LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Remissione querela via PEC: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di remissione di querela avvenuto tramite Posta Elettronica Certificata (PEC). Il Procuratore Generale aveva impugnato la decisione di un Giudice di Pace che aveva dichiarato estinto un reato per remissione tacita, basandosi su una PEC inviata dalla persona offesa. La Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che, sebbene la PEC della vittima fosse di per sé irrituale, la successiva comunicazione del suo avvocato, che ne confermava l’autenticità e la volontà, ha sanato il vizio procedurale. Pertanto, la remissione querela via PEC è stata ritenuta valida in quanto l’intento della parte offesa è stato accertato in modo sicuro.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Remissione querela via PEC: Quando è valida secondo la Cassazione?

La digitalizzazione dei processi giudiziari solleva questioni sempre nuove sulla validità degli atti compiuti con strumenti informatici. Un tema di grande interesse pratico è la remissione querela via PEC. Cosa accade se la vittima di un reato decide di ritirare la querela inviando una semplice email certificata all’autorità giudiziaria? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 11781/2024) offre un chiarimento fondamentale, bilanciando il rigore formale della procedura penale con la necessità di dare peso alla volontà effettiva della persona offesa.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un procedimento penale dinanzi al Giudice di Pace di Fano per un reato perseguibile a querela di parte. Il giudice di primo grado aveva dichiarato il non doversi procedere contro l’imputato, ritenendo il reato estinto per remissione tacita della querela.

La decisione si basava su un elemento specifico: una comunicazione di Posta Elettronica Certificata (PEC) inviata dalla persona offesa alla Procura della Repubblica, nella quale manifestava l’intenzione di “soprassedere” alla querela. Contro questa sentenza, il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello ha proposto ricorso per cassazione, contestando la validità di tale atto.

Il Ricorso del Procuratore e la validità della remissione querela via PEC

Il Procuratore Generale ha fondato il suo ricorso su due argomenti principali:

1. Irregolarità Procedurale: L’invio di atti tramite PEC nel procedimento penale è consentito esclusivamente ai difensori attraverso sistemi informatizzati specifici, che garantiscono la certa provenienza dell’atto. Una PEC inviata direttamente dal privato cittadino sarebbe, quindi, proceduralmente irrituale e non utilizzabile.
2. Mancanza dei Requisiti Formali: La dichiarazione contenuta nella PEC non poteva essere qualificata come una remissione formale o espressa, secondo quanto previsto dagli articoli 340 e 399 del codice di procedura penale.

Secondo la Procura, il Giudice di Pace aveva errato nel dare valore a una comunicazione non conforme alle regole processuali, basando la sua decisione su un atto inammissibile.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, pur riconoscendo la fondatezza delle obiezioni formali del ricorrente, ha rigettato il ricorso sulla base di un elemento decisivo emerso dagli atti processuali. La Corte ha infatti rilevato che alla PEC della persona offesa ne era seguita un’altra, inviata questa volta dal suo difensore all’ufficio del Giudice di Pace.

In questa seconda comunicazione, l’avvocato faceva espresso riferimento alla PEC del proprio assistito e ne ribadiva la volontà di “non volere proseguire nell’impulso del procedimento”, specificando che l’oggetto della comunicazione era la “rinuncia querela”.

Questo passaggio è stato ritenuto cruciale. L’intervento del difensore ha di fatto “sanato” l’irregolarità iniziale. La PEC dell’avvocato, atto proceduralmente valido e rituale, ha attestato l’autenticità della provenienza e del contenuto della comunicazione del suo cliente. In questo modo, le obiezioni sulla incerta riferibilità della volontà remissiva sono state superate.

La Corte ha concluso che il Giudice di Pace ha legittimamente ritenuto che la comunicazione, nel suo complesso (PEC della vittima + PEC del suo avvocato), costituisse un fatto inequivocabilmente incompatibile con la volontà di persistere nella querela, integrando così una valida remissione tacita.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di notevole importanza pratica: una remissione querela via PEC inviata direttamente dalla persona offesa, sebbene di per sé irrituale, acquista piena validità processuale se viene successivamente confermata e “autenticata” da una comunicazione formale del suo difensore. La Corte adotta un approccio pragmatico, privilegiando la sostanza (la volontà certa della parte) sulla forma, a condizione che tale volontà sia introdotta nel processo attraverso un canale legalmente riconosciuto, come la PEC di un avvocato. Questa decisione fornisce una guida preziosa per gestire le manifestazioni di volontà espresse tramite strumenti digitali nel contesto del processo penale, garantendo al contempo certezza giuridica e rispetto per le decisioni della persona offesa.

È valida la remissione di una querela inviata tramite PEC direttamente dalla persona offesa?
Di per sé, la comunicazione è considerata irrituale nel procedimento penale. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha stabilito che essa diventa valida se l’avvocato della persona offesa ne conferma successivamente l’autenticità e il contenuto tramite una propria PEC inviata ritualmente all’ufficio giudiziario.

Perché il Procuratore Generale riteneva non valida la remissione della querela?
Il Procuratore sosteneva che l’invio di una PEC da un privato cittadino non è una modalità prevista dalla procedura penale, la quale riserva tale strumento ai difensori tramite sistemi che ne garantiscano la provenienza. Inoltre, riteneva che il contenuto della mail non rispettasse i requisiti di una remissione formale.

Cosa si intende per remissione “tacita” in questo specifico caso?
Per remissione tacita si intende un comportamento o un atto che, pur non essendo una dichiarazione esplicita, risulta oggettivamente incompatibile con la volontà di continuare a perseguire penalmente l’imputato. La PEC della vittima, una volta confermata dal suo legale, è stata considerata proprio un atto di questo tipo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati