così deciso il 14 maggio 2024.